"Chiedevo ai medici di fermarsi. Loro dicevano 'Si rilassi'". Julia Magrone racconta la vestibolodinia - INTERVISTA

La vestibolodinia appartiene a quelle patologie considerate "invisibili", come endometriosi e vulvodinia. La modella Julia Magrone ha voluto raccontarci la sua esperienza, fra ritardi diagnostici ed episodi di vera e propria violenza ginecologica.

L’influencer Giorgia Soleri, negli ultimi mesi, ha puntato i riflettori su alcune malattie femminili che per anni sono passate praticamente inosservate, tanto che ancora oggi non sono riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale: parliamo di patologie come endometriosi e vulvodinia, che nonostante interessino milioni di donne solo nel nostro Paese (circa 3 milioni per quanto riguarda la prima, mentre il 15% di donne italiane è affetto da vulvodinia) sono praticamente considerate “invisibili”.

Grazie all’esempio di Soleri, e a quello di molte altre donne che si sono esposte, anche via social, chi soffre di queste problematiche non solo è uscita da un isolamento che spesso si protrae per anni, ma ha anche trovato una risposta e una diagnosi a quelli che spesso vengono bollati, dai medici in primis, come “problemi che esistono solo nella testa” per cui è sufficiente “rilassarsi”.

Anche la modella Julia Magrone da qualche settimana ha deciso di esporsi pubblicamente, parlando della patologia che le è stata – non senza fatica – diagnosticata, la vestibolodinia. Parliamo di una forma di vulvodinia localizzata, la più frequente, in cui a essere soggetta al dolore durante i rapporti penetrativi è l’area di ingresso della vagina, il vestibolo della vulva.

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Dopo averne parlato sui social, abbiamo incontrato Magrone per approfondire con lei l’argomento, a partire da quella diagnosi arrivata solo dopo mesi di visite a vuoto.

Tutto è nato mentre mi trovavo in vacanza in Grecia col mio fidanzato – ci spiega – da un giorno all’altro ho iniziato ad accusare un dolore fortissimo durante i rapporti sessuali, ma ho pensato fosse solo una cistite o comunque un problema temporaneo. Ho assunto degli antibiotici ma con il passare dei giorni vedevo che il dolore non accennava a diminuire, così ho cominciato a fare delle visite ginecologiche per capire che tipo di problema potessi avere.

Ogni medico che ho incontrato mi diceva che era un problema legato alla psiche, che tramite le ecografie non si riscontrava nulla di anomalo, ma io non riuscivo a capire come questi dolori potessero essere comparsi da un giorno all’altro. Questi sei mesi di visite senza diagnosi sono state abbastanza frustranti per me, perché sono entrata in un loop in cui sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Ho iniziato a pensare di avere seri problemi mentali, ho messo in discussione la sessualità col mio ragazzo, non riuscivo più ad avere rapporti, perché il fattore mentale alimentava quello fisico facendomi percepire ancora più dolore“.

La svolta, per Julia Magrone, arriva quando ascolta la storia di una ragazza e riconosce gli stessi sintomi:

Ho avuto fortuna, devo essere sincera, perché questa ragazza mi ha passato il contatto della clinica Andromeda di Milano dove finalmente hanno dato un nome al mio problema: vestibolodinia. Ma mi rendo conto di essere davvero stata fortunata, in primis perché molte donne passano anni della propria vita senza ricevere una diagnosi, mentre io ho passato nel limbo ‘solo’ sei mesi, che per me sono stati faticosissimi. In secondo luogo perché io ho potuto andare a Milano per la visita, ma tantissime altre nella mia situazione non potrebbero mai affrontare viaggi dall’altra parte dell’Italia per farsi visitare. In questo momento, purtroppo, nel Paese non ci sono molte strutture adeguate per questo tipo di diagnosi“.

Come dicevamo, patologie come endometriosi e vulvodinia non sono attualmente riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale; il 13 aprile del 2022 in Senato è stata presentata in Senato la proposta di legge che si compone di 15 articoli finalizzati proprio al loro riconoscimento come malattie “croniche e invalidanti”.

Se la proposta di legge dovesse essere approvata, in ogni regione italiana verrebbe inserito almeno un presidio sanitario pubblico specializzato in diagnosi e cure, ma al momento siamo ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo, e proprio le lacune del SSN sono attualmente spesso alla base dei ritardi diagnostici o addirittura delle mancate diagnosi, come spiega Magrone.

