"Mentre fuori si sentivano vagiti, io ero lì per rimuovere l'utero": l'endometriosi per Sara Boriosi

Avere una vita sessuale difficile, urlare per il dolore durante le mestruazioni, non poter avere figli e doversi scontrare quotidianamente o quasi con gli stereotipi della società che vogliono le donne tutte madri: questa è l'endometriosi, raccontata da Sara Boriosi, che per avere un livello di vita accettabile si è dovuta sottoporre a isterectomia e rimozione di tube e ovaio.

L’endometriosi interessa, nel nostro Paese, almeno 3 milioni di donne, e nel 30-40% dei casi è causa di infertilità o sub-fertilità (dati Ministero della Salute), ma ci sono voluti anni affinché la malattia venisse seriamente presa in considerazione dal nostro Sistema Sanitario, e solo dal 2017 i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) la riconoscono come invalidante e cronica, garantendo quindi l’esenzione per le prestazioni sanitarie a essa associate.

Negli anni ci siamo occupati spesso della tematica, dando voce a donne che combattono con l’endometriosi da una vita; fra queste c’è Sara Boriosi, che nel 2021 aveva prestato il volto, assieme ad altre cinque donne, per questo video-testimonianza.

Boriosi fra poco “celebrerà” l’anniversario della sua isterectomia e della rimozione di tube e ovaie, per questo abbiamo voluto ascoltarla, a distanza di 365 da quell’evento che le ha cambiato la vita dal punto di vista fisico, ma soprattutto psicologico. E la prima domanda, naturalmente, non può che essere proprio quella: come stai?

Il giorno prima viaggiavo tra le nuvole blu della morfina, il giorno dopo sono stata congedata dalla struttura con quattro buchi sulla pancia e la difficoltà di mantenere la posizione eretta. L’intervento in sé non è piacevolissimo; io so di essere una persona fisicamente forte, eppure ho faticato molto a calzare la nuova pelle: dentro di me ho ancora la sensazione buffa, sgradevole, del vuoto che può creare la rimozione di un organo; qualcosa di simile all’idea di un sacco svuotato del contenuto, e ogni volta che compio un movimento brusco, l’assestarsi delle pareti interne al basso ventre mi ricordano cosa è successo là dentro. La cosa più sgradevole di tutte, però, non ha nulla a che vedere con l’aspetto meccanico dell’operazione chirurgica.

Nessuno ne parla, ma la degenza per questo tipo di interventi avviene nel reparto dove le puerpere partoriscono. Fortunatamente mi era stata riservata una camera dove alloggiavo solo io, tuttavia un’inserviente continuava a sgridarmi perché mi chiudevo dentro la stanza. Al terzo rimprovero le ho detto chiaramente che mentre là fuori si sentivano vagiti, io ero lì per rimuovere l’utero: non sono stata più rimproverata, per tutta la degenza.

Psicologicamente sono ancora ferma a quell’impasse, fatico molto ad affrancarmi da questa immagine: la vita che vuole vivere, mentre dentro di me non ha mai attecchito“.

Anche la vita intima, naturalmente, è cambiata con l’operazione, sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Al netto della fatica iniziale, dovuta probabilmente alla suggestione e al fatto che il mio ventre è un po’ cambiato per via delle cicatrici, non posso essere altro che grata per avere avuto la possibilità di liberarmi da una condizione di sofferenza difficile da descrivere – spiega Boriosi – Certo non è stato semplice né immediato, per i motivi riportati lungo queste righe; a volte mi sento sospesa in un limbo, dove ogni giorno devo centrare la mia vita esclusivamente su di me. Mi spiego meglio: nessuno riesce a vivere la vita che si prefigge di avere, nessuno vince la lotteria genetica dove il premio è l’esatta realizzazione delle proprie aspettative.

Ma per quanto riguarda la maternità, il libero arbitrio è fondamentale. Poter scegliere di volere o non volere figli è sacrosanto; non poterne avere se si desiderano, è straziante e va rispettato.

