Le paure sono spesso irrazionali e non spiegabili, e l’emofobia, ossia quella del sangue, fra le tante fobie di cui possono soffrire gli esseri umani, è senza dubbio una delle più frequenti. Ma perché la vista del sangue fa così tanta paura a molte persone?

Emofobia: cosa significa?

La paura del sangue ha un nome ben preciso: emofobia, una parola di derivazione greca composta da aima=sangue, e phobos=paura. Si manifesta con un profondo senso di disagio alla vista del sangue, che per qualcuno può trasformarsi in vero e proprio terrore capace di compromettere in maniera importante anche la vita quotidiana.

Le cause dell’emofobia

Perché alcune persone inorridiscono alla vista del sangue? Come detto, molto spesso si tratta di un puro fattore irrazionale, che comporta nei soggetti che hanno questa fobia sensazioni di ansia, repulsione ma, talvolta, anche veri sintomi fisici, come pallore, nausea, mal di stomaco, sudorazione, capogiri, tremore e sensazione di astenia.

Una crisi emofobica grave può persino portare allo svenimento, dato che un riflesso vasovagale eccessivo può condurre a bradicardia e a un abbassamento della pressione arteriosa.

In generale, la scienza sembra essere concorde nel far risalire a ragioni psicologiche l’origine della fobia; in particolare, a scatenare l’emofobia possono essere:

  • eventi traumatici vissuti nel passato e collegati in maniera diretta o indiretta a sangue o aghi.
  • conseguenze di un attacco di panico che si è manifestato durante un prelievo o alla vista del sangue.
  • un’eccessiva ansia e protezione da parte dei genitori, che possono instillare le paure o perpetuare le proprie nei figli.
  • fattori caratteriali, come un’eccessiva emotività.

L’emofobia può indurre chi ne soffre a evitare oggetti taglienti e appuntiti, come coltelli e aghi, o situazioni in cui sanno che potrebbero vedere aghi. Un esempio classico è il prelievo di sangue effettuato per le analisi.

La paura del sangue compare generalmente in un’età già piuttosto avanzata, per quanto ancora infantile, ovvero tra gli 8 e i 15 anni; delle medie statistiche parlano di un’età compresa tra i 7 e gli 8 anni per le bambine e di 9 per i bambini e, come detto, può manifestarsi con emozioni di disgusto, ansia e attacchi di panico, accompagnandosi magari anche alla belonefobia, ovvero la paura degli aghi.

Sappiamo anche che esiste una differenza precisa tra fobia e paura: con la prima, infatti, intendiamo una sovrastima di un pericolo, rappresentato in questo caso dal sangue o da una puntura, mentre la paura è un’emozione adattiva che viene vissuta con enfasi minore e non interferisce in maniera significativa sulla qualità della vita dell’individuo.

Emofobia: come si cura?

Proprio perché spesso l’emofobia è in realtà più una paura, le persone riescono a convivere piuttosto bene con questa problematica, nella maggioranza dei casi; ma ci sono anche persone che manifestano una fobia vera e propria che richiede l’intervento di un professionista, in grado di aiutare ad affrontare le paure, comprendere i pensieri negativi che concorrono a formarla e aiutare a modificare questi schemi di pensiero.

Sicuramente, nel panorama scientifico attuale, la psicoterapia cognitivo-comportamentale è la strada più efficace per la cura delle fobie specifiche; in particolare, le tecniche da seguire sono:

  • l’esposizione graduata, in cui la persona affronta una lista di stimoli, reali o immaginari (sangue, ferite, aghi) dal meno difficoltoso al più difficoltoso;
  • desensibilizzazione sistematica, in cui, dopo aver affrontato uno stimolo fobico graduale, si invita la persona a mettere in pratica una tecnica di rilassamento per gestire il disagio, affrontando poi lo stimolo successivo;
  • implosione o flooding, in cui si invita la persona a a sperimentare, a livello immaginativo o reale, la situazione che più teme per il maggior tempo possibile, così da spingerla ad affrontare il disagio. In questo modo si raggiunge un picco d’ansia che poi si ridimensiona.

Donne, emofobia e ciclo mestruale

Potrebbe sembrare una domanda stupida, ma non lo è: una donna emofobica ha anche il terrore del proprio sangue mestruale?

C’è da dire che generalmente l’emofobia non coinvolge il sangue del ciclo mestruale, forse perché considerato “fermo” e non sgorgante da una ferita o da un trauma come nel caso di un taglio, o di una puntura;  c’è però una paura derivante da ragioni culturali che biologiche, visto che le mestruazioni sono state a lungo considerate – e in parte lo sono ancora – un tabù vergognoso.

Questo è il motivo più probabile per cui la vista di una macchia di sangue mestruale nei pantaloni induce una sensazione di disagio e terrore, ma si tratta della conseguenza più naturale di uno stigma culturale, più che di un effetto dell’emofobia.

In effetti, quasi tutte le persone che provano avversione per il sangue affermano che per quello che fuoriesce durante il ciclo provochi in loro una sensazione diversa, forse per via delle differenze nell’aspetto o nell’odore; in generale, poi, questo tipo di sangue non è associato a qualcosa di doloroso (anche se le mestruazioni possono essere dolorose, e molto!), come ad esempio può esserlo procurarsi una ferita profonda, cosa che, psicologicamente, può implicitamente essere legata anche ad altre fobie, come quella della morte o dei germi.

Il sangue mestruale, insomma, fa paura, ma solo perché è la società ad averci imposto di averne.

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