Le infezioni vaginali sono fastidiose, ma anche diffuse e comuni. Basta infatti che si alteri il pH della flora batterica vaginale che possono formarsi batteri e germi patogeni, causando infezioni e funghi. Per poter identificare la presenza o meno di microrganismi di questo tipo, viene effettuato il tampone vaginale, un esame solitamente poco invasivo e poco fastidioso.

Effettuato dal ginecologo in presenza di alcuni sintomi che possono far pensare a un’infezione, il tampone vaginale è uno strumento diagnostico importante, che aiuta non solo a rilevare eventuali patologie, ma anche a decidere la terapia più mirata e adatta, in modo da curare al meglio l’infezione. Vediamo meglio di cosa si tratta e quando è necessario effettuarlo.

Tampone vaginale: a cosa serve?

La cavità vaginale è popolata fin dalla nascita da una flora batterica, che, nonostante contenga batteri, è estremamente utile e positiva per il benessere. Infatti i batteri della flora vaginale compiono un’importante azione di difesa contro i microrganismi patogeni con cui questa zona particolarmente sensibile può entrare in contatto. L’organo femminile è così in grado di proteggersi da germi e batteri cattivi, quando l’acidità si mantiene con un pH tra 4 e 4,5, l’habitat ideale per i batteri, soprattutto Lactobacilli.

Quando il pH, e dunque l’ambiente della flora batterica, subisce dei cambiamenti, dovuti soprattutto a un calo delle difese immunitarie, ma anche per il contatto diretto con batteri, ad esempio durante un rapporto sessuale non protetto da preservativo, o se non si cura correttamente l’area vaginale. Si possono così sviluppare direttamente all’interno della flora, o attaccare dall’esterno microrganismi e batteri patogeni, che causano infezioni di diverso tipo.

Il tampone vaginale serve proprio a determinare la presenza di un’infezione di tipo batterico, a individuare il batterio implicato, e di conseguenza diagnosticare di che infezione si tratta. A seconda dei casi, il medico può decidere se analizzare solamente la cavità vaginale o se l’infezione può essere presente anche nel collo dell’utero. In questo caso è più corretto parlare di tampone cervicale, poiché il tampone preleva cellule e secrezioni dalla cervice.

I microrganismi di tipo batterico che causano infezioni sono tanti, tra cui i principali sono stafilococco, streptococco, enterococco, candida, ma anche gardnerella vaginalis responsabile della vaginosi batterica. Rientrano nella diagnosi anche infezioni a trasmissione sessuale di tipo batterico, come la clamidia e la gonorrea.

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Quando serve fare un tampone vaginale

Il tampone vaginale non è sempre necessario, talvolta i sintomi possono essere lievi e chiari, e l’infezione può essere curata senza un esame ulteriore alla visita ginecologica. Tuttavia, in presenza di determinati sintomi, specialmente quando si manifestano correlati, è importante fare un approfondimento per comprendere meglio l’infezione e le cause. Il ginecologo prescrive un tampone vaginale in particolare quando si presentano:

  • arrossamento dell’area genitale;
  • prurito o dolore intimo;
  • dolore durante i rapporti sessuali (vulvodinia);
  • perdite vaginali anomale;
  • pesantezza che si avverte nella zona del basso ventre.

Come abbiamo visto, le infezioni batteriche possono essere causate da una proliferazione incontrollata di batteri che alterano il PH vaginale, causando quelle che chiamiamo vaginosi batteriche. Oppure l’alterazione dell’equilibrio della flora vaginale può essere determinata da sovrabbondanza di lieviti, o ancora da infezioni sessualmente trasmissibili di natura parassitaria.

Tampone vaginale in gravidanza

Durante la gravidanza il ginecologo può consigliare di effettuare un tampone vaginale. Rappresenta infatti uno strumento diagnostico efficace, in grado di rilevare eventuali infezioni che possono essere pericolose per la mamma e il feto e che spesso si presentano in maniera asintomatica. Verso la settimana 36-37 è opportuno fare o ripetere il tampone per escludere la presenza di ulteriori batteri, accompagnato da un tampone rettale e urinocoltura.

Un’attenzione particolare è data allo Streptococco beta – emolitico di gruppo B. Questa infezione si manifesta con un’incidenza di circa 1 bambino ogni 1000, e viene trasmessa all’interno dell’utero o durante il parto. L’infezione da Streptococco beta può causare anche gravi danni al nascituro, tra cui shock, polmonite e meningite, ed è importante quindi che sia diagnosticata preventivamente.

