"Come sono tornata a essere felice nel momento in cui ho iniziato a soffrire"

Ilaria ci ha raccontato la sua vita segnata dalla depressione e dall'anoressia. Il controllo sul cibo per sfuggire al dolore, il rifiuto della sofferenza, l'apatia, e poi, finalmente, la rinascita. Oggi, nonostante le difficoltà, ha imparato che anche lei ha il diritto di essere infelice, e di mostrarlo.

Ciao, sono Ilaria, e questa è la storia di come la mia vita è cambiata inesorabilmente nel momento in cui sono entrate in essa la depressione e i miei disturbi alimentari.
Fin da quando ero piccola, le persone, accanto a me, mi definivano come quella piccola bambina sempre sorridente e spensierata, capace di far star bene anche gli altri. Le cose, tuttavia, per me, non sono mai state così semplici.

Iniziò tutto quando, circa a sei anni, fui la prima a trovarmi faccia a faccia con una malattia orribile che affliggeva una persona della mia famiglia, mio fratello. ‘Devi sorridere, Ilaria, così lui starà bene’. Iniziai a ripetermi questa frase all’infinito, reprimendo dentro di me tutto quanto, lasciando che tutto mi scivolasse addosso, sorridendo, convinta che questo avrebbe aiutato tutti quanti.

Al tempo non mi rendevo conto del peso infinito che stava iniziando a gravare sulla mia vita. Le cose iniziarono a declinare precipitosamente al mio primo anno di università, sembrava andare tutto bene, era pesante, certo, ma mi sentivo davvero bene ad avere iniziato questa nuova esperienza.
Non avevo mai avuto un buon rapporto con il mio corpo, tuttavia questo non mi era mai pesato particolarmente, almeno fino a quando tutte le mie insicurezze hanno deciso di riversarsi su di esso.

Iniziai per caso, con una dieta, ma si trasformò ben presto in una lotta contro tutti quei mostri che mi ero portata dietro da tutta la vita. Avere il controllo sul cibo e sul peso mi faceva sentire quasi come se lo avessi anche su tutte quelle cose che, fino a quel momento, mi avevano fatta star male.

Avevo sempre sottovalutato un profondo trauma infantile, legato alla malattia di mio fratello, e tutti gli anni delle superiori passati a combattere contro il bullismo verbale da parte di alcuni compagni, e le costanti aspettative troppo alte da parte di mio padre.

Ora però, tutto questo, non mi importava. Avevo il controllo concreto su tutto se lo avevo sul cibo. Ogni grammo, ogni caloria, ogni alimento assunto correttamente, quando il mio piatto era mezzo vuoto e il mio stomaco brontolava all’impazzata, sapevo di essere in grado di portare a termine qualcosa, mi sentivo estremamente brava nel farlo.

Persi circa trenta chili in pochi mesi, e le cose, per me, erano solo al principio.
Con lo svilupparsi dell’anoressia vennero a galla tutte le mie insicurezze e il mio bisogno di avere, ora, qualcosa su cui riversarle era sempre più forte.

L’università e i suoi ritmi, amori disastrosi e un pessimo dialogo con la mia famiglia iniziarono a pesare sempre di più sulla mia vita, fino al punto di non ritorno.
Pensavo che andare via di casa mi avrebbe aiutata, e non nego che, in un certo senso, lo ha fatto, ma quando scoprii che mia madre aveva un tumore, tutto crollò nuovamente su di me.
Non avevo più il controllo, su niente. L’apice di tutto fu una sera, ero a casa, da sola, e quella sensazione che, inizialmente, sembrava essere solo un sintomo, divenne una condanna.

Sentivo una strana forma di apatia nei confronti di tutto e di tutti, era come se tutta la sofferenza che avevo provato da quando ero piccola, improvvisamente, fosse esplosa e io, incapace di fronteggiarla, decisi che l’unico modo per non provare dolore fosse non provare più assolutamente niente.

Questo, tuttavia, non mi aiutò, e una sera, stanca e imprigionata in una serie di pensieri orribili che continuavano a vorticarmi nella testa, iniziai a grattarmi una spalla, tanto in profondità da provocarmi delle cicatrici che ancora adesso porto con me. Stavo cercando in tutti i modi di provare di nuovo qualcosa, che fosse anche dolore, ma c’era come un blocco che mi impediva di farlo.
Il mio rapporto con il cibo iniziò a peggiorare e più cercavo di trattenere tutto dentro e di sorridere come avevo sempre fatto, più sentivo che tutto questo non era ancora abbastanza.

