Ci sono malattie che, anche se invisibili, possono essere estremamente invalidanti, e colpire profondamente una persona sia nel fisico che, soprattutto, nello spirito; è il caso della vulvodinia, patologia che affligge 4 milioni di donne solo nel nostro Paese e che comporta problematiche gravi nella vita di tutti i giorni.

Con termini “tecnici” si potrebbe descrivere come un dolore cronico nella zona che circonda la parte più esterna dei genitali, ovvero la vulva, senza una causa apparente, con una sensazione percepita che è quella di un forte bruciore, associato a pizzicore e irritazione. Ma forse a descrivere meglio quello che provano le donne che ne soffrono sono le parole di Sara, che ci ha scritto proprio per chiedere aiuto a diffondere la consapevolezza sul problema; perché per il Servizio Sanitario Nazionale la vulvodinia è come se non esistesse, tanto che è stata creata una petizione proprio per chiederne il riconoscimento.

Le donne con la vulvodinia, ci scrive Sara, “non possono fare l’amore perché le mucose si lacerano come carta velina,  non si possono sedere o camminare senza provare dolori vulvari indicibili, non possono fare sport senza rischiare di compromettere il loro pavimento pelvico; non possono indossare pantaloni o calze troppo strette, hanno paura di fare la pipì per il bruciore e per le cistiti perenni, non possono lavarsi normalmente.
Sono donne che non si sentono donne, che devono seguire una dieta ristrettissima perché la maggior parte dei cibi aumenta l’infiammazione, che sono costrette a spendere una fortuna solo per riuscire ad avere una diagnosi perché i medici che conoscono la patologia sono pochissimi, privati e situati nel nord Italia, donne che si indebitano per seguire le ‘cure’ che comunque non garantiscono la guarigione (non esiste una cura vera e propria), donne stordite dagli antidepressivi e dagli innumerevoli farmaci che sono costrette ad assumere, che si svegliano senza forze, vivendo ogni singolo giorno da malate invisibili, prese per pazze, isteriche, stressate, ansiose e ipocondriache dai medici, dai propri familiari, dai colleghi di lavoro e dalle persone che le circondano… Tutto questo succede nel 2019. In Italia. Non è giusto.”

E allora, proprio a queste cinque donne, che hanno scelto di raccontarci la propria esperienza, abbiamo deciso di lasciare la parola. Perché le loro, di parole, sono sicuramente più significative di qualsiasi altra delucidazione medica o spiegazione tecnica.

Sara, che ha smesso di fare sesso per il dolore: “Gli sembrava di violentarmi”

“Sono Sara, vivo a Milano, ho 24 anni e da che io ricordi ho sempre sofferto di problemi intestinali. Nel 2014 inizio stranamente ad avere lo stimolo urinario frequente, ma non ci do troppo peso. L’anno dopo, a seguito di dolori e coliche lancinanti che mi hanno colta in università, inizio a farmi prescrivere i primi esami del sangue e le prime ecografie. È sempre tutto perfetto, per il mio medico è colon irritabile. In quell’anno conosco l’amore della mia vita, ma c’è qualcosa che non va: fare l’amore con la persona che amo è doloroso, tanto doloroso.

Passo mesi su mesi convinta che sia solo questione di abitudine, di elasticità, di lubrificazione, di incompatibilità al lattice del preservativo. Il dolore è talmente forte che sento di avere dei tagli e i giorni seguenti ai rapporti non posso camminare, non mi posso sedere, devo fare attenzione a lavarmi perché tutto brucia, persino gli slip e le cuciture sui pantaloni. Mi accorgo però che questa non è solo una sensazione: i tagli ci sono davvero.

Le mie mucose si lacerano a ogni rapporto, nonostante ogni accorgimento possibile.

Mi informo più che posso e inizio a credere che i miei dolori abbiano un nome: vulvodinia.

Mi presento per la prima volta dalla ginecologa e le spiego di cosa potrei soffrire, lei non mi ascolta, dice ‘Sì, chiamiamola vulvodinia… Ma vedi è questione di sensibilità, è come il solletico: ci sono persone che lo soffrono e altre no. Ma col ragazzo come va tutto bene?’; mi visita, le chiedo di fare attenzione perché lacerarsi è un attimo, infila lo speculum senza lubrificante, preme e mi stuzzica il vestibolo come farebbe un macellaio con un pezzo di carne, mi lacero.

