È noto, ma ripeterlo non guasta mai: nella lotta ai tumori, la prevenzione è fondamentale, soprattutto in quei casi in cui siano presenti fattori di rischio che possano aumentarne l’incidenza.

Tra questi, ci sono alcune tipologie di tumore dell’ovaio e del seno, che possono essere legate alla trasmissione di varianti patogenetiche in alcuni geni del nostro patrimonio ereditario: i geni BRCA1 e BRCA2.

Cosa sono i geni BRCA1 e BRCA2?

Come rileva il Collegio Italiano dei Senologi,

La maggior parte dei tumori mammari sono “sporadici”, ovvero insorgono in donne senza una significativa storia familiare per questa patologia. Il 15-20% circa dei casi vengono invece definiti “tumori familiari”, poiché nel nucleo familiare esiste più di un componente affetto. Infine, circa il 5-10% vengono denominati “tumori ereditari”. Tale denominazione è in realtà impropria in quanto non si eredita la malattia ma una predisposizione geneticamente determinata a svilupparla.

In alcuni casi, quindi, sono presenti delle varianti in alcuni geni che espongono le persone che le presentano a un maggior rischio di sviluppare questo tumore rispetto alla popolazione generale (un rischio che nelle donne è di circa l’8-10% nel corso della vita).

I responsabili di questa predisposizione sono i geni BRCA1 e BRCA2, identificati negli anni ’90 e ultimamente conosciuti anche come “geni Jolie”, dal cognome della celebre attrice che, dopo averne verificato la presenza di una mutazione ha deciso di sottoporsi prima a una doppia mastectomia e in seguito di farsi rimuovere anche le ovaie e le tube di falloppio per ridurre il rischio legato alla familiarità. Se ne è parlato molto in seguito alla sua decisione – rivelata in un articolo sul New York Times – ma cosa sono esattamente?

Il gene BRCA1 (BReast Cancer 1) ed il gene BRCA2 (BReast CAncer 2) sono situati nel nostro corredo genetico, rispettivamente sul cromosoma 17 e sul cromosoma 13. In alcuni casi, però, è presente una variante patogenetica di questi geni, cioè

in grado di alterare in maniera provata la funzionalità delle proteine brca1 o brca2, che aumenta il rischio di sviluppare sia uno o più tumori della mammella sia un tumore degli annessi nel corso della vita. Alterazioni di questi geni sono responsabili di circa il 25% dei casi di tumore su base ereditaria della mammella e di circa il 10% dei casi di tumore su base ereditaria dell’ovaio.

Perché è importante l’esame dei geni BRCA

Secondo gli studi, l’incidenza delle varianti patogenetiche in questi geni è circa di 1 individuo su 400-500: un individuo portatore (sia esso maschio o femmina) può trasmettere questa alterazione alla prole a ogni gravidanza con una probabilità pari al 50%, indipendentemente dal sesso.
Anche in presenza di familiari portatori, quindi, per stabilire se questa variante è presente o meno e se sono necessari successivi screening o trattamenti specifici è necessario sottoporsi a un test.

Attenzione però: il test potrà solo confermare o meno la presenza di varianti patogenetiche, non dare indicazioni precise sulla effettiva probabilità di sviluppare o meno un tumore mammario o all’ovaio, sebbene le stime ci aiutino a indicare alcuni livelli di probabilità:

È difficile definire l’entità del rischio di sviluppare nell’arco della vita un tumore mammario per le donne portatrici di varianti patogenetiche nei geni BRCA1 e BRCA2 poiché gli studi a riguardo sono stati effettuati in popolazioni diverse, con approcci diversi (retrospettivi, prospettici) e con intervalli di confidenza variabili. Tuttavia, è verosimile stimare il rischio cumulativo a 80 anni di sviluppare un tumore mammario per le portatrici di varianti nel gene BRCA1 al 72% circa e al 69% per le portatrici di varianti nel gene BRCA2. Tali varianti conferiscono inoltre un rischio aumentato di insorgenza del tumore ovarico/tubarico, che per il gene BRCA1 è circa il 44%, mentre per il BRCA2 il 17%.

Chi (e quando) dovrebbe fare l’esame dei geni BRCA

Nei casi in cui questa tipologia di tumori sia presente in famiglia sopratutto in età precoce, è importante sottoporsi a una a consulenza genetica oncologica (CGO), durante la quale lo specialista raccoglierà non solo l’anamnesi del o della paziente e della sua famiglia, ma anche altri importanti elementi per valutare se indicare o meno l’esecuzione del test genetico. Tra gli elementi che vengono valutati ci sono ad esempio:

  • età di insorgenza della malattia (i tumori con base ereditaria tendono a svilupparsi in età più precoce);
  • dati istologici della malattia (i tumori mammari BRCA1-correlati sono spesso tripli negativi, ovvero non esprimono i recettori ormonali né la proteina HER2, mentre i tumori ovarici BRCA-correlati sono spesso di tipo sieroso ad alto grado);
  • presenza, nella medesima persona, del tumore della mammella e dell’ovaio;
  • diagnosi di un tumore della mammella in un soggetto uomo;
  • evidenza di più casi di tumore della mammella e/o dell’ovaio nello stesso nucleo familiare.

Questo tipo di indagine non è importante solo per le donne, ma anche per gli uomini: sebbene l’incidenza del tumore mammario sia inferiore, infatti, secondo uno studio pubblicato su Jama Oncology, per gli uomini le mutazioni del gene BRCA2 aumentano di almeno 3 volte il rischio di sviluppare neoplasie alla mammella, al pancreas e alla prostata.

Nei casi in cui lo specialista ritenga che sia necessario approfondire l’indagine, viene effettuato il test genetico vero e proprio, che per il paziente consiste in un semplice prelievo di sangue, da cui il laboratorio estrae il DNA su cui effettuare l’analisi.

Il test può dare esiti differenti, che saranno sempre commentati dallo specialista con il paziente e i suoi familiari, che indicherà la strategia migliore da seguire:

  • l’esito positivo identifica la presenza di una variante patogenetica;
  • l’esito negativo indica l’assenza di una determinata variante patogenetica già rilevata in altri membri della famiglia;
  • l’esito non informativo segnala l’assenza di varianti patogenetiche in un contesto familiare dove non sono mai state identificate varianti patogenetiche;
  • l’esito variante a significato sconosciuto indica l’identificazione di una variante genetica che, per le conoscenze che abbiamo oggi a disposizione, non può essere classificata e quindi non può essere associata o meno con certezza a un rischio aumentato di sviluppo di tumori.

Cosa fare se l’esito dell’esame è positivo?

Lo ripetiamo: un risultato positivo non significa necessariamente una futura insorgenza di un tumore, ma indica che c’è una predisposizione genetica più alta di quella della popolazione di pari età, sesso e condizioni ambientali.

Per questo, la prevenzione riveste un ruolo fondamentale: lo specialista individuerà il percorso più adatto al singolo caso, in generale i pazienti che presentano mutazioni di questi geni dovranno sottoporsi a screening più frequenti rispetto alla popolazione generale.

In alcuni casi, può essere valutata la chirurgia preventiva – come quella di cui abbiamo parlato ricordando il caso di Angelina Jolie – ma queste considerazioni devono essere fatte esclusivamente sulla base dell’anamnesi del paziente e delle indicazioni dello specialista, e non è detto che sia necessario ricorrervi in tutti i casi.

Generalmente, inoltre, anche le persone con un grado di parentela stretto saranno invitate a sottoporsi alla consulenza oncogenetica, per valutare se anche nel loro caso sia necessario procedere con screening ulteriori.

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