
Una serie di dieci precetti che interessano lo stile di vita di chi si avvicina alla pratica yoga, il cui scopo è quello di portare a un miglioramento della propria condotta e comportamento, sia nei confronti degli altri che verso se stessi, migliorando le relazioni personali e il rapporto con il proprio sé interiore.
Come descritto all’interno di uno dei maggiori classici e testi di riferimento dello yoga, lo “Yogasutra” di Patanjali (filosofo indiano e considerato il fondatore del Raja Yoga), il cammino spirituale dello yoga è composto da otto gradini (o anche rami). Una serie di stadi che vengono toccati simultaneamente da coloro che si avvicinano a questa disciplina:
- Yama: le linee guida che permettono di rendere più felici le relazioni esterne;
- Niyama: una serie di linee guida personali;
- Asana: posizioni dello yoga;
- Pranayama: respirazione;
- Pratyahara: ritrazione dei sensi;
- Dharana: concentrazione;
- Dhyana: meditazione;
- Samadhi: estasi.
E di cui Yama e Niyama, sono proprio i primi due “passi”. Ma cosa sono esattamente e cosa significano.
Yama e Niyama: significato
Con i termini Yama e Niyama, come visto, vengono identificate dieci “regole” etiche, che ogni praticante e yogino dovrebbe fare proprie e rispettare per entrare completamente nella filosofia yoga, raggiungere un livello di coscienza adatta alla pratica, migliorando il rapporto con se stessi e con gli altri. Fino a raggiungere una sorta di liberazione.
La parola Yama in sanscrito significa “disciplina” o anche “vivere correttamente”. Un termine che ha a che fare con il controllo. Per esempio la respirazione nello yoga è detta pranayama ovvero controllo del respiro.
Yama e Niyama, quindi, non sono altro che una serie di cinque cose da non fare o astensioni (yama) e cinque cose da fare o osservanze (niyama), che agiscono rispettivamente nel rapporto con gli altri o per disciplinare la propria sfera personale.
Dettami senza i quali la pratica yoga verrebbe ridotta unicamente a un’attività fisica e che, quindi, rappresentano una parte integrante ed estremamente importante di questa filosofia di vita.
Vediamo, allora, di cosa si tratta e cosa indicano questa serie di precetti volti al cambiamento e alla propria trasformazione personale.
Yama e Niyama: le 10 regole dallo yoga
Come visto queste dieci regole dello yoga si dividono in due gruppi da cinque: gli Yama, o astensioni, e i Niyama, o osservanze. Insieme, queste regole formano un codice di comportamento in grado di regolare qualsiasi tipologia di rapporto, verso l’esterno e verso l’interno di sé.
Yama
Scopo dei cinque yama, è quello di limitare tutta quella serie di comportamenti che possono essere dannosi per lo yogi stesso e per le sue relazioni con gli altri e sono:
- non violenza (ahimsa), ovvero il non creare danno a nessun essere vivente e anche la concreta opportunità di rinunciare a ogni tipologia di ostilità, rabbia o irritazione verso gli altri, lasciando libero spazio alla pace interiore. Questo richiede una presa di coscienza di tutto ciò che impedisce di sentirsi in pace e di un allontanamento consapevole da esso;
- sincerità (satya), che implica il non mentire sia nelle parole che nei fatti e nel voler apparire mostrandosi per come non si è realmente. Ma non solo. Anche ciò che non si dice nasconde la verità ed è quindi parte di Satya, oltre al fatto di dover imparare e pesare le parole che si dicono. E questo perché la “nostra” verità spesso non è altro che un giudizio verso gli altri;
- onestà (asteya), inteso come non rubare e non appropriarsi delle cose degli altri (a meno che non ci vengano offerte) o di qualunque altra cosa che entra ed esce dalla propria vita, praticando il principio del non attaccamento. Non solo a livello materiale, per esempio con gli oggetti, ma anche con ciò che non si può toccare ed è immateriale, come il tempo, la felicità, ecc.
- continenza sessuale o moderazione energetica (brahmacharya), che significa il non esagerare e disperdere le proprie energie sessuali e dei vari sensi. Non un’astinenza totale, quindi, ma il saper dosare la sfera sessuale anche sotto una veste più spirituale. Quando si pratica il brahmacharya, infatti, è importante non permettere ai sensi di dominare il proprio comportamento, limitando l’impulso;
- non avidità nel possedere o non afferrare (aparigraha) o anche l’assenza di avarizia. Un principio che si può ricollegare a quello dell’onestà (asteya) e che indica la volontà di non accumulare cose ma di domandarsi sempre, se si ha un vero bisogno di quel determinato oggetto o bene.
