Il termine “sterilizzazione femminile” viene ancora pronunciato sottovoce. Ancora troppo legato nell’immaginario ai progetti di eugenetica e alle campagne di sterilizzazione forzata di inizio Novecento, porta con sé l’eco di violenze e soprusi indicibili ai danni di donne – e uomini – ritenuti indegni di procreare.

Persone affette da HIV, transgender o con disabilità, “razze inferiori”, zingari e immigrati: è lungo l’elenco di chi, da governi che si sono succeduti a tutte le latitudini, è stato privato con la forza – e tutt’oggi viene ancora privato, come raccontano le cronache dell’orrore di molti campi per la detenzione di migranti – della possibilità di avere figli, talvolta anche in contesti di pianificazione demografica statale e controllo delle nascite, come nel caso della Cina e dell’India.

Eppure parlare di sterilizzazione femminile non significa necessariamente di un sopruso, subito senza potersi opporre. Le donne, anzi, scelgono sempre più spesso di ricorrere volontariamente a un intervento di chiusura delle tube come metodo contraccettivo: addirittura, la chiusura delle tube è il metodo di prevenzione delle nascite più diffuso al mondo.

Perché lo fanno? O perché sicure di non volere figli o perché decise a non averne più e impossibilitate a ricorrere ad altri metodi concezionali.

È il caso di molte donne appartenenti a confessioni per cui il ricorso alla contraccezione è considerato un peccato inammissibile o di quelle donne che non possono o non vogliono lasciare il marito ma sanno che le obbligherà a rimanere nuovamente incinta, anche contro la loro volontà. Sono storie nascoste ma reali, come quella della ragazza indiana – rimasta anonima – intervistata per la BBC dalla reporter Divya Arya, sposata a 15 anni con un uomo violento e madre di quattro figli già a venti anni.

Il mio corpo era distrutto. Vivevo nella costante paura di rimanere incinta di nuovo.
Un giorno la mia datrice di lavoro ha guardato la mia faccia stanca e mi ha chiesto, se potessi cambiare una cosa nella vita, cosa cambieresti?
Risi. Non avevo mai pensato a quello che volevo, né nessuno me lo aveva mai chiesto.
“Non voglio essere di nuovo incinta ma non so come fermare mio marito”, le ho detto.
“Fatti sterilizzare”, ha detto. “Questa è l’unica cosa nelle tue mani. Anche se non sei in grado di fermarlo di notte, almeno potresti salvarti dal rimanere incinta.”
Sono andata alla clinica.
[…]
Mio marito non ha mai avuto dubbi e sta ancora bevendo, picchiandomi e divertendosi a letto.
Sto facendo quello che devo fare; lavorare come collaboratrice domestica in modo da poter crescere i miei figli.
Non posso lasciare mio marito. Né posso cambiare i suoi modi, quindi mi ci sono abituata.
Ottengo serenità dal fatto che sono stata in grado di prendermi cura di me stessa.
La mia operazione è il mio segreto. Io sono orgogliosa. Sono stato in grado di prendere almeno una decisione che era per me e solo per me.

Se abbracciare in via definitiva una vita childfree è ancora oggi visto con grande sospetto e accompagnato dall’inesorabile coro di giudizi e una litania di «ma vedrai che poi te ne penti» o «sei ancora troppo giovane per sapere cosa vuoi», farlo di nascosto dal partner subisce uno stigma ancora più profondo, come se fosse un tradimento della fiducia reciproca e non un gesto di autotutela da parte di chi subisce invece la maternità forzata come una violenza e non vuole ridurre sé stessa a mera incubatrice di una nuova vita.

In cosa consiste la sterilizzazione femminile?

La sterilizzazione femminile consiste nella legatura o nell’interruzione di entrambe le tube di Falloppio, oppure nell’inserimento di dispositivi che le occludano, in modo che lo sperma non possa raggiungere l’ovulo e, quindi, fecondarlo.

L’operazione – che come vedremo può essere effettuata con diversi metodi – ha un alto tasso di successo, sebbene come in qualsiasi procedura possono esserci casi in cui l’intervento risulta inefficace nel prevenire la gravidanza. La percentuale di successo e quella di rischio variano a seconda della tipologia di metodo applicata, così come la definitività. Diversamente dalla sterilizzazione volontaria maschile (la cosiddetta vasectomia), infatti, la sterilizzazione femminile

rappresenta un metodo teoricamente irreversibile di controllo della fertilità, o almeno come tale deve essere prospettata, dato che gli interventi di recupero della fertilità sono di complessità ben maggiore di quelli attuati per la sua soppressione e i loro risultati aleatori.

In molti casi, infatti, non è possibile riconnettere le tube poiché non c’è abbastanza tessuto tubarico per riconnetterle; anche nei casi in cui questo sia però possibile, non è detto che l’intervento abbia successo. La possibilità di ripristinare la fertilità dopo un intervento di sterilizzazione, inoltre, è sensibilmente legata all’età della paziente che vi si sottopone: come nel caso di pazienti che non si sono sottoposte a interventi, infatti, la fertilità femminile subisce un calo progressivo a partire dai 35 anni di età, e anche questo è un elemento che può influire sulla reversibilità dell’intervento.

Per questo, è necessario ricevere un consenso informato da parte della paziente, che deve essere stata informata di tutti i rischi e delle conseguenze connessi e deve essere nel pieno delle sue facoltà nel momento in cui accetta. Inoltre viene generalmente richiesto prima della sottoscrizione un periodo di almeno 30 giorni ai fini della valutazione di tutte informazioni ricevute riguardo alla scelta contraccettiva.

