Mia mamma se n’è andata quando avevo 11 anni. Ha solo lasciato un biglietto dicendo che non lo amava più. Mio padre l’ha tenuto sul bancone della cucina per una settimana. Sapevo che gli piaceva bere, ma non immaginavo mai quanto sarebbe stato brutto finché non lei non se n’è andata.

Ero una bambina tranquilla, non come tutti gli altri bambini, a scuola ero ipersensibile e sempre calma. Sia io che mia sorella vivevamo in una famiglia di alcolizzati. Ho cercato di proteggerla il più possibile, ma ero solo una bambina. Lui era emotivamente violento. Mi ha fatto impacchettare i vestiti di mia madre. Mi diceva cose orribili, poi aveva dei black out e non ricordava. Cominciava a bere la mattina, e io pensavo fosse normale, non avevo mai vissuto diversamente.

Ho iniziato a strapparmi i capelli che avevo circa 12-13 anni. Avevo una piccola chiazza che non riuscivo a nascondere. A 14 anni mio padre è entrato negli Alcolisti Anonimi ottenendo tutto il supporto di cui aveva bisogno per recuperare. Ma quello di cui avevo bisogno io dov’era?

Mi è stata diagnosticata la depressione a 18 anni. Sono andata dal dottore in uno stato che mi faceva sentire come se non potessi affrontare la giornata. Ma non avevo mai pensato alla depressione.

Ho 38 anni e ho assunto antidepressivi per 12. Ne ho provati molti. Avevano conseguenze terribili ed effetti collaterali. In questo momento il farmaco che sto assumendo mi sta aiutando, ma vedo anche uno psichiatra. I farmaci non sono una cura per tutti. Avevo bisogno di parlare della mia infanzia dolorosa. Ha contribuito alla mia malattia mentale.

Nel 2014 mi è stato diagnosticato il disturbo bipolare di tipo 1 e un disturbo d’ansia generale. Anche con attacchi di agorafobia. Ho preso i farmaci, a volte mi hanno fatto male.
Poi nel 2018 sono stata vista da un altro medico. Ha detto che avevano sbagliato la diagnosi, e che in realtà avevo una personalità borderline. Non mi piaceva, ha messo in dubbio le mie paure chiedendomi come avessi potuto presentarmi all’appuntamento anche se avevo l’ansia. Gli ho detto che mio padre era seduto fuori, nel parcheggio.

Ho digitato online il nome del medico. C’era un articolo su un uomo che si era fatto visitare da questo dottore che gli aveva detto che non c’era niente di sbagliato in lui. Era tornato a casa e si era impiccato.

Non mi fidavo più del mio dottore, e ad ottobre del 2018 ho smesso di prendere le mie medicine. 6 giorni dopo sono stata ricoverata in ospedale con sindrome da sospensione.

Oggi trovo ancora difficile alzarmi dal letto ogni giorno. Compiti semplici mi sopraffanno. Non esco perché l’ansia ha una stretta presa su di me. Anche l’agorafobia mi rende difficile persino arrivare agli appuntamenti dei medici.

Mio padre è sobrio da 25 anni. Lui è la mia roccia. Non mi sono mai trasferita, non potevo sopportare di vivere da sola.

Cerco di prendere tutto giorno per giorno, ma i miei umori possono essere irregolari. A volte sono fiduciosa e ottimista. Altre non voglio più vivere. Mi agito e sono ansiosa all’idea di avere le palpitazioni. Gestisco la mia malattia vedendo il mio psichiatra ogni due settimane e grazie a mio padre, che mi ha supportato negli ultimi 20 anni. Ho amici che vedo di tanto in tanto. Sempre a casa loro, dove mi sento al sicuro. Altrimenti resto a casa mia. La mia stanza è come una prigione da cui desidero disperatamente uscire. Ma tutto quello che posso fare è continuare a prendere le mie medicine e vedere il mio psichiatra“.

La storia di Barbara (nome di fantasia), è davvero molto toccante e dolorosa. Racconta di un vissuto terribile, fatto di abbandoni e di incertezze, di una vita familiare scossa prima dall’addio della madre e poi dai problemi di alcolismo del padre, che forse hanno influito su una personalità già di per sé fragile e insicura.

Lei continua a lottare con tutta se stessa per vincere le sue paure e abbattere definitivamente i suoi demoni; ha recuperato il rapporto con il padre, ormai sobrio, e ha deciso di affidarsi a uno psichiatra verso cui nutre fiducia. Non sa se questo le sarà sufficiente per riuscire a cancellare la grande sofferenza che si porta dietro, ma ci sta provando. E questo le fa onore.

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  • A passo di ansia