Cosa significa vivere con l'emofilia (in tempi di Covid)
Il Covid-19 ha provocato notevoli stravolgimenti nella vita di tutti, specie nelle persone soggette a disturbi cronici, come l'emofilia.
Il Covid-19 ha provocato notevoli stravolgimenti nella vita di tutti, specie nelle persone soggette a disturbi cronici, come l'emofilia.
La pandemia da Covid-19 ha stravolto e complicato le vite di tutti, ma, in modo particolare, ha condizionato le esistenze dei soggetti più fragili e di coloro che convivono con delle patologie. Una di queste è l’emofilia.
Si tratta di una malattia rara di origine genetica legata a un difetto di coagulazione del sangue. Perciò, se si rompe un vaso sanguigno, l’organismo non riesce a formare un coagulo che possa bloccare l’emorragia in atto, come invece avviene di norma, e questo per via del fatto che manca una delle proteine che concorrono a formarlo. In particolare, sono due le proteine, prodotte nel fegato, che sono presenti in misura inferiore rispetto alla norma o che possono presentare un difetto funzionale: il fattore VIII e il fattore IX. A seconda di quella che manca, si parla di emofilia A o emofilia B: la prima è dovuta alla carenza del fattore otto (FVIII), la seconda alla carenza del fattore nove (FIX).
Questi deficit causano facilmente nei soggetti emofilici l’insorgere di emorragie esterne in seguito a traumi, ferite e operazioni chirurgiche, e interne, più o meno gravi, apparentemente spontanee.
Questa patologia si manifesta prevalentemente nei maschi, perché la sua trasmissione è legata al cromosoma X, e avviene in modalità recessiva, ossia quando entrambe le copie di un gene – sia quella paterna sia quella materna – sono mutati. Ne deriva quindi che l’uomo, che presenta la coppia di cromosomi XY, ha una probabilità maggiore, del 50%, di essere emofilico, mentre nella donna – che ha la coppia XX – in genere la malattia non si manifesta, perché il cromosoma X sano ne impedisce l’espressione. La donna è infatti più comunemente una portatrice sana, ossia “porta” una copia mutata del gene ma, appunto, non manifesta la patologia.
Le manifestazioni sono simili in entrambi i tipi di malattia e dipendono più dallo stadio della malattia, ossia dalla sua gravità, che dal tipo (A o B). La gravità della malattia viene determinata dalla gravità della carenza di attività del fattore coagulante, VIII o IX. Sia nell’uno che nell’altro caso, ossia sia nell’emofilia A che nella B, se il valore dell’attività del fattore coagulante è minore dell’1% si parla di emofilia grave, se è tra l’1% e il 5%, di emofilia moderata e, infine, se è tra il 5% e il 40% si parla di emofilia lieve.
Oltre ai problemi tipici che abbiamo descritto in precedenza, i soggetti emofilici presentano anche altre complicanze correlate alla malattia, tra cui le più comuni sono le emartri, versamenti di sangue che avvengono all’interno delle articolazioni e che se non trattai possono portare ad artropatia cronica e disabilità.
L’emofilia di tipo A è la più diffusa: si parla di 1 caso ogni 10.000. Mentre per l’emofilia B, l’incidenza è di 1 caso ogni 30.000. Una recente indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha poi rilevato un aumento dell’incidenza delle coagulopatie negli ultimi anni.
Stando, infatti, al Rapporto del 2016 sul Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite, i pazienti italiani affetti da coagulopatie sono 11.373 e risultano in crescita rispetto ai due anni precedenti. Per l’emofilia di tipo A , il Rapporto del 2016 ci dice che, se confrontiamo i dati con i due anni precedenti, notiamo che si passa da 6,4/100.000 del 2014 a 6,6/100.000 del 2015, fino al 6,8/100.000 nel 2016 – l’ultimo dato disponibile. Sarebbe in crescita anche la prevalenza dell’emofilia B, che passa da 1,4/100.000 sia nel 2014 che nel 2015, a 1,5/100.000 nel 2016.
Ma questi due tipi di emofilia non sono le uniche coagulapatie che conosciamo, purtroppo. Vi è infatti un’altra forma di coagulopatia congenita relativamente diffusa: la malattia di von Willebrand. Si tratta della più frequente patologia emorragica ereditaria, causata da anomalie qualitative o quantitative del fattore di von Willebrand (VWF), una proteina fondamentale per la stabilizzazione del fattore VIII nel sangue.