Con l’andare avanti del tempo ho iniziato ad avere una visione sempre peggiore di me, a cercare in tutti i modi di evitarmi, a cercare un qualsiasi modo per non sentire quel macigno che mi portavo addosso.
Iniziai a evitare qualsiasi tipo di responsabilità, a evitare il confronto con i miei, a cercare di rimandare tutto, sempre, nel tentativo di non dovermi preoccupare ancora e ancora.

Avevo il controllo sul cibo, avevo il controllo sulle mie emozioni, se potevo permettermi di non far vedere al mondo tutto questo, sentivo di avere il controllo anche su di loro.

L’apatia, era la mia migliore arma contro tutto quello che avrebbe potuto farmi del male. Ho iniziato a soffrire sempre più quando ho terminato il mio periodo di studi fuori di casa. Dovevo scrivere la tesi, si, ma null’altro. Sentivo che la mia vita era ripiombata nel baratro di un qualcosa che non aveva totalmente senso per me di continuare.
Ero svuotata, pesante, ero priva di energie, uscire di casa era un peso insormontabile, la mia stanza, la mia prigione, sentivo che erano l’unico luogo sicuro.

C’era solo un problema, quando ero sola con me stessa, tutte quelle voci continuavano a frullarmi nella testa inesorabilmente, continuando a ricordarmi che ero un fallimento su tutta la linea.
Non serviva a niente uscire. Anche con i miei migliori amici avevo messo una maschera, e loro lo sapevano benissimo, non li ringrazierò mai abbastanza per non avermelo mai fatto pesare.
Erano in grado di passarci sopra, consapevoli che, se già ero uscita da un disturbo alimentare, avevo anche la forza per uscire da tutto ciò, soprattutto, erano consapevoli che non mi avrebbero mai, mai lasciata sprofondare.

Un giorno, compresi che, tutto questo doveva finire. Non successe per un qualche motivo, ma arrivai alla profonda consapevolezza che anche io avevo il diritto di essere infelice a volte e che quella bambina sempre sorridente era cresciuta e si era fatta carico di troppe cose che aveva sempre nascosto dentro di sé.

L’aiuto della mia psicologa fu cruciale in tale processo. Non doveva essere una guarigione miracolosa, sapevo che forse non sarebbe mai passato del tutto e che presto o tardi sarebbe tornata, ma sono arrivata ad accettarlo.

Sono arrivata ad accettare e a darmi diritto di soffrire, di piangere, di provare emozioni orribili e di viverle come dovevano essere vissute. Tenermi tutto dentro mi aveva portata a pensare di farla finita. Tenermi tutto dentro mi aveva reso un manichino nelle mani delle mie malattie mentali.

Ho ricominciato ad essere felice nel momento in cui ho ricominciato a soffrire, perché ho compreso quanto tutto questo fosse per me importante, ho compreso come non potessi vivere solo vedendo una sola faccia della medaglia perché, io lo so, la vita non è  fatta solo di momenti felici.

Farmi carico di tutta quella sofferenza senza mai battere ciglio mi ha portata a non provare più assolutamente nulla, era come se, spesso, mi sentissi di non essere nemmeno più nel mio corpo, quasi come se quella che vivevo non fosse la mia vita, ma quella di qualcun altro.
Avevo cercato di sconfiggere la depressione forse nel peggiore dei modi possibili ma, con il tempo, le cose sono cambiate.

Ora, lo ammetto, ci sono ancora giorni in cui vorrei solo nascondermi in quattro mura, senza vedere o sapere qualcosa del mondo a me circostante, tuttavia, sono grata di avere al mio fianco persone che, senza forzarmi, sono in grado di farmi uscire dal mio guscio. E a chi si ritrova come me, sappiate che vi capisco, so come ci si sente a non sapere nemmeno più se si sta vivendo o meno, ma le cose con tanta forza e tanta costanza ricominciano a funzionare nel momento in cui devono farlo.

Non è una cosa che succede e basta, la forza di volontà è fondamentale e dobbiamo metterci nelle condizioni in cui sappiamo esattamente che affrontare queste cose ci porterà a soffrire forse il doppio rispetto a quanto non abbiamo sofferto fino a quel momento ma, ho appreso che, fa parte di quello strano gioco che è la vita.

Questa testimonianza dolorosa arriva da Ilaria, su Instagram Moonystorm. Oggi, come lei stessa racconta, ha superato in parte i suoi problemi, si è laureata, e cerca di vivere una vita il più serena possibile, consapevole del fatto che la sofferenza ne faccia parte, e che non c’è nessuna vergogna nel sentirsi vulnerabili di fronte a essa.

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