Mi dà una cura inutile, mi rifila la pillola, mi chiedo ‘Non sa cos’ho, magari è un’infezione e mi spinge ad aver rapporti non protetti?’. La saluto e mentre sto per uscire ‘Sei giovane, smettila di pensare di avere problemi’…
Passa un anno […] Trovo un’ostetrica che a Milano tratta donne con la mia patologia. Finalmente ho la diagnosi, finalmente qualcuno mi crede. Non sono pazza.

Da lì inizio la riabilitazione del pavimento pelvico sia con l’ostetrica che con l’osteopata, fatto di terapie in studio due volte a settimana, a casa ogni giorno, TENS, integratori PEA che dopo un anno smetto per gli effetti indesiderati sullo stomaco (avevo conati ogni sera), dieta senza ossalati, creme e mica creme, oli, massaggi, gel, impacchi e farmaci.

Farmaci che mi mettono in completo stand by. Non mi riconosco più, non ho più il controllo su me stessa, sono diventata narcolettica, mi addormento ovunque, cado letteralmente in un sonno profondissimo a un’ora esatta dall’assunzione dell’amitriptilina (laroxyl), la mattina qualcuno deve svegliarmi perché io non riesco a muovermi, ho la tachicardia perenne, non riesco a studiare perché il farmaco mi ha compromesso la memoria (anche a breve termine) e i riflessi, sono apatica, depressa…

Per non parlare di tutte le infezioni che ho contratto e che nonostante antibiotici e terapie non ho risolto. ‘Sara il problema è l’intestino’. Faccio uno screening per capirci qualcosa. Valori sballati. Ho il colon e il pancreas altamente infiammati e per di più cronicamente. Uno dei migliori gastroenterologi di Milano minimizza, non mi prescrive nulla, solo lassativi da prendere a vita, ‘colon irritabile’ scrive. Nel frattempo faccio ecografie pelviche, transvaginali, vulvoscopie come se fossi abbonata e tante di queste ovviamente eseguite male.

Micropapillomatosi da infezioni pregresse, liquido nel Douglas, ovaio ipomobile, utero gonfio. Scopro di avere l’endometriosi.

Abbiamo sospeso i rapporti per più di un anno. Avevamo smesso dopo un attacco di panico proprio mentre cercavamo di fare l’amore. Aveva la sensazione di violentarmi. Gli spasmi hanno invaso il mio corpo e mi immobilizzavo per la paura di provare ancora quella sensazione orribile. Ancora adesso il mio cervello va in tilt e mi ci vuole un po’ per tranquillizzarmi. Gli effetti di questa malattia sulla psiche e sulle relazioni sono devastanti. Non ci si sente più donne. Si viene annientate.

Ho iniziato ad avere problemi anche al di fuori dei rapporti. Uso cuscini speciali per sedermi, non posso camminare per tanto (devo comunque ungermi tutta prima di camminare), a volte sono costretta a fermarmi e stendermi perché non sopporto nemmeno l’aria sulla vulva, mi strapperei la pelle, i peli non li sopporto, il vestibolo punge e non riesco a pensare ad altro.
[…] Ad oggi mi fido solo di me stessa. La ricerca è ferma purtroppo e noi siamo troppo sole. Chiediamo solo di essere riconosciute e di essere studiate seriamente. Non siamo malate di serie B, abbiamo diritto a una cura anche noi“.

Un calvario lungo una vita

Ciao, ho 37 anni e sono di Trento. Mi sono sposata 6 anni fa a Trento ma ora vivo a Milano. All’età di 18 anni la mia prima cistite emorragica, ricordo ancora, era Natale e i miei stavano tornando da un viaggio ed ero sola in casa. Vado a fare pipì e… Sangue! Con conseguente dolore sordo, fortissimo.

Chiamo un’amica di famiglia che era il riferimento per eventuali problemi. Mi dice di prendere tachipirina e andare a letto. Da lì inizia il mio calvario. Per anni e anni ho sofferto di 5/6 cistiti all’anno. Ma non erano cistiti con dolori normali, sembrava che un coltello mi trapassasse il clitoride. I dolori al basso ventre come quelli del parto, con tanto di piccole contrazioni. Vado da un urologo consigliato a mia madre da una sua amica. Mi visita, ecografia, niente di rilevante.

