Il tumore al seno è la neoplasia più diagnosticata nelle donne e, secondo i dati ISTAT, nel 2018 è stata la prima causa di morte per tumore nelle donne, con oltre 13mila decessi. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è dell’88%, un dato su cui incide fortemente lo stadio in cui la diagnosi viene effettuata.

La prevenzione è fondamentale: per questo, la mammografia rappresenta uno strumento importantissimo ed è essenziale sottoporvisi periodicamente.

Cos’è e a cosa serve la mammografia?

La mammografia è un particolare tipo di radiografia che serve per individuare la presenza nel seno di formazioni potenzialmente tumorali. L’esame può essere effettuato in presenza di condizioni che richiedono un approfondimento diagnostico – come un nodulo avvertito durante la palpazione o altri segnali che possono indicare un carcinoma mammario – o come screening periodico.

La mammografia – che oggi viene generalmente effettuata in Tomosintesi – sfrutta radiazioni ionizzanti per studiare la morfologia della mammella e rilevare la presenza di lesioni mammarie – tra cui quelle di origine tumorale – che possono presentarsi come opacità nodulari a margini irregolari, micro-calcificazioni polimorfe, oppure aree di distorsione strutturale.

Alla mammografia possono essere abbinati altri esami diagnostici – come l’ecografia al seno o l’agoaspirato del nodulo mammario – per approfondire eventuali situazioni sospette ed escludere o confermare la presenza di una formazione cancerosa.

Come si effettua l’esame?

Generalmente, la mammografia non è un esame particolarmente doloroso, per questo di norma viene effettuato durante lo stato di veglia, senza anestesie o sedazioni.

L’esame dura pochi minuti e viene eseguito attraverso il cosiddetto “mammografo”, uno strumento radiologico che proietta un fascio di raggi X direttamente sulla mammella e permette di analizzarne la struttura e la morfologia.

La mammella viene appoggiata su un apposito piano (detto “detettore”), che viene quindi compresso per alcuni secondi con una piastra di plastica (o “compressore”); la compressione, che può risultare fastidiosa ma è generalmente ben tollerata, non solo garantisce l’immobilità della mammella durante la radiografia (fondamentale perché l’immagine ottenuta sia di qualità) ma consente anche di utilizzare dosi di radiazione più basse: riducendo lo spessore della mammella, infatti, la dose di raggi da erogare è più bassa.

Normalmente vengono acquisite due immagini per ogni mammella, quella “cranio-caudale” e quella “obliqua medio-laterale”, per avere la visualizzazione completa dell’organo.

Se si è già effettuata una mammografia in passato, è importante portare i referti precedenti in occasione dell’esame: il confronto farà emergere immediatamente eventuali discrepanze e permetterà di evidenziare eventuali aree critiche in maniera più precisa.

Quando effettuare lo screening mammografico?

La mammografia può essere effettuata da chiunque – anche dagli uomini, che in casi molto rari possono sviluppare un tumore al seno – a prescindere dall’età, se vi sono indicazioni sintomatologiche che rendono necessario un approfondimento diagnostico.

Nei casi in cui si tratti di uno screening periodico, generalmente si effettua a partire dai 40 anni di età: sotto i 40-45 anni di età, infatti, a causa della densità della ghiandola mammaria questa indagine può risultare meno leggibile rispetto all’ecografia.

Anche in presenza di una importante familiarità (più casi di tumore mammario in familiari di primo e/o secondo grado), nella fascia 30-40 anni si preferisce quindi questa tipologia di esame, anche per evitare di sottoporre le pazienti a un numero eccessivo di mammografie nel corso della vita: l’ecografia, infatti, non prevede l’uso di radiazioni, ma si effettua con un normale ecografo.

Tre donne salvate dalla mammografia

Lavoravo presso il St. Peter’s Health Partners e sono entrata nell’ufficio di un collega per salutarla. Sulla sua scrivania c’era un volantino che pubblicizzava mammografie gratuite durante il fine settimana per i dipendenti. Avevo appena compiuto 40 anni due mesi prima e, dato che non avevo programmi per quel fine settimana, mi sono iscritta.