Purtroppo c’è grandissima impreparazione da parte dei medici, dovuta probabilmente al fatto che di quese patologie si è cominciato a parlare solo da poco tempo, ma il mancato riconoscimento da parte del mondo medico è il problema principale. A oggi queste patologie non possono più essere ignorate, non fosse altro per il fatto che tantissime donne ne hanno parlato e ne stanno parlando sui social. Io stessa, appena mi sono esposta, ho trovato il riscontro di moltissime donne che magari per anni si sono vergognate a parlarne, e sono andate avanti senza capire da dove i loro problemi potessero derivare, o facendo cure inutili. Purtroppo, come ho detto, in Italia in questo momento ci sono pochi medici esperti del settore, tutti concentrati soprattutto al Nord, cosa che rende difficile per molte ricevere una diagnosi“.

Verrebbe piuttosto facile pensare che la scarsa preparazione dei medici possa derivare anche da un pregiudizio, ormai assodato, verso il dolore delle donne, molto spesso sottovalutato, ma parlando con Julia Magrone di questo aspetto è venuto a galla un aneddoto davvero agghiacciante:

Avendo la vestibolodinia le ecografie con la classica sonda somigliano molto, per me, alla penetrazione, che è proprio la cosa che mi provoca dolore. Per questo, durante molte delle visite che ho fatto in quei famosi sei mesi chiedevo ai medici, uomini o donne che fossero, di fermarsi, perché mi facevano male. Ma è capitato due o tre volte che non mi ascoltassero e andassero avanti con la visita, facendomi sentire violata. Mi dicevano ‘Si rilassi, è proprio come durante i rapporti’, senza capire che era esattamente quello il motivo per cui ero andata a farmi visitare.

L’atteggiamento dei medici, l’impossibilità di dare un nome al problema e, anzi, essere indotta a pensare che “fosse tutto solo nella mia testa” sono stati estremamente frustranti per Magrone, e hanno avuto ripercussioni importanti anche nei rapporti con le altre persone, famiglia e partner in primo luogo.

Ho cominciato a diventare molto nervosa, sono peggiorati i rapporti con i miei genitori e ovviamente anche con il mio fidanzato. Dal punto di vista psicologico avrei voluto gestire meglio il mio rapporto di coppia, ma non riuscire a dare un nome al problema era snervante, per me. Mi sono sentita incompresa dai medici e di conseguenza dalle persone che mi stavano attorno, che tendevano a fidarsi di quello che i dottori dicevano. E loro dicevano che non avevo niente.

Il mio rapporto di coppia era normalissimo, ma ovviamente è peggiorato con la comparsa dei dolori. Nella fase di ritardo diagnostico i miei impulsi sessuali si sono del tutto abbassati, ma al tempo stesso il mio partner, non capendo cosa avessi, ha iniziato a dubitare che fossi ancora attratta da lui, o che ci fossero altre problematiche parallele. Insomma, si è creata una crisi di coppia che avremmo potuto evitare con una diagnosi immediata. Quando poi l’ho ricevuta mi è stato molto vicino, con la cura la mia vita sessuale è ripresa, ma ovviamente non in modo normale: stiamo esplorando cose diverse rispetto alla penetrazione, cercando di venirci incontro, di ascoltarci, come è giusto che sia“.

Anche perché, la cura è un processo graduale che richiede molto tempo, come spiega Magrone.

Generalmente vengono dati degli psicofarmaci a dosaggio bassissimo, che funzionano da miorilassante, ma nel mio caso non erano sufficienti, così ho cominciato una terapia Tecar fatta interamente con il sondino posto internamente che stimola il nervo pubendo; p una terapia abbastanza dolorosa che prevede vari step; io, ad esempio, adesso sono a un livello piuttosto basso di stimolazione, e man mano aumenterà, ma questo fa capire quanto il procedimento sia lungo e delicato. Il medico mi ha detto che sto migliorando, tra sei mesi circa avrò un’altra visita, e così di otto mesi in otto mesi. Tenendo conto, ovviamente, che è tutto molto soggettivo e che le cose variano in base alla persona“.

Ora che sui social ha trovato un riscontro positivo da parte di altre persone che condividono il suo problema, Julia Magrone vuole proseguire con il suo lavoro di sensibilizzazione.

Dopo essermi esposta ho ricevuto molti feedback, tante ragazze, sentendosi capite, hanno deciso di aprirsi di più, altre magari vedendo i miei post riusciranno a trovare quella risposta che cercano da mesi, come è capitato a me. Mi piacerebbe portare la mia testimonianza anche offline, ma lì il problema è che alle conferenze in cui puoi affrontare l’argomento partecipano tutte persone che già fanno parte del settore, che conoscono la problematica e sanno di cosa parli. Noi, invece, abbiamo bisogno di allargare il raggio e coinvolgere chi ancora è all’oscuro di queste patologie, per questo i social sono fondamentali“.

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