Tra le tante storie di cui ogni giorno veniamo a conoscenza leggendo i vostri commenti ai nostri post sulle pagine social, o i messaggi privati che ci inviate, molte sono quelle dedicate al cancro. Abbiamo contattato tre donne per farci raccontare più nel dettaglio, in maniera molto intima e personale, il loro vissuto con la malattia, il calvario  che hanno affrontato, come e se ne sono uscite, dopo aver letto quello che ci hanno scritto nei commenti a questo articolo.

Queste sono le testimonianze di Monica, Nicole e Stefania, donne di età e carattere diversi, che hanno in comune solo la volontà di sconfiggere il loro nemico.

Monica: “Mi sento un albero in attesa della primavera”

Fonte: fotografia inviataci da Monica

Ci ho messo cinquant’anni per far pace con la mia parte femminile, poco meno di quaranta per accettare il mio ingombrante seno, apprezzarlo e sentirlo parte di me.
Il mio lato femminile l’ho tenuto nascosto per tutti questi anni e pensavo di non averlo neppure, ma poi stava arrivando il mio cinquantesimo compleanno e ho riscoperto me, anzi ho scoperto me. Ho scoperto che mi piace il mio seno, quello sinistro, ho scoperto che mi piace sentirmi donna e non solo per essere mamma, ho scoperto che mi piace essere guardata, ho scoperto le scollature e i reggiseni carini. Mi sono scoperta.

Pochi mesi e ora FUCKY [è il nome che ha dato al cancro, ndr.]. Una cosa dura, se n’è accorta anche mia figlia che ama giocare e toccare il mio seno: un nodulo. Visita, mammografia… Ecografia, si inizia dal destro lasciando la sorpresa per dopo, un lento avvicinamento al nodulo che è sull’altro seno. Come quando si fa sesso con tutta la calma del mondo per far crescere il desiderio, per assaporare ogni secondo, ma qui non c’è il desiderio dell’incontro.

Infatti, eccolo. E pensare che l’ultima ecografia fatta è stata quella per vedere mia figlia nella mia pancia; quella stessa figlia che ama giocare con i miei seni, e ora quella macchia nera… E l’espressione della dottoressa che mi sta facendo l’ecografia…

Lo misura, lo osserva dalle varie angolazioni, si assicura che sia solo e unico e per il momento sembra di sì, ma non è una ciste, non è molle, è una piccola-grande massa dura. La biopsia è già fissata al martedì successivo, l’ha prenotata direttamente la dottoressa ancora prima della fine della giornata.

Dalla gabbia non si esce.
Riprendere la mia vita, vivere delle emozioni sentendomi donna, amare lo sguardo di un uomo sul mio seno, è stato un attimo, e in un attimo tutto è svanito.

Il risultato della biopsia è arrivato 16 giorni dopo, difficile da capire, ma tutti gli indicatori di un tumore cattivo sono scritti là. Voglio sentirmi viva lo stesso, voglio continuare ad amarmi, voglio continuare ad essere amata, voglio continuare a correre, voglio continuare a crescere.
Ma arriva la chemio, quella cattiva con il colore di uno spritz.

Si precipita in un universo parallelo, quello in cui bisogna affrontare un minuto alla volta, senza fiato, senza forze, quello con i dolori alle ossa perché hai fatto la puntura per stimolare il midollo osseo. E ancora, il momento in cui succede:

avevo già i capelli di pochi millimetri, ma poi all’improvviso un prurito alla testa, ci passo la mano ed ecco che cadono, tutti insieme, come aghi argentati, sono corsa in bagno, ho rasato tutto, e ho pianto per la seconda volta dalla scoperta.

E poi c’è l’universo in cui ci si sente ancora vivi, quello della programmazione, del lavoro. L’universo in cui ti chiamano gli amici e che se ti chiedono come stai rispondi ‘bene’, perché è così, tu stai bene, è solo la chemio che ti butta a terra, ma tu stai bene. È solo quella maledetta chemio che si è presa due mesi della tua vita per i primi quattro cicli e che ora si prende un giorno alla settimana, ma in quel giorno qualche ora me la riprendo, mi porto il pc in ospedale e lavoro lo stesso, almeno finché non entrano in circolo gli antistaminici che mi addormentano.