La fine delle mestruazioni è stata una grandissima liberazione, a livello psicologico, fisico e di gestione del portafogli. Ogni ciclo era devastante per la qualità degli sbalzi umorali e il dolore cui andavo incontro, e per la quarantina di euro destinate ogni mese in assorbenti (non ero in grado di sopportare la coppetta mestruale).
Fare l’amore è piacevole, non più doloroso, e di questo sono profondamente grata. Oggi mi sento liberata da questa zavorra; ho pagato un prezzo piuttosto alto, perciò non sopporto che nessuno mi giudichi come donna a metà, donna irrisolta o donna da compatire. Lo Stato prima di tutti, e a seguire il resto del mondo. Io sono una persona, e il mio valore non lo definisce la mia capacità riproduttiva“.

Quanto hai perso di te con l’intervento?

Trovo necessario ribadire che questi pensieri che metto in fila qui, in questo spazio, riguardano me. Non mi sento di parlare per tutte le donne isterectomizzate che hanno vissuto con adenomiosi ed endometriosi, e che proprio per questo, forse più di altre persone, hanno dovuto accettare una vita profondamente diversa da quella sperata. So per certo, però, che molte donne nella mia situazione sentono come una zavorra questa condizione di non scelta.

L’isterectomia è andata a toccare radici profonde, dove risiede l’istinto. È vero che siamo altro dal giudizio sociale che subiamo; tuttavia, l’aver estirpato l’organo che riconduce alla natura femminea, in una società che – per quanto voglia sembrare progressista – ci definisce in base alla capacità riproduttiva, non mi permette di sentirmi a mio agio nella mia pelle; è come se fossi costantemente fuoriluogo, sbagliata, in disordine, ma non nel vestire: nel vivere. Del resto è impossibile sentirsi comode quando si deve competere con una adolescente che ha partorito da vergine, considerando che è un modello di riferimento in voga da almeno un paio di millenni”.

Cosa ti ha portato via l’endometriosi?

Proprio qualche giorno fa mi sono messa a seguire i pensieri, che da astratti sono andati a focalizzarsi sul mio corpo, su quanto poco lo sento appartenermi. Sin da ragazzina è stato più di altri che mio; mani che toccavano senza il mio permesso, canoni di bellezza a cui non potevo arrivare per conformazione, ma verso i quali tendevo con tutta me stessa snaturando le mie curve, imponendo su di me un giudizio espresso dallo sguardo altrui. Poi con l’età adulta, la sollecitazione verso una gravidanza che volevo pure io, ma che il mio ginecologo caldeggiava con insistenza perché l’età fertile è imprevedibile.

Infine, la diagnosi e la necessità di fare un intervento risolutorio, perché a fronte di due gravidanze interrotte spontaneamente, cicli mestruali da arginare con assorbenti maxi che consumavo in enorme quantità, continui monitoraggi ai fibromi di cui era costellato il mio utero sclerotizzato (ricordo una isteroscopia che mi ha letteralmente piegata dal dolore per questo motivo), a nessuno è venuto in mente che si potesse trattare di qualcosa di più che semplici, banali dolori mestruali dovuti ad un utero non proprio a postissimo.

Tutto questo giro di parole per dire che l’endometriosi ha contribuito tanto nell’allontanarmi ulteriormente dal mio corpo, dal sentirlo appartenere a me. Vivevo male senza rendermene conto, perché non sapevo come si potesse stare in altro modo“.

Boriosi racconta anche tutte le difficoltà incontrate per vedere la malattia riconosciuta a livello di SSN.

Quando ho partecipato al video informativo di Roba Da Donne, ero da poco in possesso di esenzione 063 e regale investitura, da parte del dottor Saverio Arena che mi ha seguita in tutto il percorso, come candidata per la prossima futura isterectomia. È stato lui a dirmi, non senza imbarazzo, che se avessi ricevuto le cure adeguate al mio caso, probabilmente le gravidanze (due, a 32 e 39 anni) sarebbero state portate a termine. Ho apprezzato molto che mi sia stata detta la verità.

Sono stata seguita da molti ginecologi, prima di Arena; non venivo a capo di niente ogni volta che raccontavo quanto e come stessi male, non riuscivo a dare la misura – se non in termini economici – della quantità di sangue che perdevo ad ogni ciclo, dei dolori uterini cupi e profondi, esplosioni atomiche dentro il basso ventre ogni mese, e la comparsa di un nuovo tipo di dolore, il più subdolo e capace di farmi sentire ancora meno adeguata al mio genere: ad ogni rapporto, la mia vagina sembrava subire l’attacco di decine di coltelli.

