Francesca Duranti racconta il Lichen scleroatrofico, che "mangia" i genitali

"Ho visto cambiare la conformazione della mia vagina, quando ho fatto la biopsia non avevo già più il clitoride. Lentamente scompare quello, poi grandi e piccole labbra, è come se la vagina diventasse un tutt'uno, come se si fondesse e si chiudesse completamente. Il dolore provocato dalle lacerazioni è tremendo, è come se qualcuno con una bambola vodoo ti infilasse spilli dappertutto". La giornalista Francesca Duranti ci ha raccontato la sua vita con il Lichen scleroatrofico vulvare.

Molte sono le patologie che, seppur fortemente invalidanti, vengono tuttora considerate “invisibili”, a livello diagnostico: parliamo di malattie che interessano spesso le donne, come endometriosi, vulvodinia, ma fra loro c’è anche il Lichen Scleroatrofico (LSA), patologia infiammatoria cronica che interessa la cute e le mucose dell’area ano-genitale e che, in 6 casi su 100, può evolvere in carcinoma squamocellulare (SCC).

In Italia è stata inserita nell’elenco delle Malattie Rare con Decreto Ministeriale Nº 279/2001, a differenza di altri Paesi, e anche per questo motivo è piuttosto difficile sapere con certezza quante persone ne sono colpite, soprattutto perché la connotazione di rarità ne rende estremamente difficile la diagnosi corretta e tempestiva.

Si stima comunque, a livello mondiale, che ne siano colpite dalle 3 alle 15 persone su 100, con una maggiore incidenza sul sesso femminile e in due picchi specifici, l’età infantile e il post menopausa.

In Italia la sola associazione a occuparsi di LSA è Lisclea, ma, proprio come avvenuto per le altre patologie che abbiamo poc’anzi menzionato, anche nel caso del Lichen Scleroatrofico sono le testimonianze a poter fare la differenza e a sensibilizzare enormemente sull’argomento, come ben sa la giornalista Francesca Duranti, che con noi ha voluto raccontare la sua vita caratterizzata dalla patologia, diagnosticatale a 20 annilanciando un appello accorato.

Finalmente, dopo vent’anni, hanno trovato cure efficaci, ma ancora oggi le terapie migliori sono concentrate in pochissime strutture, tutte al Nord – ci spiega Duranti – io ho affrontato tre operazioni e sento di essere tornata in condizioni di normalità, ma se non avessi potuto affrontare gli interventi, per ragioni economiche, oggi sarei una donna di 46 anni che da due non potrebbe più avere rapporti sessuali. Per questo chiedo al nostro Sistema Sanitario di fare dei passi avanti e garantire alle donne che ne soffrono un’accessibilità migliore, con più strutture attrezzate sparse nella penisola. Ma a oggi le istituzioni sembrano non voler ascoltare”.

Ripercorriamo la tua vita a ritroso: da cosa hai capito che qualcosa non andava? E come è avvenuta la tua diagnosi?

Io ho ricevuto la mia diagnosi di Lichen scleroatrofico vulvare grazie a una biopsia, ma ci sono voluti un paio d’anni prima di avere una diagnosi. A 18-19 anni, quando ho avuto i miei primi approcci alle visite ginecologiche e anche alla vita sessuale, mi sono accorta che qualcosa non andava: non tanto nei rapporti, ma perché avevo lacerazioni profonde, dolorosissime, alla vulva, su grandi e piccole labbra, sul clitoride. Il LSA causa proprio questo. Per me mettere un paio di jeans, un intimo di pizzo, era una tortura. Queste fissurazioni non si rimarginavano mai, e soprattutto la mia pelle era completamente atrofica.

Ho visto cambiare la conformazione della mia vagina, quando ho fatto la biopsia non avevo già più il clitoride. Lentamente scompare quello, poi grandi e piccole labbra, è come se la vagina diventasse un tutt’uno, come se si fondesse e si chiudesse completamente. Il dolore provocato dalle lacerazioni è tremendo, è come se qualcuno con una bambola vodoo ti infilasse spilli dappertutto.

