A Napoli si dice: non c’è mai da preoccuparsi per un problema, perché se il problema si risolve non ce n’è bisogno, mentre se il problema non si risolve preoccuparsi non serve a nulla.

Filosofia da “scuola della vita” a parte, in realtà c’è più di qualcuno che ha codificato questo concetto, che si ritrova completamente o solo lambito nelle opere di Aldoux Huxley, nel buddhismo, nella legge di Murphy, ma anche nell’idea taoista di Wu Wei, come si legge su BigThink. Si tratta della legge dello sforzo inverso.

Cos’è la legge dello sforzo inverso?

Legge dello sforzo inverso
Fonte: iStock

Il primo a codificare la legge dello sforzo inverso fu proprio lo scrittore Aldous Huxley, anche se, appunto, il concetto è molto più antico. Huxley scrisse:

Più ci sforziamo con la volontà cosciente di fare qualcosa, meno riusciremo a farla.

Un po’ come la legge di Murphy afferma che tutto ciò che deve andare male andrà male, o il buddhismo che, al di là del principio di causa effetto, prevede comunque che ci sono delle cose (brutte o belle) che talvolta accadono e basta e quindi è più facile cambiare noi stessi che l’universo. O ancora lo Wu Wei, che si basa sulla saggezza di riconoscere i propri limiti.

In altre parole “volere è potere” non è esattamente una balla perché la forza di volontà serve sempre, ma non può valere sempre e comunque. Se una persona è in ritardo per un appuntamento con noi, aspettarla con ansia non la farà arrivare prima. Contare i minuti che ci attendono prima della sveglia sullo smartphone non ci farà passare l’insonnia. Ci si può e ci si deve arrendere. Senza vergogna, perché non c’è niente di male.

Ci sono basi scientifiche?

Sì e no. Come per il buddhismo, in cui una legge fondamentale è coincidente con il terzo principio della dinamica, c’è un concetto scientifico che lambisce la legge dello sforzo inverso, ovvero l’entropia. Questa è la tendenza al disordine che è in tutti i fenomeni fisici: come quando il tubetto del dentifricio viene spremuto troppo, ma, per quanto ci sforziamo, non possiamo rimettere il dentifricio in eccesso nel tubetto. Niente e nessuno sul pianeta Terra può opporsi all’entropia.

Quindi diciamo che la legge dello sforzo inverso è più una filosofia, ma questa filosofia ha una piccola base scientifica. Magari anche solo di tipo empirico, ovvero basata sull’esperienza di molte persone.

Cosa possiamo imparare dalla legge dello sforzo inverso?

Legge dello sforzo inverso
Fonte: iStock

Possiamo imparare una cosa, ma è fondamentale per vivere bene: accantonare le ansie perché non servono a nulla. Naturalmente quando parliamo di ansie in questo caso non si tratta per esempio del disturbo d’ansia generalizzato, che è una malattia che richiede tanta terapia, ma in generale di provare emozioni di impazienza e nervosismo in relazione a qualcosa che davvero non possiamo controllare.

E ci sono delle applicazioni pratiche a questa lezione:

  • accantonare le scadenze. Sì, tutti abbiamo delle scadenze lavorative, ma cercare di focalizzarci quando non riusciamo è perfettamente inutile. È invece più utile appuntare le idee su un quaderno quando arrivano, perché magari un giorno o l’altro potrebbero esserci utili;
  • spegnere il cervello. Capire questo è fondamentale quando si impara uno sport, che oltre alla testa richiede anche una certa quantità di memoria muscolare, come accade per esempio con il karate. A volte spegnere i pensieri e focalizzarsi su qualcosa di “automatico” può servire a ritrovare il proprio centro intellettivo ed emotivo, quindi: metti la cera, togli la cera;
  • provare la mindfulness. In pratica, con questa disciplina si acquisisce una maggiore consapevolezza e concentrazione. Si rimette al centro il sé e ci vuole tempo per questo, ma al tempo stesso questo tempo lo si recupera dopo, in barba alla frenesia del quotidiano;
  • meno parole e meno azioni. Quando proprio non ce la si fa a ottenere un risultato sperato, meglio arrendersi e non tentare manovre (ed espressioni) quasi disperate. Il filosofo Friedrich Nietzsche scriveva in Crepuscolo degli idoli: “Raramente si compie un’avventatezza sola. Nella prima avventatezza si fa sempre troppo. Appunto perciò se ne compie di solito anche una seconda – e a questo punto si fa troppo poco”.
La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!