Solo dopo la diagnosi ho capito che il problema non era mio; nessuna suggestione, nessuno stress a cui imputare la colpa – semmai il contrario, questa condizione mi creava ansia e frustrazione con il mio compagno, che per quanto si sforzasse non poteva capire quanto fossero acuti i dolori provocati ogni volta che tentavamo di fare l’amore.

Credo che il SNN fatichi a considerare l’endometriosi come malattia invalidante, perché è una patologia multiforme, e che non sempre è facile incasellare in scale di dolore definite. Con questa considerazione non voglio giustificare una certa diffidenza o tendenza a liquidare il dolore come tipico, nel ciclo mestruale: io stessa sono la portabandiera delle ‘sfigate’ a cui non era stata data la necessaria importanza alla sequela di dolori elencati ad ogni visita, però mi rendo conto che patologie come endometriosi e adenomiosi richiedano studi più approfonditi da parte dei medici che hanno in cura pazienti che ne soffrono. Se una donna dice di provare dolore, si vada a fondo nel capirne la causa. Così come per la condanna storica in cui la donna partorirà con dolore, liquidare come ‘normali’ le mestruazioni dolorose è inesatto, ingiusto, impensabile al giorno d’oggi. Il dolore non è mai una condizione normale in cui vivere“.

Sara Boriosi (fonte: Sara Boriosi)

A proposito degli stereotipi cui hai accennato poco fa, forse proprio quelli sono spesso la causa di sofferenza maggiore per le donne con forme di endometriosi gravi: la società è decisamente maternalista,  si aspetta sempre dalle donne che diventino madri, relega come “problematiche” le childfree e considera chi non può diventarlo per ragioni mediche una sorta di “donna a metà”: è capitato anche a te di sentire sulla tua pelle questo genere di cliché?

Come sempre i social sono una cassa di risonanza micidiale: quante volte leggiamo la parola Donna scritta così, con la d maiuscola, in merito alla capacità procreativa della scrivente? Come se l’appartenenza al genere dipendesse dall’esuberanza delle proprie ovaie. Leggo di donne che dividono il genere umano in madri e genitori; il resto del mondo non esiste. Lavorando al pubblico da sempre, ho raccolto un bestiario di commenti non richiesti per il quale mi è occorso uno sforzo bestiale per corazzarmi, e non è detta che ci sia riuscita.

Persone di una certa età che, vedendo il ventre prominente da pre-ciclo mi chiedevano quando sarebbe nato (la risposta tipica era ‘Tra un paio d’ore, se vuole le spiego come’); sconosciute della mia età che mi davano consigli su come smaltire la pancetta, ovvero l’utero pesante come una zavorra e capace di donarmi quei centimetri in più, tanto sgraditi allo sguardo altrui. Amici che rientrano nella pittoresca categoria dei padri tardivi, che mi sollecitavano a fare un bambino, che ormai avevo una certa età. Giovani mamme, madonne dolcissime che, mentre mi raccontavano i dettagli del parto chiedendomi se avessi figli, alla notizia della rimozione dell’utero mi abbracciavano dolenti e piangenti per la mia condizione tanto da irrigidirmi e rispondere a denti stretti ‘Grazie, ma non sono un panda’. Giovani uomini che, contestando la mia posizione ferma su cose di lavoro, cedono alla battuta delle battute chiedendomi a mezzo sorriso se sia in pre ciclo. Madri che hanno brevettato la maternità che mi guardavano dall’alto in basso giudicando che io sarei stata solo sorella, mai madre, e che non avrei potuto capire.

Ho un bestiario di aneddoti che mi hanno scarnificata, e che ora, mettendoli in fila in queste righe, non posso fare altro che rileggere con compassione“.

A chiederle come definirebbe l’impatto di queste frasi nella sua vita, Boriosi ha una sola parola:

Devastante. Nessuna donna dovrebbe subirlo.

Che dire allora a chi ti guarda con quella sorta di “pietà” perché non sei madre? Come vorresti provare a far capire loro come ci si sente a ricevere frasi tipo “Non sai cosa ti perdi”, ” Allora non sarai mai completa” o “Muoviti che l’orologio biologico corre”?

Prima di essere madre si è persone. Avere figli è una gran botta di culo, non di certo un merito: se una persona è pessima, dopo il parto diventa una persona pessima, ma con prole.

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