Ogni passeggiata con il cane è una conquista, ogni metro in più è una conquista e sono gli stessi sentieri su cui correvo pochi mesi fa, rivoglio quella vita, rivoglio la mia vita, quella che ora è in pausa.
E poi, sì, c’è anche la parte che ti fa sentire tutto di più: il sorriso delle figlie, studiare con loro, tu che non le hai mai seguite per i compiti perché indipendenti da sempre, e ora improvvisamente sembra che senza di te non riescano a studiare. E tu sei felice così. Felice da togliere il fiato, come questa frase senza virgole. E sei felice per ogni messaggio degli amici, tutti lontani, ma ogni loro cuoricino ti sembra un caminetto che ti scalda nelle sere di inverno.
Ma non mi sento una guerriera, mi sento come un albero in inverno sotto la neve in attesa della primavera, un’attesa che non è passiva però, perché i germogli li sto preparando”.

Nicole, che per la leucemia ha perso una gamba ma mai la voglia di sorridere e vivere

Di recente mi è capitato, anche se sono ancora giovane, di fare un bilancio della mia vita. In particolare ho cercato di capire se, nel corso degli anni, sono riuscita effettivamente a vivere tutte le esperienze di una ragazza della mia età.

Una malattia ti sconvolge in tutti i modi possibili, non puoi più uscire con gli amici, non puoi più frequentare la scuola come gli altri e, cosa ancora più brutta, ti ritrovi un corpo che non riconosci più.

A causa del cancro ho rinunciato a tante cose che nessuno mi potrà ridare; ho rinunciato prima a una parte della mia infanzia e poi, la seconda volta, alla maggior parte della mia adolescenza. Quando ti danno la diagnosi quasi non ci credi, ti chiedi perché a te, cosa hai fatto di male per meritarti una cosa del genere. Nel mio caso in particolare, i giorni dopo la notizia sono stati molto confusi. Quando sono stata male la prima volta avevo due anni, non ho molti ricordi però ho come delle immagini in mente di momenti che penso mi abbiano segnato particolarmente. La seconda volta invece mi ricordo la maggior parte dei giorni ma, per non so quale strano motivo, non ricordo nessuna sensazione.
Ho dovuto crescere in fretta, ho dovuto imparare a rinunciare anche a una parte del mio corpo, però io sono fiera di quello che sono oggi.

Nicole, infatti, dopo essere stata colpita a soli due anni dalla leucemia mieloide, da cui è guarita solo dopo aver fatto un trapianto di midollo osseo, ha avuto una ricaduta dieci anni dopo, ma stavolta il male l’ha colpita alla caviglia, facendole perdere la gamba.

Il dolore esiste e nessuno dovrebbe provarlo, però ti insegna a vivere, a capire che le cose possono cambiare da un momento l’altro e tu non puoi farci niente, quindi bisogna apprezzare ogni momento felice. In questi ultimi dieci anni ho dovuto fare i conti anche con la disabilità, e all’inizio è stato difficile, perché mi vergognavo della mia nuova gamba. Da quando ho cominciato il liceo, però, ho iniziato a conoscere persone nuove che mi hanno fatto capire che non dovevo vergognarmi di nulla e che la diversità non è un limite.

Devo dire che ho sempre incontrato persone che mi hanno supportato e che mi hanno insegnato anche a ridere delle mie problematiche.
Oggi faccio una vita normale (che poi non so cosa voglia dire ‘normale’): vado all’università, ho preso la patente, vado in palestra, esco con le mie amiche, mi piace viaggiare e sono felice, quindi posso assolutamente ritenermi soddisfatta di quella che è stata e che è la mia vita.
Per la mia famiglia non è stato e non è facile accettare quello che mi è successo.

Io sto cercando di superare e andare avanti, ma so che per loro non è così semplice, e mi dispiace. Delle volte me la prendo, perché hanno sempre paura che io sia più debole, più delicata degli altri, ma penso che tutti i genitori siano in ansia per i figli, e che alla fine sia una cosa comprensibile“.

Stefania: “Quanto è stato difficile chiedere a mio padre di radermi i capelli”

Fonte: fotografia inviataci da Stefania

Se qualcuno vi chiedesse: conosci l’odore del sole?
Per molti sembrerebbe una domanda cosi stupida, di certo non lo è per chi ha attraversato il fuoco dell’inferno a piedi nudi.
Sono passati alcuni anni, e ancora sono fervidi nella memoria i ricordi di tutto ciò che è successo: da quando mi sentivo solo un po’ più stanca del solito, ai costanti abbassamenti della voce, che a volte mi rendevano anche completamente afona. Fondamentalmente, però, non stavo così male da presupporre che, nel giro di pochi giorni, la mia vita venisse sconvolta.