Niyama
Quando si parla di Niyama, invece, si va a toccare la sfera più intima e personale dell’individuo, ovvero la cura di sé. Si tratta di cinque virtù e di comportamenti positivi da introdurre come parte integrante del proprio stile di vita, per accrescere e migliorarsi costantemente:
- purificazione (saucha), inteso come mantenersi puliti a tutto tondo, fisicamente (praticando periodicamente il digiuno, o eliminando le tossine da naso e lingua, ecc.) e moralmente, con azione, parole e pensieri puliti, puri;
- accontentarsi o contentezza (santosha), ovvero l’essere grati per ciò che si ha o si fa oltre alla capacità di saper provare una reale felicità o contentezza interiore nell’accettare ciò che avviene, gli incontri che si fanno, e le diverse circostante che si si trova ad affrontare quotidianamente. Ponendo la propria attenzione sul qui e ora e sul momento presente;
- austerità, autodisciplina ma anche il fuoco interiore (tapas), con questo termine si indica l’ardore, ovvero la capacità di perseverare. La determinazione e la disciplina personale. Migliorando la propria forza interiore e portando il praticante a raggiungere ogni obiettivo, affrontando il cambiamento serenamente, consapevoli della forza di volontà che lo anima;
- studio, riflessione e conoscenza di sé (svadhyaya), ovvero la consapevolezza che la felicità non è fuori ma dentro di sé. Un vero e proprio studio di chi si è, e che implica una serie di domande da porsi come “chi sono io?”, “cosa provo?”, ecc. Sviluppando la capacità di rispondersi e imparando a comprendersi senza giudizio alcuno;
- abbandono alla volontà divina (ishvarapranidhana), un principio che rappresenta una sorta di gradino finale verso la liberazione e verso l’unione e la contemplazione con il divino. Un insieme di amore, abbandono e comunione che porta all’accettazione che ogni nostro gesto è guidato da un disegno divino più grande di cui si fa parte. Consapevoli che siamo parte del Tutto e in quanto tale, possiamo sentirci liberi di attraversarlo e lasciarci andare a esso.
Yama e Niyama nella vita di tutti i giorni
Dieci regole o suggerimenti (niente è mai imposto), Yama e Niyama, impliciti nella pratica yoga e nella filosofia di vita racchiusa in ogni gesto, pensiero e respiro di questa disciplina. E che non si esauriscono solo nel momento della pratica ma che, interiorizzati, diventano parte di sé, del proprio modo di vivere e di essere, in ogni momento della giornata e della vita stessa.
Così facendo, si alimenta la parte migliore di sé, portando beneficio nel rapporto con chi si ha di fronte (inteso come qualunque essere vivente) e in quello con se stessi, e aumentando la qualità della propria vita in senso lato.
Un allenamento continuo, sul tappetino e non, che implica una comprensione e un’attenzione costante verso ciò che si fa e come lo si fa. Mettendo in pratica nelle piccole cose questi principi e accrescendo la propria morale in favore del prossimo e di sé. E per farlo basta davvero poco.
Vivere con Yama e Niyama
Per esempio evitando di rispondere o trattare male qualcuno solo perché in quel momento si è più stanchi del solito (ahimsa), evitando di proferire giudizi o di mentire a chi si ha vicino (satya), lasciando il proprio tempo a chi si ha accanto, senza intromettersi con prepotenza nella vita altrui (asteya). Ma anche provando a seguire e cercare un certo equilibrio, dalla sfera sentimentale a quella lavorativa (brahmacharya) o il non comprare oggetti che non ci servono per il puro gusto di avere e mostrare cosa si ha (aparigraha).
Ma non solo. Si può fare anche imparando a coltivare ciò che si ha dentro, unica vera fonte di serenità perenne, liberandosi da ciò che appesantisce, sia in termini di cibo o tossine che di persone che non ci sono affini (saucha), imparando a ringraziare la vita per ciò che si ha, una casa, un lavoro, il sole la mattina, un fiore sbocciato in giardino, ecc. (santosha) e seguendo con perseveranza e forza di volontà ciò che sappiamo possa renderci felici, senza paura o giudizio alcuno (tapas).
Consapevoli di ciò che si è e si desidera essere oggi (svadhyaya) e coscienti che ciò che siamo è (e sarà sempre) parte di un tutto universale, perfetto e armonioso (ishvarapranidhana).
Un percorso di vita che, attraverso la comprensione di Yama e Niyama può davvero essere da spinta per una nuova vitalità e per uno stile di vita più attento, sano e consapevole verso ciò che si è e a quello che ci circonda. Donando equilibrio e serenità a chi si ha vicino e, soprattutto, a se stessi: l’essere vivente più caro che ciascuno dovrebbe avere.
Articolo originale pubblicato il 9 luglio 2021
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