Tumore al seno: i dati non sono 'rosa' come sembrano. Perché bisogna dirlo

Il pink power legato alla comunicazione e ai numeri parziale del tumore al seno rischia di dare vita a una narrazione paternalistica, infantilizzante e soprattutto non inclusiva, visto che colpevolizza e abbandona a se stesse molte donne e, più in generale, persone non binarie che ogni anno si trovano ad affrontare recidive o diagnosi di metastasi oltre i 5 anni riportati nelle statistiche di sopravvivenza. I successi da festeggiare ci sono, ma non così!

Premessa: non c’è nessuna volontà né terroristica, né sensazionalistica in questa analisi; tanto più che i dati sono dati: oggettivi per natura. Sappiamo però che, presi singolarmente, anche i numeri possono restituirci un quadro d’insieme, se non falsato, molto parziale, con il rischio di dimenticare qualcuno e, quando si parla di tumore al seno, sono molte le donne – ma anche uomini e, più in generale, persone non binarie – estromesse, seppur in buona fede dalle statistiche.

La volontà, quindi, è quella di provare a interrogarci – in modo informato – sui messaggi finora inviati dalle campagne di sensibilizzazione nazionale e sulla loro narrazione molto “rosa”, non solo a livello iconografico. Se da una parte il pink power ha infatti avuto l’innegabile merito di riempire le piazze di palloncini e raggiungere le masse, portando molte donne a fare prevenzione e controlli e creando una coscienza collettiva sul cancro alla mammella fino a un decennio fa impensabile, dall’altra parte c’è da chiedersi se questa rappresentazione rassicurante ed empowerment manchi, in parte, di verità, inclusività, nonché se sia arrivata al limite del paternalismo e di un’infantilizzazione che non servono a salvarci la vita. Anzi.

Ci sono in particolare due dati sul tumore al seno ormai noti un po’ a chiunque, grazie appunto alle campagne rosa, e che questo magazine ha contribuito a diffondere per contribuire a una maggiore consapevolezza e promuovere la prevenzione primaria e secondaria:

  1. 1 donna su 8, nell’arco della sua vita, si ammalerà di tumore al seno
  2. 87% è la percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, in costante aumento negli ultimi vent’anni

Il primo dato non può certo essere accusato di edulcorare una realtà preoccupante, ribadita da Airtum e Aiom anche nell’ultimo report oncologico su I Numeri del Cancro in Italia 2020, che ci informa tra le altre cose sul fatto che:

Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2020, è il carcinoma della mammella (54.976, pari al 14,6% di tutte le nuove diagnosi).

Il carcinoma della mammella è il tumore più frequentemente diagnosticato nelle donne in Italia.

Con una frequenza peraltro in crescita, dopo il cauto ottimismo degli scorsi anni di alcune associazione nazionali:

I tumori maligni della mammella mostrano un aumento di incidenza tra il 2008 e il 2016 in tutte le fasce di età, ma l’incremento è più evidente nella fascia di età sotto i 50 anni (+1,6% medio annuo).

È il secondo dato, quello sulla sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi, a meritare invece una riflessione più attenta.
Il numero in sé, sia chiaro, è corretto e positivo: negli ultimi vent’anni, si è passati da una percentuale dell’81% a una del 87%.

Questo grazie anche allo screening e a una maggiore consapevolezza delle donne, per le ragioni di cui sopra, che ha permesso di diagnosticare la maggior parte dei tumori maligni mammari in fase iniziale quando, citando sempre il report:

Quando il trattamento chirurgico può essere più spesso conservativo e la terapia adottata più efficace permettendo di ottenere sopravvivenze a 5 anni.

Che ci informa anche del fatto che:

Nel 6-7% dei casi il tumore alla mammella si presenta metastatico già alla diagnosi.

Grazie ai progressi diagnostico-terapeutici, alla disponibilità di nuovi farmaci antitumorali, alle migliori terapie di supporto e alla migliore integrazione delle terapie sistemiche con le terapie locali, la sopravvivenza globale delle pazienti con malattia metastatica (circa 37.000 oggi in Italia) è notevolmente aumentata.

