La malinconia non è semplicemente quel sentimento che si prova talvolta e che è associato spesso alla nostalgia. In psicologia questo termine indica un atteggiamento complessivo di profonda tristezza che può sfociare nella più nera depressione. Apparentemente il contrario di malinconia è mania, ma, se teniamo fede alle descrizioni di Aristotele nei “Problemi”, il confine tra malinconia e mania appare essere davvero molto labile.

Malinconia, il significato

Malinconia
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Malinconia è un termine che deriva dal latino tardo melancholia, che a sua volta è un calco dal corrispondente greco, termine composto di melas, cioè nero, e cholé, cioè bile. Secondo le scienze antenate della psicologia, la bile nera era uno dei quattro umori (ossia liquidi corporei) che, fino al Medioevo, si credeva governassero l’animo umano nelle sue deformazioni. Gli albori della moderna psicologia, a partire da Sigmund Freud, ritengono la malinconia legata alla mania come sua conseguenza: la malinconia è lo stato di tristezza, di inattività e di tendenza all’inazione che segue invece un’azione.

Vivere senza malinconia

Cosa si fa quando ci si sente colpiti da una forma particolarmente dura di malinconia, tale da temere un’incipiente depressione o un atteggiamento che può devastare completamente la propria vita, rovinando i rapporti sociali per sempre? Il primo passo, come sempre in questi casi, è ammettere di avere un problema. Il secondo passo è rivolgersi a qualcuno che può aiutare. E questo qualcuno, in questi casi, è spesso uno psicologo o uno psicanalista: un po’ di analisi può invertire la rotta, ma bisogna prima chiedere un consulto per capire come agire. Lo psicologo comprenderà quale sia il percorso migliore.

La malinconia, secondo la psicanalisi, è una sorta di lutto, cioè di un sentimento legato a una perdita. Ma mentre nel lutto vero e proprio la perdita è reale, nella malinconia la perdita è legata a un’introspezione di tipo narcisistico. In pratica, con la malinconia l’Io si svuota e si scinde, mentre il Super Io attacca lo stesso Io perché non accetta la perdita, lo svuotamento. Per questa ragione, le persone che soffrono di malinconia possono soffermarsi spesso su autoaccuse, che nascono dal conflitto tra Io e Super Io appunto.

La malinconia nella cultura

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La malinconia, più che apparire il mood del poeta, secondo i cliché, è stata oggetto di introspezione e opere d’arte nel tempo. E se oggi siamo certi che Giacomo Leopardi fosse, in barba ai luoghi comuni, uno spirito combattente e tutt’altro che malinconico, lo stesso non si può dire per esempio dei preromantici, degli ossianici, oppure di Ippolito Pindemonte, che scrive in una poesia intitolata “Melanconia”:

Melanconia,
ninfa gentile,
la vita mia
consegno a te.

La malinconia è uno stato d’animo che nel postmodernismo, in letteratura e al cinema, ha spesso trovato un’identificazione nell’indifferenza e nell’alienazione, nel romanzo gotico così come in certe storie di Alberto Moravia o Michelangelo Antonioni. O in “Ovosodo” di Paolo Virzì, che fa dire al suo protagonista Piero Mansani:

Dice che la malinconia non è altro che una forte presenza nel cervello di un neurotrasmettitore che si chiama serotonina. E succede che si ciondola come foglie morte e un po’ ci si affeziona a questo strazio e non si vorrebbe guarire più.

A proposito di film, si intitola “Melancholia” la pellicola suggestiva e ricca di metafore che Lars von Trier girò qualche anno fa. È la storia di due sorelle – Justine che soffre chiaramente di malinconia e cerca di allontanarsi da qualunque rapporto umano, pur cercando aiuto per la sua mente, e Claire che la accoglie in casa proprio quando un pianeta, che si chiama significativamente Melancholia, ha iniziato il suo cammino per impattare contro la terra e distruggerla.

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