Interessando la mucosa, il Lichen è terribile perché questa non si rimargina mai, e se non ti viene diagnosticato in tempo finisci con il diventare una bambola. L’unica cura universalmente utilizzata è il cortisone, che tendenzialmente, se usato troppo a lungo, finisce con l’avere l’effetto opposto, andando ad assottigliare sempre più i tessuti da sfiammare, quindi a un certo punto non resta più nulla”.

Francesca Duranti dice di essere stata fortunata perché ha avuto una rete di persone intorno che l’hanno incoraggiata a cercare di capire cosa fosse quel problema che la tormentava, per riuscire a dargli un nome.

Dopo essermi fatta vedere da decine di ginecologi, ho intuito che in realtà potesse trattarsi di una malattia della pelle, e così mi sono recata all’istituto dermopatico di Roma, dove mi hanno parlato per la prima volta del Lichen. Era la fine degli anni ’90, e la malattia era così poco nota che per cercare di capire cosa fosse sono dovuta andare nella biblioteca di Medicina per cercare informazioni. Da lì, però, ho capito che dovevo rivolgermi a dei dermatologi, non più a ginecologi”.

Uno dei dermatologi a cui si è rivolta, spiega, le ha proposto una terapia sperimentale più incisiva, le iniezioni di cortisone in loco, “Un dolore che puoi solo immaginare“, dice.

Come tutte le malattie autoimmuni, però, a un certo punto il Lichen regredisce.

Non capisci neanche bene perché d’improvviso decida di lasciarti in pace, ti chiedi se è perché mangi meglio, sei meno stressata… Fatto sta che in quegli anni riesco ad avere mia figlia, che oggi ha 12 anni, peraltro con parto naturale, mentre il ginecologo mi aveva già prospettato un cesareo programmato.

Dopo un paio d’anni la malattia torna, più cattiva di prima. 

Sono arrivata a 46 anni evirata, perché questo è il termine giusto, delle mie parti intime, non le avevo più, erano praticamente scomparse. Non avevo più una sessualità, era una cosa folle, non era più neanche una questione di dolore, di fastidio. Mi sentivo fortunata per essere riuscita ad avere una figlia, ma adesso sentivo di aver perso ciò che contraddistingueva il mio essere donna. Senza contare che non potevo sottopormi alle visite ginecologiche di routine: per quattro anni non ho potuto fare il Pap test.

Sono venuta a sapere che nella mia città curavano il Lichen con un altro tipo di terapia basata sull’acido ialuronico, che è in grado di ricostruire la pelle, unito al cortisone. Andavo a fare le iniezioni e vedevo ogni mattina centinaia di donne in fila, in attesa, poi andavo al lavoro con dolori allucinanti. Sono andata avanti così per un anno, ma a un certo punto ho visto il mio organo sessuale completamente martoriato, quel poco che c’era era massacrato, così ho detto basta. E mi sono rimessa, dopo tanti anni, a cercare su Internet”.

Lì, per Duranti, arriva la svolta:

Conosco l’associazione Lisclea che mi apre un mondo. Grazie a loro vengo a sapere tutto quello che c’è di nuovo, e scopro questa tecnica che esiste in Italia da quattro anni, anzi in realtà sono due, il prp [plasma ricco di piastrine, ndr.] e il lipofilling, portate avanti da alcuni centri specifici in Italia e usata inizialmente nel trattamento di altre patologie, dai chirurghi plastici.

Non parliamo altro che delle cellule della persona usate per ricostruire i tessuti, attraverso il plasma prelevato, lavorato e innestato nella parte interessata, nel primo caso, e il grasso sottocutaneo, come in una normale liposuzione, nel caso del lipofilling.

Con il prp vengono ricostruiti fisicamente quei tessuti che sono deteriorati dalla malattia, come grandi e piccola labbra o clitoride, che ritrovano anche una loro elasticità e una loro morfologia.

