Disturbi alimentari
I disturbi alimentari vengono chiamati di solito anche disturbi del comportamento alimentare o disturbi alimentari psicogeni. Essi coinvolgono una serie di branche mediche, come la psichiatria, l’endocrinologia e la gastroenterologia, perché non ci si interessa solo alla causa che ha determinato un rapporto particolare tra una persona e la sua alimentazione. Ci sono alcuni disturbi più conosciuti o riconosciuti, come l’anoressia o la bulimia nervosa, ma rientrano tra i disturbi alimentari anche l’obesità, il disturbo da binge-eating e il picacismo.
Anoressia e bulimia nervose sono spesso considerate legate, perché hanno spesso a che fare con la spinta psicologica del bisogno di controllo. Non sempre ufficialmente ma connessa con questi disturbi è ad esempio l’ortoressia, che consiste nell’esclusione di alcuni alimenti che vengono ritenuti erroneamente dannosi per l’organismo anche in minuscole quantità. Tra essi, i più diffusi tra gli alimenti esclusi sono lo zucchero, il caffè e gli alcolici. Tra disturbi alimentari meno noti c’è poi il picacismo, che consiste nella ruminazione compulsiva di sostanze non alimentari, come gesso oppure sabbia.
C’è ancora tantissimo da sapere sui disturbi alimentari, soprattutto a causa del fatto che non tutte le persone che ne sono affette sono consapevoli e presentano la tendenza a chiedere aiuto. In gran parte delle fasi del disturbo, c’è infatti la negazione che qualcosa che non vada, che solitamente si fa risalire a una proiezione distorta della realtà. Qualcuno fa anche risalire il problema ai modelli eccessivi promossi dal mondo della moda e dello spettacolo, ma c’è naturalmente qualcosa di più profondo che spinge le persone verso il disturbo alimentare, non semplicemente l’adesione a un modello potenzialmente inarrivabile. C’è, addirittura, chi parla oggi di una predisposizione genetica. Al momento, gran parte delle terapie si concentra sulla psicanalisi, da soli o in gruppo. A volte e soprattutto in caso di minori, la psicanalisi coinvolge tutta la famiglia del paziente. Ma il primo passo da fare è appunto acquisire consapevolezza e chiedere aiuto.