La sindrome del nido vuoto dei genitori che soffrono quando i figli "prendano il volo"

Con l'espressione "sindrome del nido vuoto" ci si riferisce all'insieme di sensazioni provate dai genitori in seguito alla decisione, da parte dei propri figli, di vivere da soli, trasferirsi all'estero o in un'altra città o andare a convivere. Si tratta, dunque, di quel miscuglio di tristezza, apatia, malinconia e solitudine che interessa la maggior parte delle famiglie al momento del distacco dalla propria prole, ma che, nei casi della sindrome, raggiunge livelli di intensità particolarmente elevati e spesso difficili da gestire. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

La stanza vuota, il silenzio che si annida per la casa, porzioni di cibo in meno da preparare e quella sensazione di “smarrimento” che deriva dall’avere più tempo a disposizione per se stessi e per la coppia. Sono solo alcuni degli aspetti della cosiddetta “sindrome del nido vuoto“, una condizione psicologica di malessere che può colpire i genitori nel momento in cui i loro figli lasciano il tetto familiare.

Raccontata – talvolta ironicamente, altre drammaticamente – da cinema e letteratura, la sindrome può causare un vero e proprio disagio, spesso molto profondo e duraturo nel corso del tempo. Di che cosa si tratta, nello specifico? Scopriamolo insieme.

Che cos’è la sindrome del nido vuoto?

Con l’espressione sindrome del nido vuoto ci si riferisce all’insieme di sensazioni provate dai genitori in seguito alla decisione, da parte dei propri figli, di vivere da soli, trasferirsi all’estero o in un’altra città o andare a convivere.

Si tratta, dunque, di quel miscuglio di tristezza, apatia, malinconia e solitudine che interessa la maggior parte delle famiglie al momento del distacco dalla propria prole, ma che, nei casi della sindrome, raggiunge livelli di intensità particolarmente elevati e spesso difficili da gestire.

In alcune circostanze, infatti, il dolore esperito può accostarsi anche a quello di un lutto, rendendo la separazione ancora più complessa da elaborare e da accogliere con serenità – anche per i figli, che possono risentire del malessere della famiglia di origine.

Il risultato è un’autentica sensazione di “abbandono”, cui seguono tutte le fasi che, solitamente, lo accompagnano in altre circostanze, dalla negazione alla rabbia, dalla tristezza all’accettazione finale.

I sintomi della sindrome del nido vuoto

Ma che cosa prova chi patisce la sindrome del nido vuoto? Tra i sintomi più frequenti si annoverano:

  • solitudine;
  • tristezza profonda;
  • depressione;
  • ansia e attacchi di panico;
  • incertezza e insicurezza;
  • perdita di senso della vita e dell’identità;
  • insonnia;
  • irritabilità e nervosismo;
  • isolamento;
  • senso di colpa;
  • abbandono;
  • preoccupazione eccessiva.

Nel complesso, quindi, le madri e i padri che si riscoprono a soffrire della sindrome del nido vuoto vivono il distacco dai propri figli in modo esacerbato, ritrovandosi in un vortice di emozioni e pensieri negativi che inficiano la qualità della vita. Sensazioni che, poi, emergono spesso in concomitanza con la menopausa e il pensionamento, accompagnandosi, così, a fasi della vita più delicate e mutevoli di altre.

Le cause e le implicazioni psicologiche

A celarsi dietro la sindrome del nido vuoto vi sono, spesso, traumi non elaborati. Sebbene il distacco tra genitori e figli sia, a un certo punto dell’esistenza, del tutto fisiologico e auspicabile, talvolta, a complicare il dispiegarsi delle cose, intervengono irrisolti del passato – un lutto, una separazione, un dolore relazionale profondo –, i quali possono, perciò, rendere più ostico il processo.

