Più o meno tutti quelli che si sono trovati a fronteggiare un attacco di panico lo raccontano come un’esperienza di sottrazione. Ad esserti tolta è la capacità di reagire, di capire, di controllare le emozioni. Anche per me è stato così, all’improvviso, a letto, in quel momento preciso che precede il sonno e che dovrebbe essere di massimo relax. Invece la morsa mi ha tolto braccia, gambe, tutto ha fatto spazio a una paura così grande da sentire il tempo dilatarsi fino a far nascere ‘la paura della paura’ che potesse ritornare ancora a prendermi.

Così ho iniziato a evitare di uscire per non farmi trovare allo scoperto, a non dormire in quel letto perché il ricordo stesso era già di per sé spaventoso. Mi sono convinta di avere un problema al cuore perché batteva sempre troppo veloce e mi sembrava in generale di aver perso il mio ritmo, il mio respiro.

Con il tempo mi sembra di aver capito che per l’attacco di panico non ci sia cura, ma solo perché è altrove che questa cura deve rivolgersi.

L’allarme suona perché qualcosa di imprecisato dentro di noi grida più forte del pensiero logico, tenta di farsi sentire oltre tutte le barriere che abbiamo alzato per convincerci che ‘va bene così’, che tutto sommato la felicità è stare tranquilli, fermi, sereni. Nel mio caso gli attacchi di panico sono sempre arrivati a salvarmi dal sonno, forse metaforicamente è proprio per quello che arrivano principalmente a letto. Perché ci addormentiamo sopra i nostri desideri, sopra la nostra autenticità, sul bisogno di evolvere. E come nelle fiabe arriva il mostro, a farci paura, a scuoterci per farci tornare a correre.

L’arte mi ha aiutato come nessun’altra cosa. Ho sempre fatto dei disegni molto precisi, carichi di ansia da prestazione, gomma da cancellare sempre in mano, bordi netti e delicati. Coloravo con pazienza a matita ed acquerello, con velature prudenti, ben ponderate, graziose. Un giorno sono rimasta ferma in atelier perché l’attacco di panico mi impediva di mettermi in macchina e tornare a casa. Allora ho dipinto per la prima volta senza fare nessun disegno preparatorio, abbandonando ogni progetto, mettendo da parte il controllo e lasciando che qualcosa prendesse forma sulla tela, come per magia. La magia è importante, a questo nome deleghiamo tutto quello che non entra nel nostro voler capire. Infatti non ho capito come ma il colore sulla tela ha agito per me sulla mia voglia di cambiamento, sulla mia mania di controllo e alla fine mi ha aperto a nuove strade, impreviste.

Oggi uso la pittura intuitiva come un allenamento creativo, nel mio atelier dove tengo e organizzo molti corsi di arte è diventata una pratica di gruppo, condivisa. Come nella tela il colore sgocciola senza che lasci intravedere il risultato finale, così anche la vita ha bisogno di spazi non inquadrati, spazi in cui il controllo si fa da parte per fare entrare il nuovo“.

Gabriella Trovato ci ha affidato la sua testimonianza dolorosa per capire quanto profondo possa essere il malessere di chi soffre di attacchi di panico, disturbo per cui apparentemente non esiste cura e che, troppo spesso, viene sottovalutato dagli altri perché rientra in quelle malattie “non visibili” che, per questo, sono giudicate anche inesistenti.

Oggi Gabriella convive con il panico, che riesce a sfogare nella pittura, esprimendo con la creatività tutta la sofferenza e il disagio che il suo “compagno di vita” le procura. Su Instagram mostra i suoi dipinti e si racconta senza filtri, come in questo post.

Nel suo lavoro tiene corsi e laboratori per bambini, ragazzi e adulti, come si legge sul suo sito ufficiale, Due di Quadri; chissà se anche a loro insegnerà l’importanza dello sfogare ogni tipo di malessere, del non isolarsi, dello scegliere di lottare contro un nemico subdolo che, pur se invisibile, è decisamente tutt’altro che inesistente.

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