Due mesi dopo la mia prima mammografia, ho subito una mastectomia e un intervento di ricostruzione. Durante l’intervento, il medico ha prelevato i linfonodi per vedere se il cancro si era diffuso. Fortunatamente, i linfonodi avevano margini puliti, il che significa che il tumore non aveva viaggiato al di fuori del seno. E la migliore notizia di sempre: non avrei bisogno di radiazioni o chemioterapia. Sarei stata bene.

Oggi, quattro anni dopo, sono libera dal cancro. Guardando indietro, so che una mammografia non era nella mia lista di cose da fare quando ho compiuto 40 anni, e onestamente non so quando l’avrei programmata. La diagnosi precoce salva vite e io ne sono la prova vivente!

Quella di Jacqueline Froeber è solo una delle tantissime testimonianze di donne a cui la mammografia ha – letteralmente – salvato la vita. La maggior parte dei tumori al seno diagnosticati precocemente si risolve positivamente. Viceversa, quando la scoperta avviene in una fase più avanzata, le possibilità di trattamento e guarigione sono molto più limitate.

Per questo, anche in assenza di familiarità, è importante sottoporsi agli screening mammografici a partire dai 40 anni, come spiega Jessica Rivera raccontando la sua storia:

Non ho alcuna storia familiare. Non ho nessuno dei fattori che potrebbero in qualche modo contribuire al cancro. Non era come se fossi una forte fumatrice o bevitrice. Ho allattato i miei bambini, ho camminato ogni giorno.

Indipendentemente da questo, ho programmato una mammografia non appena compiuto 40 anni. Le raccomandazioni di screening dicono che le donne dovrebbero sottoporsi a una mammografia ogni anno a partire dai 40 anni, indipendentemente dal fatto che sentano o meno un nodulo o presentino sintomi. Ascoltare la diagnosi è stato scioccante e terrificante. Credo con tutto il cuore che la mia mammografia mi abbia salvato la vita.

Una storia che riecheggia quella di Denise Geiwitz:

Sono sempre stata attenta alla mia salute facendo esercizio e mangiando bene. Non ho mai fumato. È stato semplicemente scioccante sentire le parole cancro al seno.

Sarò per sempre grata per la spinta in più che ho ricevuto dal medico di famiglia per effettuare la prima mammografia all’età di 40 anni. Non credo che nessuno desideri fare una mammografia, ma è uno screening rapido e facile. E mi ha salvato la vita.

Tre storie diverse, eppure simili, tre vite salvate da uno screening mammografico.

Secondo uno studio condotto presso il centro ospedaliero di Falun, che ha analizzato il numero di decessi da cancro al seno durante il periodo compreso tra i 20 anni precedenti e i 20 anni successivi all’introduzione dello screening in due contee svedesi, la mortalità da cancro al seno in donne tra i 40 ed i 69 anni sottoposte allo screening mammografico si è ridotta del 44 per cento, mentre nelle donne che non avevano fatto il test il tasso di mortalità è calato soltanto del 16%. Nel caso di donne più giovani, di età compresa tra i 40 ed i 49 anni, il tasso di mortalità si è ridotto del 48 per cento, contro il 19 per cento delle donne non sottoposte a mammografia.

Dati confermati da uno studio condotto nei Paesi Bassi, secondo cui rispetto ai dati registrati per il periodo 1986-1988, il tasso di mortalità da tumore al seno nelle donne tra i 55 e i 74 anni dal 1997 in poi si è ridotto sensibilmente, di quasi 20 punti percentuali e che in seguito all’introduzione dei servizi di screening, il tasso di mortalità è diminuito di quasi 2 punti percentuali l’anno.

Numeri che fanno ben sperare, ma su cui la pandemia potrebbe aver avuto effetti drammatici. Secondo i dati rilasciati in occasione dell’evento “Pink Ring” intitolato “Screening oncologici e pandemia: i ritardi nelle diagnosi di tumore“, tra le conseguenze del Covid-19 ci sono anche

un ritardo medio accumulato nelle diagnosi di oltre quattro mesi. Una riduzione di più di 1 milione di inviti per gli screening della mammella (-20%) e oltre 816mila esami mammografici in meno eseguiti (-28%). A ciò si aggiungono oltre 3.500 casi stimati di carcinoma della mammella non individuati.

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