Mi dà Spasmex, da prendere quando sento male. Urinocoltura negativa. Mi fa fare scintigrafia renale. Tutto a posto tranne per una piccola malformazione al bacinello del rene. Un rene più alto e uno più basso. Non mi dà molte indicazioni se non di smettere di usare i jeans, vestiario intimo di lana, bere molto e usare antibiotico. Sempre e comunque. Chinoplus, Augmentin, Ciproxin, Neo Fouradantin, Levofloxacina, Cistalgan, integratore a base di cranberry, Monuril che mi rifiuto di prendere perché non fa proprio niente!…e Tachipirina a go go, come fossero caramelle. Niente protezione gastrica ovviamente.

[…] Mi trasferisco a Milano (a Trento mi trovo proprio male) dal mio ragazzo che poi sarebbe diventato mio marito. Nessuna cistite fino a 3 mesi. Cistite. Antibiotico. Cistite emorragica. Antibiotico. E continuo cosi… Finché un bel giorno svengo in ufficio. Quando mi tirano su non ho sintomi. Niente di niente. Per politica aziendale chiamano un’ambulanza e mi portano all’ospedale.

Mi raggiunge il mio ragazzo. Mi fanno mille esami, 4 radiografie all’addome, niente di niente. Mi trovano un valore un po’ alto e gli esami delle urine un po’ fuori. Mi danno antibiotico e tanto riposo. Dopo 3 giorni, sono al lavoro perché amo il mio lavoro e amo dove lavoro. Arrivo all’anno in cui il mio ragazzo mi chiede di sposarlo… Felicissima iniziamo i preparativi. Vado in palestra per dimagrire, vado sulla cyclette…

Dopo due giorni cistite. Vado a nuoto… Bruciore minzionale. Antibiotico. Chiamo disperata il mio urologo di Trento… Mi dice di prendere antibiotico e di non lamentarmi (è normale!). Va beh. Vado ancora in palestra… Dopo una settimana mollo.

Non ne posso più. Continuo ad avere cistiti due volte a settimana.

Arriva il giorno delle nozze. Sono in uno stato pietoso. Non sorrido… Sono emozionata. Arriva il pomeriggio e durante il ricevimento vado in bagno. Bruciore. Faccio finta di niente. Partiamo per la luna di miele. Due cistiti… Abbiamo un rapporto e il giorno dopo cistite. Prendo antibiotico. Torno a Trento per vedere i miei. Sabato (una settimana dopo il nostro rientro in Italia) sento che mi arriva una cistite emorragica. Corro al pronto soccorso. Mi fanno aspettare 4 ore (perché tu sei li che non stai né in piedi, né seduta, né di traverso… Ma tanto non sei grave. Hai solo una cistite!), test di gravidanza anche se gli urlo esasperata che se fossi incinta lo sarei dello Spirito Santo!

Finalmente mi visitano. Sentono la mia storia tra le lacrime e presi da un attimo di magnanimità mi dicono che mi tengono li la notte. Olè! Il giorno dopo mi mandano dall’urologo […]. Mi fa un’ecografia saltandomi sulla pancia. Ho malissimo alla vescica ma non gli importa. Non ho niente. Mi manda a casa. Non vuole farmi la ricetta per gli antibiotici, per lui io li devo comprare… Stufa di questo trattamento vado dal mio vecchio urologo che nel frattempo si è trasferito in un ospedale vicino. Mi visita, niente di rilevante. Mi dice che vuole farmi una cistoscopia. Va bene.

Faccio la cistoscopia ed esco dalla sala operatoria urlando. Ho qualcosa li, proprio li, che mi crea un dolore atroce. Mentre sono ancora sotto effetto del delirio dell’anestesia viene li e mi urla in faccia che ho una stenosi della madonna… E che per colpa mia non gli entrava il cistoscopio. Mi viene da piangere […] Chiamano l’infermiera, dopo 3 ore mi tolgono il dilatatore. Questa quando me lo toglie si stupisce ‘Ma signora, le hanno messo un dilatatore da uomo, ecco perché ha così male… Povera!’. Piango e piango. Cerco di fare pipì e non ci riesco. Mi portano in ambulatorio e cercano di inserirmi un catetere CH 16. Niente da fare. L’urologo si spazientisce e mi sgrida.