Anche nei casi in cui la procedura venga effettuata durante il taglio cesareo – come spesso accade – la scelta non può essere fatta contestualmente all’intervento, ma deve essere maturata in precedenza.

La chiusura delle tube, infatti, può essere effettuata in qualsiasi momento della vita della donna – a patto che il test di gravidanza sia negativo e che non vi siano stati rapporti a rischio nelle tre settimane precedenti – ma spesso viene richiesto ed eseguito contestualmente a un parto non naturale.

Sterilizzazione femminile: tutti i metodi

Esistono diversi metodi per effettuare la sterilizzazione femminile: alcuni non prevedono l’incisione (e vengono quindi effettuati tramite isteroscopia, come l’impianto Essure), altri invece richiedono l’incisione e hanno diversi livelli di invasività (e rischio), dalla laparoscopia, passando dalla laparotomia (mini e tradizionale), fino all’isterectomia, l’intervento più invasivo e pericoloso.

Il metodo isteroscopio: Essure

La sterilizzazione con l’impianto Essure avviene tramite una piccola sonda inserita nella vagina, attraverso la quale l’operatore – dopo aver utilizzato un anestetico locale per anestetizzare la cervice – inserisce in ciascuna tuba un “microinserto”. Una volta posizionati, questi causeranno la formazione di tessuto naturale, che bloccherà le tube: per questo motivo, l’effetto dell’intervento non è immediato, ma dopo circa tre mesi deve essere effettuato un controllo per verificare se le tube sono pervie o meno.

Metodi con incisione: Laparoscopia

La laparoscopia è una metodica che viene utilizzata per diversi tipi di chirurgia: dopo aver addormentato la paziente con un’anestesia generale, l’addome viene gonfiato e vengono praticate delle piccole incisioni attraverso cui viene introdotta la strumentazione chirurgica e una microcamera che permette di vedere chiaramente gli organi.

In questo caso, le tube possono essere chiuse con un’incisione o inserendo uno strumento attraverso la sonda.

Metodi con incisione: Mini-laparotomia e laparotomia.

Questo tipo di interventi vengono di solito effettuati dopo il parto, sebbene la laparotomia sia meno frequente, poiché si tratta di un intervento più invasivo.
Effettuati in anestesia locale – la laparotomia in alcuni casi richiede l’anestesia generale – vengono praticati attraverso un taglio nella parte bassa dell’addome, attraverso cui vengono individuate le tube che sono poi chiuse attraverso un legaggio, delle clip o con il bisturi elettrico.

Metodi con incisione: Isterectomia

L’isterectomia è l’intervento chirurgico più invasivo e il meno frequente: si tratta dell’asportazione totale dell’utero che generalmente non viene utilizzata per la sterilizzazione volontaria ma per la correzione di patologie.
In questo caso a essere rimosso è l’utero, ma in alcuni casi anche una o entrambe le tube potrebbero essere coinvolte nell’intervento: diversamente dagli interventi precedenti, chi è sottoposto a isterectomia non ha più le mestruazioni.

La sterilizzazione femminile in Italia

Sebbene sia un argomento ancora troppo spesso tabù, secondo le statistiche 

la sterilizzazione tubarica volontaria rappresenta in assoluto il metodo contraccettivo più utilizzato nel mondo, e negli Stati Uniti il più diffuso dopo i 35 anni: una scelta fatta da 10 milioni di donne statunitensi tra i 35 e i 44 anni, dal 23% delle tedesche e dal 15% delle olandesi.

In Italia, invece, è ancora un mezzo contraccettivo poco usato e limitato a casi particolari. Nonostante la giurisprudenza e diverse sentenze passate in giudicato abbiano definitivamente stabilito la liceità di questa pratica, infatti, sono ancora molti i medici che rifiutano di eseguirla, paventando una presunta illegalità o appellandosi all’obiezione di coscienza.

Un fenomeno che certo non sorprende, visto il numero di medici obiettori nei nostri ospedali, che stanno rendendo l’aborto praticamente impossibile e minando dall’interno i diritti garantiti dalla legge 194.

Nonostante la sterilizzazione femminile rientri fra le prestazioni fornite dal SSN, ogni anno meno di 10.000 donne si sottopongono a occlusione tubarica in base all’elaborazione dei dati presenti nelle schede di dimissione ospedaliera e forniti dal Ministero della Salute.

Un numero sensibilmente inferiore a quello degli altri paesi, ma che potrebbe non corrispondere a quello effettivo, dal momento che

esistono ancora centri nei quali la sterilizzazione tubarica viene eseguita senza che resti traccia documentale in cartella clinica nella errata convinzione che la sua pratica, in assenza di specifica indicazione medica, non sia ammessa dalla legge.

Sterilizzazione femminile: i costi

Se effettuata presso le strutture pubbliche, in Italia l’operazione è a carico del SSN, poiché la tutela della salute viene intesa nella sua accezione più ampia così come definita dall’OMS, «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o dì infermità».

Come abbiamo visto, però, in assenza di una legge specifica la reale possibilità di sottoporsi a questa procedura dipende dal medico che si ha la fortuna – o la sfortuna – di incontrare, perché come nel caso dell’aborto l’obiezione di coscienza rende di fatto impossibile ottenere ciò che spetterebbe di diritto alla paziente e ancora molti dottori continuano a millantare l’illiceità della sterilizzazione femminile.

Negli altri casi, il prezzo può variare da clinica a clinica, e da zona a zona: in tutti i casi, però, comprende le parcelle dei medici e degli infermieri, le visite di controllo, la clinica, l’anestesista ed i farmaci e secondo alcune stime può oscillare tra i 2000 ed i 7000 euro.

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