Preparazione all’esame

L’esame del tampone vaginale è veloce e semplice, che risulta, a seconda della sensibilità dell’area, più o meno doloroso, e che nella maggior parte dei casi non dà nessun fastidio. Per ottenere un risultato il più corretto possibile è necessario prepararsi all’esame seguendo alcuni accorgimenti importanti:

  • non effettuare l’igiene intima il giorno dell’esame;
  • non fare irrigazioni e lavaggi vaginali;
  • astenersi da rapporti sessuali per almeno 24 ore prima dell’esame;
  • evitare ogni tipo di terapia antibiotica o antimicotica. Se la terapia è in corso, sospenderla almeno una settimana prima;
  • evitare anche terapie locali in vagina come gli ovuli o le candelette;
  • fare l’esame qualche giorno dopo la fine del ciclo mestruale, o qualche giorno prima dell’inizio;
  • Lavarsi in doccia e non in vasca, dove è più facile che si crei un ambiente batterico, nelle 24 ore precedenti il tampone.

Se si osservano questi consigli, il risultato non sarà alterato, poiché si evitano ulteriori modifiche nella flora batterica, e sarà possibile in coltura osservare l’effettiva presenza di agenti patogeni e infezioni.

Come si svolge l’esame?

tampone vaginale
Fonte: Web

L’esame del tampone vaginale è molto semplice e poco invasivo, oltre che veloce. Nonostante i medici sostengano che sia indolore, c’è chi può provare del fastidio o addirittura dolore, specialmente se la zona genitale è particolarmente sensibile di natura o per via dell’infezione stessa. Per iniziare l’esame, la paziente si posiziona sul lettino dello studio ginecologico con le gambe divaricate e viene illuminata la zona.

Se è prescritto un esame cervicale, oltre a quello vaginale, il procedimento per la paziente è simile, con la differenza che viene inserito lo speculum per allargare leggermente la cavità e raggiungere più facilmente il collo dell’utero. Attraverso l’utilizzo di un bastoncino ricoperto di ovatta simile a un cotton fioc, ossia il classico tampone, inserito a una profondità di circa 4-5 cm, la ginecologa o un’ostetrica esegue un prelievo delle secrezioni che si trovano nella cavità vaginale, solitamente sulle pareti interne.

Il prelievo avviene grazie ad alcune leggere rotazioni del tampone sulle pareti, in modo da garantire la raccolta di sostanza da analizzare. Una parte delle secrezioni e delle cellule prelevate viene strofinata su un vetrino. Il tampone è in seguito inserito in un contenitore sterile. Il tutto viene mandato in laboratorio affinché avvenga la coltura dei batteri e l’analisi per determinare la famiglia del microrganismo patogeno e la natura dell’infezione. In questo modo il medico riceve i risultati dopo qualche giorno da comunicare alla paziente e decidere la terapia adatta.

I risultati del tampone vaginale

Un tampone di qualsiasi genere, che serva a determinare la presenza o meno di determinate patologie e infezioni, può avere un risultato positivo o negativo. Allo stesso modo il tampone vaginale può risultare in questi due modi, e a seconda del responso, il medico decide se somministrare una terapia e quale.

Tampone vaginale negativo

Se il tampone vaginale risulta negativo, può significare diverse cose. Più frequentemente significa che non è presente un’infezione batterica, ma potrebbe invece esserci un’infiammazione di altro genere a causare i sintomi fastidiosi. Oppure, potrebbe essere avvenuto uno squilibrio della flora batterica, senza tuttavia trasformarsi in un’infezione. In questo caso è sufficiente assumere fermenti regolatori.

Altre volte un tampone negativo può invece presupporre che l’infezione ci sia ma che il numero di batteri patogeni sia inferiore ai livelli rivelati dall’esame. Ad esempio nel caso della candida, la flora batterica vaginale contiene di natura i bacilli che, se alterati, si trasformano in batteri patogeni che causano l’infezione. Può essere quindi che il tampone non rilevi ancora il problema ed è necessario approfondire con un esame più completo.

Tampone vaginale positivo

Se il tampone vaginale è positivo, significa che sono presenti microrganismi patogeni e dunque un’infezione vaginale. Il medico può quindi pensare al trattamento più adatto, che può essere costituito da terapie topiche, come gli ovuli, ad esempio per vaginosi meno gravi, oppure da terapia antibiotica più specifica. Nel caso particolare dello Streptococco di tipo B, può capitare che il tampone risulti positivo ma non riporta infiammazioni vaginali. Pertanto in questi casi non sono necessarie cure.

Gli antibiotici anzi non debellano affatto questo battere, ma possono invece alterare ulteriormente la flora batterica causando i medicinali stessi delle infezioni. Cambia la situazione in gravidanza, poiché, come abbiamo visto, lo Streptococco può essere pericoloso per il feto. Se alla 36^ settimana di gravidanza una donna risulta positiva al tampone vaginale, non vengono somministrati subito gli antibiotici.

Si deve invece intervenire durante il parto, se si tratta di un parto naturale, per proteggere il feto al momento della nascita. Solitamente la scelta ricade su ripetute somministrazioni di penicillina, amoxicillina o altri antibiotici in caso di allergia ai precedenti. Purtroppo non si può agire in ulteriore modo se non proteggendo così il neonato, e esaminare dopo la nascita se il germe è stato trasmesso al bambino. Il dottore prescrive antibiotici prima del parto solamente nel caso in cui anche l’esame delle urine risulti positivo.

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