Sappiamo che uno dei grandi mali del nostro tempo è la depressione, tanto che, come riporta un articolo de La Stampa del 2017, solo nel nostro paese ne soffrono 6 milioni di persone.

Ma anche nel caso di questa patologia occorre fare un distinguo, perché le sue manifestazioni e cause possono essere estremamente diverse. Prendiamo ad esempio la depressione reattiva, che potrebbe confondersi con il disturbo post traumatico da stress se definita come risposta a una situazione difficile e traumatica. In realtà la depressione reattiva è una risposta esagerata a un evento, il quale è di natura specifica e attiene a un fatto in cui l’amor proprio del soggetto, messo a dura prova, scatena la reazione depressiva. In questo senso parliamo quindi di lutti, aborti, perdite del lavoro, tutto ciò che il soggetto non elabora essendo egli stesso a mettersi in discussione.

Si parla di depressione reattiva in riferimento a uno stato depressivo, di tempo variabile, strettamente legato a un avvenimento doloroso, che è però caratterizzato da un’intensità e una durata sproporzionate rispetto a una reazione giudicata “normale”.

La depressione reattiva si manifesta generalmente a seguito di eventi spiegabili e motivati, psicologicamente rilevanti, come appunto un lutto, una separazione, una delusione sentimentale o professionale, ma anche come conseguenza di una violenza o un abuso psicofisico. Insomma, in tutti quei casi dove sia evidente un fallimento.

Non c’è un “tempo” predefinito per guarire dalla depressione reattiva, la prognosi e il decorso della malattia sono piuttosto variabili: si può passare da quadri clinici di breve durata ed entità, fino a forme più severe in cui i sintomi raggiungono forme croniche.

C’è un’importante differenza rispetto alla depressione endogena, ed è il fatto che, nel caso della reattiva, la causa sia proprio riconducibile a un elemento traumatico esterno; nella depressone endogena, invece, la causa della patologia è generata “da dentro”: si ha, quindi, un esordio brusco, immediato e grave a cui però, generalmente, non è associabile un motivo ben spiegabile. Nella maggior parte dei casi, è come se, all’interno della personalità dell’individuo, si assistesse a una frattura. Non esiste, insomma, un evento doloroso scatenante che possa essere riconosciuto come fattore da cui scaturisca lo stato depressivo, semplicemente il soggetto si trova a vivere un’esperienza di apatia e di senso di vuoto, che causa una forte sensazione di tristezza. Per questo, la depressione endogena è una malattia vera e propria, che spesso può sopraggiungere dal nulla.

I sintomi della depressione reattiva

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Fonte: web

In genere, i sintomi che maggiormente caratterizzano la depressione reattiva sono ansia, tristezza, pianto frequente e repentini sbalzi d’umore, disturbi del sonno, astenia e affaticamento, e soprattutto il pensiero è principalmente polarizzato sull’evento che ha determinato il malessere.

Solitamente, accanto al generale stato di abbattimento fisico, la depressione reattiva ruota attorno a quattro diversi componenti: si ha una coazione a ripetere, ovvero la tendenza a ripetere quadri comportamentali disfunzionali, accompagnata da un’accentuata fragilità psicologica, soprattutto a livello emotivo, e da un generale sentimento di pentimento a livello esistenziale.

La cura per la depressione reattiva

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Fonte: web

La natura dell’insorgenza dello stato depressivo reattivo porta a considerare come principale obiettivo della terapia il corretto superamento della ferita narcisistica. Per questo la strada maggiormente indicata è quella della psicoterapia rispetto all’uso di farmaci antidepressivi.

La psicoterapia infatti, in particolare quella a indirizzo cognitivo-comportamentale, è estremamente utile per questo tipo di patologia, perché riesce a fornire al paziente strategie di coping funzionali (ovvero la strategia di adattamento per fronteggiare problemi personali ed interpersonali) validi per affrontare le difficoltà.

Per quanto riguarda invece l’uso dei farmaci, gli antidepressivi generalmente tendono a non essere indicati per il trattamento della depressione reattiva, poiché sono potenzialmente in grado di indurre dipendenza in chi li assume, mentre il ricorso agli psicofarmaci è di solito indicato solo ed esclusivamente nei casi in cui la condizione assuma le caratteristiche di un grave disturbo depressivo, cronico, impossibile da debellare in altri modi.

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