[…] Mia madre si interessa e incontro la fisioterapista Borella. Una santa! Mi riceve e mi spiega cosa ho. Mi dà esercizi da fare e facciamo una serie di incontri e trattamenti che mi rimettono in piedi. I dolori cronici in 3 anni sono quasi andati via. Pian piano torno a stare seduta un po’ al pc. Mi è impossibile lavorare 8 ore seduta su una sedia. Inizio a rendermene conto. […] Inizio la riabilitazione del pavimento pelvico. La fisioterapista si accorge che ho l’uretra un po’ spostata, non come le altre donne, e posizionata molto in basso, verso la vagina. Ora mi ascolto molto di più. Ogni giorno mi sveglio e faccio gli esercizi, anche fare la pipì è diventata una routine di rilassamento.

Argomento rapporti. Quando avevo 20 anni ero veramente felice a fare l’amore. Ora è un problema. Ogni volta che ho il periodo fertile ( proviamo ad avere un bimbo da ben 7 anni) mi arriva una cistite o un fastidio che non mi permette di avere rapporti. Insomma. Fare l’amore è un evento epocale nella nostra storia. […]

 Nel 2016 è arrivata la nostra bimba con adozione nazionale. Un sogno… Vado avanti così, non prendo più l’antibiotico se proprio non mi serve. Mi auto massaggio, riposo quando serve e vivo alla giornata. Sono ingrassata 30 chili. Quando ho conosciuto mio marito pesavo 52 chili, ero bellissima. Mi sono sposata obesa. Guardo le foto delle nozze e non mi piaccio. Pensate che quando faccio la spesa mi fanno passare perché pensano che sia incinta dalla pancia gonfia che mi è venuta! Seguo una dieta equilibrata. A breve farò due interventi alle ginocchia in modo che possa tornare a fare un po’ di sport. Questa è la mia storia”.

Non so cosa significhi sentirmi realizzata

Questa è la mia storia. Il mio incubo è arrivato in punta di piedi intorno al 2006 con episodi di cistite sempre più frequenti, quasi sempre dopo i rapporti sessuali, per cui prendevo Monuril. Nel corso degli anni sono andata avanti così fino a che il bruciore uretrale, via via che passavano i mesi, era sempre più presente nonostante poi le urinocolture fossero negative.

Ho iniziato a fare numerosi esami scoprendo di essere affetta anche da colon irritabile. Nel 2010 ho avuto una forte cistite nel periodo estivo, da quel momento il bruciore uretrale e le contrazioni uretrali non sono mai sparite.

Nel 2011 faccio una visita urologica dove mi si dice di prendere un farmaco che mi ha creato un sacco di problemi e di lavarmi con il Betadine, facendo anche delle lavande; i miei problemi aumentano, il bruciore urinario e uretrale aumenta sempre di più e mi sembra di avere aghi e coltellate in vagina, dolori sempre più insopportabili da gestire.

Finisco da una dottoressa di neuro-urologia che, dopo varie cure farmacologiche e cistoscopie tutte ok, mi dice che sospetta che il mio problema sia di altra natura e mi manda da un esperto ginecologo per sospetta endometriosi; quindi nel 2011 vengo operata in laparoscopia con asportazione di 2 sacche endometriali di 3° grado ( legamento utero-sacrale e plica vescicale ). Mi si dice che sicuramente i miei problemi erano legati a quello ma, dopo mesi, la situazione continua a peggiorare quindi ritorno dall’urologa che mi esegue un esame di  uroflussometria.

La diagnosi è di iperattività vescicale e ipertono dello sfintere uretrale. Finisco in sala operatoria per eseguire una cistoscopia con anestesia visto che appena mi mettono un catetere urlo come se mi stessero torturando. La dottoressa sospetta una neuropatia e propone intervento di Neuromodulazione Sacrale effettuato nel mese di marzo. Questa operazione è veramente dura da sopportare, ma lo è molto di più il dopo, perché ti ritrovi con una macchinetta collegata esternamente da un filo che esce dalla pancia… E una batteria, in una tasca interna nella mia schiena, molto dolorosa.

