Anche se viene descritta per la prima volta nel 1901 dal gastroenterologo francese Augustin Nicolas Gilbert, la sindrome di Gilbert è una patologia che colpisce il fegato ancora poco conosciuta ma non è mortale.

Grazie a test mirati, è possibile individuarne le cause e capire cosa fare per conviverci meglio.

Cos’è la sindrome di Gilbert?

La sindrome di Gilbert è un disordine epatico genetico, ovvero trasmesso da genitore a figlio a seguito della mutazione di un gene. Nello specifico colpisce la capacità del corpo di elaborare la bilirubina, ovvero un rifiuto liquido di colore giallo che si manifesta naturalmente quando vengono scomposti i vecchi globuli rossi.

La bilirubina si trova nella bile ed è un liquido digestivo prodotto dal fegato che aiuta il corpo ad assorbire i grassi. Il fegato filtra le tossine dal sangue, digerisce i grassi e immagazzina il glucosio (uno zucchero del sangue) come glicogeno da usare per produrre energia.

Le persone con la sindrome di Gilbert non producono abbastanza enzimi epatici per mantenere la bilirubina a un livello normale e questo comporta che la quantità in eccesso si accumuli nel corpo portando all’iperbilirubinemia. Il disturbo colpisce circa il 3-7% degli individui senza distinzione di sesso o età, anche se le manifestazioni cliniche sono tipicamente presenti durante la prima adolescenza e sono più frequenti nei maschi. Questo probabilmente per via delle differenze nelle concentrazioni di steroidi sessuali e la maggiore produzione di bilirubina.

Sindrome di Gilbert: le cause

A causare l’insorgere della sindrome di Gilbert è un’alterazione del gene UGT1A1 che fornisce le istruzioni per produrre la bilirubina-UGT, che si trova principalmente nelle cellule epatiche ed è necessaria per la rimozione della bilirubina dal corpo.

Dato che questo enzima risulta modificato, non riesce a convertire la bilirubina secondo il regolare processo di smaltimento: essa, in condizioni normali, dovrebbe diventare “coniugata” o “diretta” ovvero non tossica grazie al legame sviluppatasi tra l’enzima bilirubina-UGT e l’acido glucuronico.

Da questa unione scaturisce una molecola idrosolubile che riversata nell’intestino assieme alla bile riesce ad emulsionare tutti i grassi degli alimenti e svolgendo così un’azione preparatoria per la digestione.

In una persona affetta dalla sindrome di Gilbert il quantitativo dell’enzima UGT è decisamente esiguo e questo causa la presenza elevata di bilirubina tossica difficile da smaltire.

I sintomi della sindrome di Gilbert

Circa il 30% di chi soffre della sindrome di Gilbert è asintomatico e apprende di avere la malattia solo a seguito di esami del sangue. Il segno più comune è l’ittero, causato dagli elevati livelli di bilirubina nel sangue che rende gialla la pelle e il bianco degli occhi, ma non è dannoso.

Chi soffre di questa sindrome può sperimentare anche:

  • urine di colore scuro;
  • difficoltà di concentrazione;
  • vertigini;
  • problemi gastrointestinali, come dolore addominale, diarrea, nausea e sindrome dell’intestino irritabile (IBS);
  • affaticamento;
  • sintomi influenzali, compresi febbre e brividi;
  • perdita di appetito.

Questi sintomi si verificano in vari gradi e in un primo momento possono essere confusi con i segnali di molte malattie del fegato.

Sindrome di Gilbert: cura e trattamento

La sindrome di Gilbert è un disturbo lieve e benigno, non danneggia il fegato e non richiede un trattamento siccome non pregiudica una normale aspettativa di vita.

Anche se occasionalmente gli occhi e la pelle giallastri possono essere inquietanti, l’ittero non comporta alcun rischio per la salute e la colorazione andrà via da sola.

Il medico può suggerire alcuni modi per ridurre gli episodi di ittero associati alla sindrome di Gilbert e se i sintomi peggiorano, può prescrivere gli accertamenti necessari a escludere qualsiasi altra condizione patologica concomitante.

Sindrome di Gilbert e alimentazione

Gli esperti dicono che non è necessario un cambiamento nella dieta, anche se è importante evitare il consumo di alcol e bere molta acqua in modo da prevenire la disidratazione, che può aggravare i sintomi della patologia. Seguire una dieta sana ed equilibrata infatti, consumando molta frutta e verdura, aiuta a mantenere a bada i livelli di bilirubina. Per questo è necessario prestare attenzione a non saltare i pasti ed evitare anche le diete a bassissime calorie.

Uno studio ha approfondito il legame tra sindrome di Gilbert e alimentazione rilevando come la dieta chetogenica paleolitica abbia influito positivamente sulla sindrome: essa prevede il consumo di proteine animali, uova, verdure, olii e frutta secca, escludendo (totalmente o in parte) le fonti di carboidrati.

Anche se questa ricerca ha messo in luce un aspetto inedito dell’influenza del cibo sulla produzione di bilirubina, al momento non sono stati fatte ulteriori indagini a sua conferma.

I farmaci controindicati

A chi soffre della sindrome di Gilbert vengono sconsigliati alcuni farmaci che vengono scomposti dal fegato, in particolare il farmaco chemioterapico, irinotecan che causa diarrea e mielosoppressione, ovvero la ridotta produzione di cellule del sangue da parte del midollo osseo, e l’acetaminofene o il Tylenol utilizzati contro la febbre, perché se ne viene assunta una quantità superiore a quella raccomandata c’è il rischio che possano danneggiare il fegato.

Come puntualizza il Centro Diagnostico Italiano:

L’analisi delle varianti del gene UGT1A1 può dunque essere di grande importanza clinica come test predittivo nella terapia con atazanavir e irinotecan per individuare pazienti che possono maggiormente beneficiare di un trattamento o predire gravi effetti collaterali.

La prevenzione è tutto, quindi alla comparsa dei primi sintomi è consigliabile effettuare un test genetico e un test di funzionalità epatica in modo da valutare il funzionamento del fegato e misurare i livelli di bilirubina.

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