Mi chiamo Marina, ho 33 anni e sono di Pordenone, ho deciso di scrivere la mia storia per unirmi al coro per ‘rompere il silenzio’.

Ricordo si aver sofferto del classico ‘mal di pancia’ sin da quando ero bambina; il pediatra, in epoca scolastica, disse a mia mamma che questi continui dolori prima o poi sarebbero diventati cronici se non avessimo conosciuto la causa. Nel frattempo gli anni passavano e le professoresse si allarmavano dicendo che probabilmente era un fattore psicologico e che sarebbe stato opportuno un supporto.

Avevo 14 anni, a scuola andavo bene, e il carattere che mi contraddistingue mi ha aiutato a superare molte cose; mi sono opposta fermamente all’aiuto psicologico, la mia vita era fatta di assenze scolastiche ma con voti buoni, giustificazioni per indisposizione nell’ora della ginnastica e insegnanti poco comprensivi. Guardavo le mie amiche andare a ballare e io stavo lì, con il mio mal di pancia.

Gli svenimenti sono diventati miei fedeli compagni, andavo e venivo dal pronto soccorso piegata in due, con la febbre e dolori che ormai erano diventati una routine, e medici che non capivano il mio dolore…

Sembrava che nessuno capisse, che nessuno sapesse… Sembrava proprio che quel male arrivasse dalla mia testa, quasi me ne ero convinta anche io… Fino all’arrivo di quel giorno che non scorderò mai!

Andai a fare l’ennesima visita a pagamento con il mio pacco di referti accumulati negli anni, trovai un medico eccezionale, avevo 19 anni ed ero stufa di stare male! Era un dottore impeccabile, che faceva delle domande ben precise e sembrava proprio capire il mio dolore… Non ci potevo credere. Dopo la visita mi disse: ‘Cara Marina, tu hai l’endometriosi, e in questo momento hai una situazione per cui preferirei che ti vedessero al Sacro Cuore di Negrar’.

Non sapevo nemmeno cosa fosse l’endometriosi, ma lui chiamò personalmente a Verona… L’appuntamento era per il giorno seguente, e dopo la visita una dottoressa mi mise immediatamente in lista per l’operazione. Mi spiegò la situazione, e, con il senno di poi, non credo che allora compresi tutto, tirai solo un sospiro di sollievo quando mi diedero questa diagnosi perché sapevo di non avere un disturbo psicologico…

 Era la mia prima operazione, ero spaventata e la testa mi rimbombava, ma finalmente avevo dato un nome a questo inferno quotidiano. Dopo solo una settimana ero in sala operatoria, mentre mi preparavo guardavo attorno… Vedevo queste ragazze, tutte con le stesse calze, con le stesse camicie da notte, e tutte con lo stesso sguardo.

Ricordo la preoccupazione dei miei, la telefonata di mia madre e gli occhi di mio padre… ‘Papà tranquillo, faccio veloce’, gli dissi prima che l’ascensore si chiudesse. L’infermiere che mi portò in sala operatoria mi teneva la mano, e mentre le ginocchia mi tremavano, le lacrime scendevano… Conobbi la paura per la prima volta, temevo le eventuali conseguenze che purtroppo questa malattia può portare.

La fredda sala operatoria mi aspettava, i medici erano tanti, l’anestesista dietro di me mi parlava di una spiaggia tropicale, delle palme e del mare calmo, e così mi addormentai.

La diagnosi post operatoria fu ‘endometriosi quarto stadio profondamente infiltrante e recidivante’ che aveva colpito ovaie, utero, tube, legamenti, e parte dell’intestino. Dopo quell’intervento ne ho subiti altri tre per recidiva; mi fu detto che la possibilità di avere figli era bassa, ma non dovevo farmi abbattere, e gli sguardi di quelle ragazze che avevo incrociato nei corridoi diventarono anche il mio…

Avevo 24 anni, e con il mio compagno decidemmo di provare, passavano i mesi e il ciclo era in continuo ritardo ma arrivava sempre, un anno di pianti, di sbalzi di umore, di test di gravidanza negativi, fino all’arrivo della gioia immensa… Il test positivo. Alla prima visita tutto andava bene, ero finalmente incinta! Erano tutti felici, parenti, amici e conoscenti, fino a che non è arrivata la visita del quarto mese.

Ero giovane ed entusiasta per tutto ciò che mi stava capitando, feci la visita un pochino prima della data prevista perché avevo dei piccoli dolori, mi fecero aspettare due ore nella sala d’attesa del medico di guardia, dove alla fine trovai un dottore che mi chiese ‘Di quanto sei?’

’15 settimane’

‘Qui è tutto fermo, il cuore non batte, la metta in lista per il raschiamento’ lo sentii dire all’ostetrica.

Non so nemmeno come feci a scendere da quel maledetto lettino, non ricordavo nemmeno chi ero.

Decisi di farmi fare il raschiamento in un altro ospedale, dove trovai la vera comprensione umana. Passai un periodo davvero brutto, le persone non possono capire finché non ci passano, e nonostante ciò dicono delle cose veramente tremende.

La fortuna mi ha assistita, dopo poco più di un anno è nata Gaia e, a distanza di 18 mesi, Iris.

Negli anni, oltre all’endometriosi, mi hanno riscontrato anche l’artrite psoriasica e una mutazione genetica per cui era controindicata la terapia ormonale; perciò, nel dicembre del 2018, arriva l’ora dell’isterectomia totale e della salpingectomia bilaterale.

A oggi mi guardo allo specchio, vedo il mio riflesso e penso che una ragazzina con il mal di pancia non vada trascurata e non vada indirizzata dallo psicologo perché non si é abbastanza preparati per indirizzarla nei centri specializzati. Una diagnosi precoce è fondamentale

Solo parlandone e confrontandosi si può rompere il muro del silenzio!
Questa è la mia storia, fatta di alti e bassi, fatta di giorni positivi e di altri meno, ma sempre contraddistinti dalla forza che a noi donne non manca mai; indosso un sorriso e continuo a lottare

Marina ci ha voluto dare la sua testimonianza, dolorosa ma forte allo stesso tempo, affinché tutti possano comprendere davvero e fino in fondo il diritto delle donne a ricevere una diagnosi di endometriosi tempestiva che, in tanti casi, può davvero salvare la vita. Anche perché oggi sono molti gli strumenti a disposizione della scienza medica sia per effettuare la diagnosi corretta, che per tenere sotto controllo la patologia. Marina continua:

Questa è la mia storia e per il passato che ho avuto posso solo dire che, come confermano i medici, nei centri di riferimento per l’endometriosi la principale terapia è quella medica e farmacologica, per questo avremmo bisogno di:
– l’abbattimento e/o riduzione dei medicinali per patologia (terapie ormonali, antidolorifici e via dicendo) che per noi sono essenziali;
– l’inclusione dell’esenzione per le patologie di 1° e 2° stadio;
– team multidisciplinari competenti, per inquadrare la malattia all’esordio evitando il ritardo diagnostico ed evitare il pregiudizio del dolore mestruale come condizione normale;
– l’abbattimento o la riduzione degli esami strumentali per la diagnosi.

L’endometriosi è una patologia costosa, e per questo abbiamo bisogno di tutto ciò…
Abbiamo bisogno di umanità medica e informazione a riguardo, perché non vogliamo più vivere nell’indifferenza. Molte associazioni nel territorio combattono contro questo pregiudizio, e con la marcia che si terrà il prossimo 28 marzo 2020 abbiamo una possibilità in più di farci sentire“.

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