In altri casi, invece, si tratta del ruolo che il genitore acquisisce nel corso della sua vita. Può accadere, infatti, che una persona si identifichi totalmente con il suo essere madre o padre, per poi entrare in una sorta di crisi identitaria nel momento in cui non vi sono più i figli a occupare la maggior parte del suo spazio mentale, del suo tempo e delle sue fatiche giornaliere.

Come si legge su State of Mind:

Un fattore di protezione rispetto allo sviluppo della sindrome del nido vuoto è la capacità di ricoprire ruoli differenti. Alcune ricerche sottolineano, infatti, che le donne che costruiscono la propria identità principalmente sul ruolo di madre e devolvono la loro intera esistenza alla cura dei figli sono maggiormente predisposte a sviluppare la sindrome, poiché, conseguentemente al distacco dai figli, sperimentano una crisi d’identità causata dalla scarsa capacità di adattarsi a nuovi ruoli (Harkins, 1978).

Ma chi soffre di più, la madre o il padre?

Per quanto concerne le differenze di genere, gli stereotipi spingono spesso a credere che siano le donne a soffrire maggiormente dell’allontanamento da casa dei figli (Sartori et al., 2009), mentre studi recenti hanno dimostrato come anche gli uomini non ne siano esenti (Mitchell et al., 2009). Ciò che sembra differenziare madri e padri pare essere, piuttosto, la modalità mediante la quale esprimono il dolore per il distacco dai figli: le donne, infatti, sembrerebbero essere più inclini a comunicare liberamente le proprie emozioni relative all’argomento, a differenza degli uomini, che si mostrerebbero più neutrali e/o ambivalenti, probabilmente perché più restii o meno capaci di verbalizzare i personali vissuti emotivi (Oliver, 1977).

Quanto può durare?

Naturalmente, ciascun individuo è dissimile e stimare un tempo medio di durata non è del tutto possibile. Come si legge su Serenis, tuttavia, sembra opinione diffusa che il periodo necessario per superare la sindrome del nido vuoto sia di circa tre o quattro mesi. Ciononostante:

Non dimentichiamo però che, come tutte le sofferenze, anche la sindrome del nido vuoto mostra delle sfumature impercettibili che hanno il potere di renderla ancora più incisiva. Per molti genitori, ad esempio, è una risposta emotiva anticipatoria che crea dolore al solo pensiero e che può durare anni interi.

In generale, come in ogni caso di disagio psicologico, se il malessere perdura nel tempo e ostacola le normali attività quotidiane, indicendo sul nostro umore, le nostre relazioni sociali e il nostro benessere psicofisico, è opportuno rivolgersi alla psicoterapia e ricercare un sostegno che possa offrire le coordinate per superare i sintomi della sindrome.

I rimedi alla sindrome del nido vuoto

Dunque, che cosa si può fare per porre rimedio a questa situazione di disagio? Il primo passo è quello di prendere consapevolezza di quanto sta accadendo, dando un nome ben preciso a tutte le emozioni che si sperimentano. Per tale motivo, è fondamentale confrontarsi con qualcuno e sfogarsi – dal terapeuta, nei casi più gravi, agli amici -, al fine di abbassare i livelli di ansia e apprensione.

Se in coppia, un espediente utile per superare la situazione di disagio può essere quello di dedicarsi al nutrimento dell’amore che lega i genitori, riscoprendo la bellezza di essere solo “due” anziché “tre” (o più). Via libera, pertanto, ad attività peculiari, viaggi, cene, film e musica ad alto volume e incontri intimi e piacevoli, ossia a tutto ciò che possa rifocalizzare l’attenzione sugli individui che compongono la coppia e non sull’assenza che i figli che hanno lasciato casa recano con sé.

Un ultimo consiglio potrebbe essere, infine, quello di ripensare la propria routine, soprattutto nel caso in cui ci si sia dedicati per tutta la vita alla cura della prole. Anche in questo caso, sono ben accetti tutti quegli impegni con se stessi capaci di aumentare benessere, autostima e gioia interiore, dallo sport a un’alimentazione sana, da un nuovo hobby a una risistemazione degli ambienti.

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