Bene, benissimo, i progressi ci sono anche in caso di tumore al seno metastatico, ma la domanda da porsi è: “Ha senso parlare di sopravvivenza a cinque anni?”. In realtà no, o almeno solo per alcune persone; e anche per queste lo è forse solo con il senno di poi: chi si ammala di tumore al seno in età precoce è alla ricerca di una prospettiva più lunga dei cinque anni!

E comunque, non ha senso parlarne in questi termini di tempo: recidive loco-regionali e metastasi possono presentarsi (o ri-presentarsi) al di là di questo lustro statistico, che veicola impropriamente l’idea di una percentuale incredibilmente alta di donne ‘guarite’, tra cui rientrano anche quelle che a cinque anni e mezzo o sei si trovano ad affrontare la sorpresa di una ricaduta e, magari, di una diagnosi di cancro metastatico.

Che questo arco temporale sia insufficiente per una comunicazione corretta del cancro al seno era tema già affrontato anche in passato, sempre grazie al lavoro di Europa Donna che, nel 2017, aveva promosso una petizione rivolta all’allora ministra della salute Giulia Grillo, al Segretario dell’Associazione Italiana Registri Tumori Lucia Mangone e al Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica Stefania Gori, in cui si leggeva:

A tale disinformazione contribuiscono anche le campagne informative ufficiali sul cancro al seno che supportano la tesi per cui di cancro al seno si guarisce sempre di più e che la mortalità sia ormai prossima allo zero […] Purtroppo, la nostra esperienza personale di metastatiche, ci fa pensare che non sia così. Inoltre le statistiche di sopravvivenza generalmente divulgate si riferiscono ai primi 5 anni successivi alla diagnosi mentre, nel caso del cancro al seno, le recidive loco-regionali e le metastasi possono ripresentarsi ben al di là di questo arco temporale […] Addirittura si calcola che un IV stadio abbia una sopravvivenza a 5 anni del 22%.

La percentuale a cui la petizione faceva riferimento, per completezza di fonti, era tratta da questo documento ufficiale stilato dall’American Cancer Society nel 2017.

Il tumore al seno metastatico è ancora oggi un tema con molte ombre e poche luci, un argomento scomodo di cui si parla poco anche sui media.

Conferma Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna nel documento Il tumore al seno metastatico del 2019, documento validissimo per un’informazione, tra le altre cose, su numeri, terapie, tipologie di metastasi.

Ciò sta creando un gap informativo che alimenta paure e incognite. Per questa percentuale di malate non si può parlare di guarigione.

Al contrario di quanto avviene oltreoceano, nel nostro Paese si fa poca – se non pochissima – informazione sul tumore al seno metastatico. Eppure la corretta informazione è la chiave per vivere al meglio la condizione di una malattia cronica ed è il punto da cui partire per far valere i propri diritti di paziente e di persona.

Una delle richieste di Europa Donna è il fatto di avere statistiche regolari di sopravvivenza non solo a 5 anni dalla diagnosi, ma anche a 10/15/20 anni, che colmerebbero l’esigenza di una comunicazione più a lungo termine e di una fotografia né migliore né peggiore ma realistica della situazione in cui le donne con il tumore metastatico siano incluse e rappresentate esattamente come le altre.

Diversamente viene il dubbio lecito che queste numeriche rassicuranti e monche siano una strategia comunicativa tesa a dimostrare i progressi scientifici (peraltro innegabili!) raggiunti sul campo grazie alle raccolte fondi delle associazioni fortemente supportate anche dai privati. Siano cioè la narrazione paternalistica dell’“andrà tutto bene” anche grazie a te, donatore o donatrice, che ci stai supportando.

Ma che prezzo ha questa narrazione che, attenzione, di per sé non è errata, ma di certo molto parziale?
Innanzitutto esclude le donne che si ammalano di nuovo e che “cronicizzano” il tumore al seno in metastasi, dimenticandosi di includerle in una narrazione che non lasci impreparate loro e le altre che nei prossimi mesi/ anni riceveranno la stessa diagnosi.