Dobbiamo citare anche un’altra forma di emofilia, questa volta non ereditaria, come invece lo sono le forme trattate fino ad ora, molto più rara e potenzialmente letale: l’emofilia A acquisita. Una malattia autoimmune in cui i difetti di coagulazione del sangue sono dovuti al fatto che l’organismo inizia a produrre anticorpi che bloccano l’attività coagulante del fattore VIII.
Dei 11.373 soggetti patologici identificati dal Rapporto del 2016, il 36,2% è affetto da emofilia A, il 28,7% da malattia di von Willebrand e il 7,8% da emofilia B. C’è poi un 6% rappresentato da soggetti portatori di emofilia A e B. Completano il quadro i soggetti che presentano difetti di altri fattori della coagulazione (il 18,4%) e quelli affetti da piastrinopatie (il 3%).
Come anticipato, ad eccezione della forma rarissima dell’emofilia A acquisita, le altre tipologie sono ereditarie: questo rende la diagnosi più facile.
Per arrivare alla diagnosi definitiva si fa, mediante un test della coagulazione, il dosaggio dei due fattori coagulanti otto e nove, che appunto risultano carenti o disfunzionali rispettivamente nel tipo A e nel tipo B.
Attualmente, il trattamento dell’emofilia avviene attraverso la somministrazione del farmaco contenente il fattore coagulativo carente. Questo può avvenire in due modi: tramite la terapia “on demand”, ossia al bisogno, al momento cioè del sanguinamento, o tramite la profilassi, che consiste nella somministrazione costante del fattore carente per prevenire le emorragie. In questo secondo caso le infusioni devono essere effettuate circa 3 volte a settimana.
In genere la profilassi viene utilizzata per il trattamento delle emofilie più gravi, mentre la terapia “on demand” per quelle di entità moderata e lieve e per la malattia di von Willebrand di tipo 1 e 2. Nella forma più grave, ossia quella di tipo 3, la profilassi è invece il regime terapeutico maggiormente utilizzato (il 47,7% dei casi). In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, da tempo è diffusa l’autoinfusione domiciliare, che avviene sotto la guida e il periodico controllo dei centri emofilia.
Come per altre patologie croniche, anche per l’emofilia, il Covid-19 ha rappresentato un ostacolo importante. Sono in particolare due gli aspetti che la pandemia ha maggiormente impattato e riguardano la diminuzione dell’attività fisica – fondamentale per i soggetti emofilici – e dei controlli diagnostici periodici, anch’essi determinanti per tenere sotto controllo la patologia.
Nei pazienti affetti da emofilia, se le articolazioni e i muscoli non sono stimolati dall’attività fisica sono più a rischio di sanguinamenti, è per questo che l’esercizio fisico risulta ancor più importante nelle persone che soffrono di questa patologia.
Un’indagine commissionata da Sobi, industria biofarmaceutica multinazionale dedicata alle malattie rare, sull’attitudine dei pazienti con emofilia verso l’attività fisica dall’inizio della pandemia, ci dice che tra marzo e ottobre 2020, il 34% dei soggetti emofilici che la praticava, ha smesso. Un dato che aumenta del 50% nei pazienti con una forma grave di emofilia. Lo studio ci dice anche che chi non ha smesso, ha comunque ridotto gli allenamenti fino al 15% in meno rispetto a prima della pandemia.
E sono soprattutto i giovanissimi ad aver diminuito l’attività fisica. Per gli under 18 anni, il dato arriva infatti a toccare il 72% del totale degli intervistati. Nella fascia tra i 19 e 40 anni si scende al 48%, mentre dai 41 agli over 60, saliamo al 63%.
In più, dall’indagine emerge anche un altro dato allarmante: solo il 57% ha effettuato uno screening articolare nei nove mesi precedenti all’intervista, mentre il 43% degli intervistati non lo ha mai fatto fino ad oggi. Insieme all’attività fisica, anche lo screening articolare periodico è fondamentale per monitorare la situazione e prevenire danni ad articolazioni e micro-sanguinamenti, che non sempre sono evidenti e che, se trascurati, possono portare nel tempo alla perdita di funzionalità.
Questo quello che dice Luigi Ambroso, Vice Presidente di FedEmo, Federazione delle Associazioni Emofilici:
Dai dati dell’indagine emergono due grandi problematiche. La prima, una diminuzione sostanziale dell’attività fisica da parte delle persone con emofilia, certamente favorita dalla pandemia che ha determinato la chiusura di palestre e piscine. La seconda, l’assenza di controlli periodici alle articolazioni che permetterebbero di valutare l’efficacia della terapia in relazione ai micro-sanguinamenti. Come pazienti, vogliamo ricordare i tre cardini per il mantenimento di un’ottima salute articolare: profilassi, controlli periodici alle articolazioni e attività fisica.