Faccio degli accertamenti, così per scrupolo. A distanza di pochi giorni mi chiamano per andare a ritirare il referto. Perché mi chiamano per andare a ritirare il referto?
Ecco, tutto parte da quella telefonata.
Non è facile accettare, ma non è invece difficile capire che avere un cancro non è di certo una benedizione.

Arriva l’incertezza del futuro, uno smarrimento totale… Paura, rabbia, sconforto, perché non riesci a spiegare i tuoi sentimenti contrastanti anche a chi ti sta vicino.

I medici espongono la tua situazione con termini alieni, stilano il programma, ti consegnano una lista dei cocktail di farmaci che devi assumere, come se stessero prescrivendo un dosaggio per una preparazione culinaria da ristorante stellato.

Alla fine di ogni colloquio medico ti senti ripetere che la medicina ha fatto enormi progressi, di stare tranquilla e che ‘possiamo vincere questa battaglia’. Plurale majestatis d’obbligo, quando in realtà ti senti sola, di una solitudine sconquassante. Ok, indossiamo l’armatura e andiamo a sconfiggere il nemico, tra le prime cose da fare c’è la rasatura dei capelli, ‘cosa vuoi che sia’, ti dicono… Tra tutte le difficoltà che dovrai affrontare, quella della rasatura a confronto è la meno incisiva. Non è affatto così, è da li che prendi coscienza che qualcosa sta violando il tuo corpo.

Chiesi a mio padre di farlo e, tranne il rumore del rasoio, per un quarto d’ora non ho percepito nemmeno il suo respiro. Alla fine, mentre lo riponeva nella sua custodia, mi ha detto: ‘È stata la prova più difficile che ho dovuto affrontare nella mia vita’. Trattenere le lacrime, è stata la mia prima prova difficile.

Le terapie ti violentano, trasformano il tuo corpo e devastano la tua psiche, ti lasciano senza forza e quel poco che riesci a recuperare devi usarlo per convivere con il cancro.

È una lotta stremante, combatti non solo per salvare il tuo corpo, ma anche e soprattutto per non avere cedimenti psicologici. Perché non te lo puoi permettere.
Per mesi non mi sono specchiata, avevo perfino perso ciglia e sopraciglia, il colore della pelle aveva assunto il colore bianco/giallognolo, praticamente un uovo sodo.
Alla parrucca ho preferito indossare dei foulards molto colorati , mi ero concessa un pizzico di vanità a contrasto del colore smunto del mio volto. E poi gli occhi… Uno sguardo assente, privo della sua lucentezza.

Ricordo che un giorno, mentre stavo nella sala d’attesa di uno studio medico, mi si avvicinò una signora anziana che mi sussurrò: ‘Dove ce l’hai il cancro?’. La guardai quasi con disprezzo e, prima che le potessi rispondere lei disse: ‘Avete tutte lo stesso sguardo, anche mia figlia lo aveva prima di lasciarci’.

Ecco, gli altri… C’è la tipica persona che ti incontra, ti mette la mano sulla spalla e ti dice: ‘forza e coraggio, non smettere di combattere’. E tu, mentre accenni una smorfia semi-sorridente, stramaledici di aver percorso quel tratto di strada in quel momento, e ti chiedi: ‘Perché. c’è un’alternativa? Forse l’essere forte non è l’unica soluzione che hai?’.

Poi ci sono quelle persone che, appena ti avvistano, cambiano strada e c’è perfino chi, pur di non incrociare il tuo sguardo, fa finta di allacciarsi le scarpe anche se indossa un mocassino…
Quando basterebbe così poco, un semplice sorriso, di quelli che riscaldano il cuore, perché dentro di te c’è solo tanto freddo, anche se stai attraversando a piedi nudi il fuoco dell’inferno… Un freddo costante che, per me, è durato per ben 18 mesi.

Il cancro ti violenta, ti infligge ferite, ti stravolge, ti rende impermeabile agli eventi esterni, ti rende intollerante verso chi si lamenta dei piccoli fastidi della quotidianità, t’insegna a stare da soli , e soprattutto ti cambia: cambia la tua percezione nei confronti della vita e verso ciò che ti circonda.

Il percorso della malattia è una grande prova, sia per te stessa che per i tuoi affetti; succede anche di perderne qualcuno e di trovarne degli altri, perché riesci a stare vicino solo a chi capisce che non hai più la stessa visione delle cose; potevi morire e invece la vita ti ha dato un’altra possibilità, e tu non hai di certo voglia di sprecarla.
Sono una sopravvissuta al cancro e sono diventata un girasole, perché ora conosco l’odore del sole.

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