[…] Dopo 15 giorni l’elettrodo si disloca (cosa molto rara) e quindi rientro in sala operatoria per rimuovere l’impianto provvisorio, nel mese di maggio. Non mi sento di fare un nuovo intervento per posizionarlo sull’altro fianco. […] Passa il tempo e i dolori si ripresentano sempre più insistenti: sensazioni di aghi in vagina e al clitoride, coltellate e bruciore fisso 24 su 24 uretrale. All’inizio dei rapporti, che ovviamente avvengono sempre meno, avverto un lieve dolore solo durante la penetrazione e quasi sistematicamente nell’arco di 24 ore si presentano episodi di cistite.
Inizio a finire al pronto soccorso ogni volta con cistiti anche emorragiche, ma molte volte senza un riscontro di batteri (eseguiti sempre però solo esami con stick urine).

[…[ Ci ho messo più di 4 anni per arrivare a un centro medico in cui, durante una visita nel 2013, mi viene finalmente detto che non sono pazza ma che soffro di vulvodinia e uretrodinia grave. Da allora sto provando tutte le terapie possibili, sto facendo Tens, elettroporazioni, radiofrequenza e qualsiasi altra terapia mi viene proposta per poter non dico guarire ma arrivare ad avere una vita il più normale possibile. Purtroppo per ora non sta funzionando nulla… Poiché il ritardo diagnostico ha cronicizzato la mia malattia e quindi, secondo più esperti, sono considerata fra i casi più gravi.

In questi 10 anni da quando la malattia è diventata completamente invalidante io non esco più, ho perso il lavoro, ho esaurito tutti i soldi guadagnati, non so più cosa significa uscire con gli amici (in realtà ormai non ne ho praticamente più), andare a mangiare una pizza, andare in vacanza… Non posso stare troppo in piedi o troppo seduta, non posso camminare troppo perché poi la pago per giorni…Mi basta una pipì ‘sbagliata’ per piegarmi in due e dover stare a letto, non posso avere rapporti sessuali senza finire in ospedale e poi a letto per più di un mese imbottita di antidolorifici. Non so cosa significa sentirmi realizzata, potermi sposare o avere un figlio”.

Rossella: “Sono malata, ma non posso permettermi le cure”

“Ho 34 anni e soffro di vulvodinia (con uretrodinia grave) colon irritabile, endometriosi, inizio fibromialgia.
Tutte malattie che hanno una correlazione fra di loro (per non parlare di altre patologie non collegate)… Non vivo più e non ho più speranze!

Mi chiamo Rossella, ho 42 anni e soffro da 12 anni di vulvodinia e patologie correlate ad essa. Il mio tunnel senza fine ha avuto inizio a 30 anni, dopo una diagnosi tardiva di celiachia e un fortissimo stress lavorativo. Lo stesso anno contraggo un Mycoplasma Vaginale, ma i ginecologi non sanno curarmelo e mi prescrivono ben nove cicli di antibiotici diversi, completamente inutili. Nessuno capisce nulla e i bruciori iniziano a farsi sempre più forti. Dopo un anno, trovo un professore che mi dà la cura giusta, ma la vulvodinia ha già fatto la
sua strada ed entra prepotentemente nella mia vita.

La diagnosi, effettuata da uno dei medici più rinomati in materia (all’epoca era l’unica a conoscere la malattia), mi è stata fatta al costo di 350 euro. Ma non posso permettermi le sue cure. Per me è impossibile riassumere in poche righe cosa ho passato in 12 anni. Ho girato tutta l’Italia per avere solo miglioramenti parziali. Provato molti farmaci, integratori, mi sono fatta infilare aghi nel nervo pudendo, ma ogni volta tornavo a casa con dolori tremendi e con questi mi presentavo a lavoro… Nonostante la crescita esponenziale di donne affette da vulvodinia (1 donna su 6) pochissimi medici sanno diagnosticarla o trattarla. C’è poca preparazione della classe medica in generale.

Nel 2009 perdo il mio lavoro a tempo indeterminato. Al lavoro non rendo. Sono costantemente concentrata sul bruciore che non riesce ad abbandonarmi. Fitte. Punture di spilli. Lacerazioni. Stanchezza cronica. Rapporti amorosi che falliscono a causa del mio problema. Visite e permessi infiniti a lavoro. Ho fatto una stima di ciò che ho speso per poter solo migliorare la patologia: in 12 anni ho speso sui 50.000 euro tra esami, farmaci, integratori, fisioterapia, visite continue.