Proprio in quest’ottica, è nato il progetto multipiattaforma Articoliamo, sostenuto da Sobi con il patrocinio della onlus FedEmo, pensato per offrire a persone con emofilia e a caregiver, specie in questo difficile momento, contenuti utili e interattivi, tra cui video-allenamenti, incontri di informazione online, indicazioni e suggerimenti e ricette per una corretta alimentazione.
Sempre con lo scopo di sensibilizzare sull’argomento, è stata istituita la Giornata mondiale dell’emofilia, che si celebra il 17 aprile 2021 e che in questo anno sarà particolarmente incentrata sulla difficile condizione attuale. Il tema di questa edizione sarà infatti Adattarsi al cambiamento: sostenere la cura in un mondo nuovo“.
L’idea della World Federation of Hemophilia è quella di spingere le persone con emofilia a raccontare come si sono adattate al cambiamento in questo periodo unico e come hanno lavorato per continuare ad aiutare a sostenere le cure. La federazione ha infatti cercato di promuovere un coinvolgimento attivo della community attraverso modalità e gesti concreti e condivisibili. Tra questi, ad esempio quello di scrivere sulla piattaforma worldhemophiliaday.org, che sarà live a partire dal primo aprile, come i soggetti emofilici si sono adattati ai cambiamenti determinati dalla difficile era Covid.
Un’altra interessante iniziativa è quella di partecipare alla campagna Light it Up Red!, condividere cioè dai propri profili social una foto di se stessi con indosso qualcosa di rosso o utilizzando lo sfondo Facebook creato ad hoc dalla World Federation of Hemophilia e scaricabile qui.
La malattia viene di frequente associata ai concetti di limitazione, impedimenti e mancanza di libertà. Ma i soggetti affetti da patologie, tra cui la stessa emofilia, sono prima di tutto persone che vivono una vita al di là della patologia che si trovano ad affrontare.
Sono spesso storie di coraggio, speranza e libertà che possono essere una preziosa testimonianza di vita. Lo è ad esempio quella di Nicola Pezzotta, uno studente bergamasco di 22 anni affetto da emofilia, che ha realizzato il suo sogno: fare il Cammino di Santiago.
Nicola è uno dei due protagonisti italiani di “Liberate Life. Libera la Vita. Storie di sogni che l’emofilia non può fermare”, la campagna promossa da Sobi con il patrocinio di FedEmo dedicata alle storie delle persone che convivono l’emofilia ma che non hanno rinunciato ai propri sogni e alle proprie passioni.
Nicola nel suo sogno, si è lasciato accompagnare per un tratto dallo YouTuber di viaggi Nicolò Balini, noto come Human Safari, che lo ha preparata all’impresa e che con lui ha condiviso un pezzo del famoso Cammino.
Un’altra protagonista ed emblema di forza e realizzazione è Paola Fiacconi, una donna 50enne, a cui all’età di due anni è stata diagnosticata l’emofilia. Così si racconta Paola:
Da piccola la malattia mi ha impedito di vivere una vita normale a causa di numerose emorragie. La mia vita di tutti i giorni era molto diversa da quella di tutti gli altri bambini, in quanto era prevalentemente a letto, perché a causa delle emorragie interne non camminavo. Non ho il fattore VIII della coagulazione del sangue, quindi la mia si chiama emofilia grave. Sono un po’ un caso raro perché sono una donna. L’emofilia colpisce infatti soprattutto i figli maschi di mamme portatrici sane. Non mi è stata trasmessa la mia patologia, ma ho avuto due mutazioni genetiche di entrambe le X, due mutazioni completamente diverse. È stata un po’ una bella sfida la mia. Però, nonostante tutto ho sempre continuato a sognare e non mi sono mai rassegnata.
Il sogno di Paola è sempre stato quello di recitare e cantare e con il progetto Liberate Life, è riuscita ad esaudire il suo più grande desiderio, anche grazie a un attore e doppiatore d’eccezione, Luca Ward, perché come dice lei stessa: Anche dal dolore più profondo, puoi trarre dei vantaggi. Vantaggi che, forse, senza quel dolore, non avresti mai conosciuto.
Amante dei cani, delle foglie d'autunno, dei tetti di Parigi e della pizza. Scrivo da sempre e credo nel potere delle parole. Amo la musica, i cieli azzurri e i giorni di sole.
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