Attraverso l’associazione conosco il professor Francesco Casabona, uno dei primi a portare questa tecnica in Italia, che mi riceve a Roma e mi dà appuntamento a Milano per l’operazione, che verrà effettuata attraverso il SSN, quindi gratuitamente. Mi spiega che il trattamento deve essere ripetuto ogni tre mesi, per almeno tre volte, così ho iniziato il percorso, pieno di speranze e di aspettative, e se oggi sono qui a parlarne è proprio perché voglio dare una speranza ad altre donne. Non posso dire di essere guarita, perché dal Lichen non si guarisce mai, ma sto molto bene, e ho recuperato la morfologia del mio apparato genitale”.

L’intento di Francesca Duranti è però anche un altro, ovvero denunciare una criticità non sottovalutabile nel trattamento della patologia.

Io sono stata fortunata perché ho potuto recarmi a Milano per le tre volte necessarie all’intervento, ma chi arriva dalla Sicilia, dalla Sardegna, ad esempio, o non può permettersi una trasferta che sicuramente è dispendiosa? È vero, l’intervento è a carico del sistema sanitario, gratuito, ma ci sono spese per così dire ‘collaterali’ che non possono essere ignorate e non sono alla portata di tutti. Devi andare là il giorno prima per la pre-ospedalizzazione, in tempi di Covid anche due giorni prima, per poter fare il tampone, quindi prenotare un albergo, spostarti in auto o in treno… Per alcune può esssere davvero un miraggio. Eppure i centri che effettuano questo trattamento sono davvero pochi in Italia, e tutti concentrati al Nord. Una situazione assurda, secondo me”.

Come per le altre patologie che interessano l’apparato genitale femminile, anche nel caso del Lichen Scleroatrofico Duranti è convinta che il pregiudizio abbia influito notevolmente sull’avanzamento della medicina nel suo studio.

Se siamo ancora così indietro nella ricerca è perché il pregiudizio ha frenato la possibilità di sperimentare nuove cure; ti frena nel parlarne, per la paura di essere giudicata, te ne fa vergognare, e anche nel rapporto con l’altro sesso, hai paura di essere giudicata e respinta perché sei malata, molti pensano che puoi essere contagiosa. Senza il pregiudizio potremmo tranquillamente andare avanti nel fare ricerca su questo genere di patologie, oggi che l’endometriosi è finalmente riconosciuta come malattia invalidante sono felice, perché è una conquista enorme, ma le donne potranno dirsi davvero libere solo nel momento in cui tutte le patologie vulvari verranno sdoganate e riconosciute in quanto tali, senza tabù.

Purtroppo la vita sessuale delle donne non riguarda la società, tantomeno quella sanitaria. Il Lichen Scleroatrofico è una malattia ereditaria, quindi probabilmente una mia zia, o una mia nonna, o non so chi altri nella mia famiglia, lo aveva, ma cinquanta o sessant’anni fa affrontare un discorso che riguardasse la sfera intima femminile era considerato inappropriato. Per questo io sono molto attenta nel chiedere a mia figlia se ha dei problemi, se sta bene, e ne voglio parlare liberamente perché le persone devono togliersi l’idea che ci sia qualcosa di ‘scandaloso’ in questo genere di argomenti.

Invece io ho sentito, ancora oggi, di ragazze che pur di non ‘deludere’ il partner, pur di non perderlo, mettono una crema anestetica in vagina prima di avere rapporti, nonostante soffrano terribilmente: questa è follia pura”.

Duranti però sorride quando ci rivela uno dei momenti in cui è stata davvero felice.

“Dopo la terza operazione mi sentivo così bene che mi sono infilata un paio di jeans skinny. Generalmente posso portare solo gonne o pantaloni larghi, e quel giorno gli amici che mi vedevano dicevano ‘Come stai bene con i jeans!’. Ecco, quello per me è stato un vero momento di libertà. Scontato per moltissime donne al mondo, ma non per me”.

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