[…] Da allora sono riuscita a migliorare solo parzialmente il mio problema, che però intanto si è espanso alla vescica. Oggi infatti soffro anche di cistite interstiziale. Nel mio percorso e nel percorso di tutte noi ho dovuto includere visite presso gastroenterologi, nutrizionisti, osteopati, fisioterapisti, urologi, immunologi. E tutto ciò privatamente. A marzo 2019 faccio una risonanza da una bravissima radiologia di Cremona e scopro di avere anche endometriosi: è proprio lei che mi ha aperto la strada della sofferenza ben oltre 12 anni fa.

Nessun medico si è preso la briga di indagare in modo approfondito sul mio problema e sulle sue cause. Ho dovuto affrontare ogni singolo trattamento privatamente e sentito centinaia di pareri contrastanti privatamente, ho dovuto chiedere prestiti, non ho potuto farmi una famiglia, spendo ogni giorno una fortuna in farmaci che mi hanno compromesso la memoria, l’umore, la vitalità, tutto. Ad oggi non ho un lavoro fisso e per il dolore cronico non posso affrontare un lavoro a tempo pieno, ma non posso rientrare nelle categorie protette perché la vulvodinia non è riconosciuta.

[…] Per quanto mi riguarda nessuno mi restituirà gli anni più belli e probabilmente non avrò più la possibilità di diventare mamma. Nessuno capirà mai ciò che ho passato in questi anni brancolando nel buio. Non sarò mai più la Rossella prima della malattia. Ma io chiedo che tutto questo finisca, perché la vulvodinia ti cambia, ti annienta, ti isola… La vulvodinia non si vede. Ma esiste ed è la compagna di vita peggiore che possa esistere. Di Vulvodinia non si muore, è vero, ma nemmeno si vive”.

Non mi sono nemmeno accorta di essere diventata una donna

Sono una donna di 44 anni e soffro di vulvodinia da quando ne avevo 24, ovvero 20 anni. Di fatto da tutta la mia vita da ‘adulta’. In questi lunghi anni ho passato tante e diverse fasi della malattia. Da quella iniziale acutissima, che mi ha portato per anni all’impossibilità totale di avere rapporti sessuali, a poter indossare pantaloni, ad andare in bicicletta, con un bruciore e dolore costante e uno smarrimento legato alla mia allora giovane età e alla difficoltà di dare un nome a tutto questo male, con medici che non mi credevano e la vergogna di poterne parlare.

Dopo la diagnosi e terapie sono guarita (o così credevo) e, seppure sempre molto delicata, sono tornata a una vita normale. Ma dopo qualche anno la bestia si è ripresentata con lacerazioni, bruciori vaginali, peso pelvico e cistiti post-coitali. Ci sono giorni in cui è impossibile stare seduta, giorni un cui anche solo le odiate mutande bianche di cotone sembrano lacerarmi… E allora nuovamente medici su medici, in viaggio in diverse città in cerca di una soluzione, terapie sia fisiche che farmacologiche.

Ho incontrato medici professionali che hanno provato a curarmi, medici che mi hanno rovinata facendomi tornare mille passi indietro e medici che mi hanno deriso e fatto piangere nei loro studi. Continuo in questa alternanza di alti e bassi alla ricerca perenne della guarigione totale se mai possibile.

La malattia mi ha cambiata tanto da non capire più dove stesse il confine tra essa ed il mio passare da ragazza a donna. Tanto da non sentirmi appunto più una ‘donna completa’. Da sentirmi sbagliata con gli uomini che mi hanno definita fredda, e io mi sono chiusa sempre più in me stessa.

Quando ero sana amavo fare sesso… Poi ho avuto anni in cui mi contraevo e avevo paura semplicemente di farmi sfiorare da un uomo. Sono arrivata a invidiare le donne ‘normali’ che possono indossare jeans stretti e perizoma e fare l’amore quando vogliono.

Io non posso fare nessuna di queste cose. E oltre al dolore fisico costante esiste la solitudine. Quel sentimento che ti annienta e ti fa sentire ancora più sbagliata: familiari e amici che non capiscono, che minimizzano che ti considerano semplicemente ‘negativa’. Io non so se guarirò mai, io continuo a lottare e a sperarci ma vorrei almeno che si alzasse l’attenzione per tutte quelle (tante) donne che come me soffrono e faticano a vedere la luce. Noi non siamo pazze, noi non siamo negative. La vulvodinia esiste“.

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