Se hai ricevuto la diagnosi di tumore al seno al IV stadio vuol dire che la malattia si è diffusa oltre il seno e ha raggiunto altri organi. La prima cosa che devi sapere è che la ricerca continua a fare progressi e oggi il tumore al seno metastatico può essere trattato e tenuto sotto controllo anche per molti anni, permettendo di mantenere allo stesso tempo una buona qualità di vita. La malattia è quindi curabile e in un certo senso sempre più “cronicizzabile”, sebbene attualmente, nella quasi totalità dei casi, da questa fase non si possa ancora guarire.

Di questo, la comunicazione ‘divulgativa’ del tumore al seno tende a non parlarci, con enormi ripercussioni dal punto di vista psicologico, lavorativo, sociale e familiare per le persone con un tumore metastatico, che si trovano a vivere una situazione di cura, analisi, controlli cronici, estromesse dall’interesse (almeno così in apparenza) delle associazioni che contano e incapaci di ritrovarsi nelle statistiche e in una progettualità futura che passa anche per la domanda “quanto mi resta da vivere?”:

Ma quindi, quali sono i numeri reali della sopravvivenza al cancro al seno considerando anche (e necessariamente!) recidive e metastasi?

È molto difficile dire quante donne ogni anno sviluppino un tumore al seno metastatico, perché i dati non vengono raccolti in modo sistematico (non solo in Italia, ma anche in Europa e negli Usa).
Si stima che nel 2014 siano stati diagnosticati circa 14 mila casi, di cui 3.400 già metastatici alla prima diagnosi e 10.600 progrediti da un tumore in stadio iniziale (I, II, III stadio) diagnosticato in precedenza. Complessivamente, nel nostro Paese vivrebbero circa 37.100 donne con un tumore al seno metastatico, divise nelle seguenti fasce di età: 800 tra i 15 e i 39 anni; 3700 tra i 40 e i 49 anni; 6200 tra i 50 e i 59 anni; 8300 tra i 60 e i 69 anni; 8800 tra i 70 e i 79 anni; 9300 tra gli 80 e i 89 anni.

Per quanto riguarda la sopravvivenza, anche in questo caso, dare una percentuale isolata, rischia di essere fortemente sviante. Quindi, citando sempre dal report di Europa Donna:

I dati Airtum indicano che in Italia il 30% delle donne con tumore al seno metastatico è vivo a 5 anni dalla diagnosi. È però importante sapere anche che le statistiche cambiano in base al numero e alle sedi delle metastasi, ai sottotipi molecolari del tumore, all’età, alla presenza di eventuali mutazioni genetiche, ai percorsi di cura. La forbice della sopravvivenza va da meno di un anno a oltre 20 anni: con un range così ampio e con un gruppo così eterogeneo, la media perde di significato. Le statistiche sono importanti, ma è altrettanto importante sapere che ogni caso deve essere valutato singolarmente e che ogni persona ha una storia a sé.

Ed eccoci all’altro prezzo di questa narrazione, che sembra dirci che di cancro al seno non si muore più (o poco!) se lo si prende in tempo: farci correre il rischio di abbassare la guardia da una parte (tanto oggi si cura!) e colpevolizzare chi sembra costituire l’eccezione a questa norma.

Eppure tutti e tutte abbiamo detto addio a madri, amiche, sorelle, colleghe, parenti, figlie che non sono eccezioni, ma parte di una narrazione semplificata che merita invece la giusta complessità. Tra i motivi per cui nessuna persona dovrebbe essere più disposta ad accettare o più essere disposte ad accettare, del resto, dovrebbe esserci anche una consapevolezza diffusa e comune che cinque anni sono sì un lasso di tempo prezioso per una persona con diagnosi oncologica, ma anche un orizzonte terribilmente breve quando il tumore al senso si presenta in donne giovanissime o giovani.

“Posso guarire?” o “Per quanto tempo posso pensare di vivere?”, sono domande che meritano una risposta onesta, nel bene e nel male, che ci tratti da donne da informare, non come bambine da proteggere.

Poi possiamo metterci tutto il rosa, i palloncini e la sorellanza soprattutto, bellissima e necessaria!
Ma, vi preghiamo, prima di tutto, la verità e la versione completa della storia. Una donna malata di tumore ha il diritto di progettare il suo futuro e di sapere ciò che l’aspetta.

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