Il Covid non è solo una pandemia, ma una sindemia: la differenza è enorme

Da oltre un anno definiamo il Covid-19 una "pandemia", ma in realtà non è solo questo. Ecco perché capire che si tratta di una sindemia è fondamentale per comprendere cosa è successo e per cambiare approccio, prima che sia troppo tardi.

Era l’11 marzo 2020, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva annunciato il lockdown in tutto il Paese da poche ore, e ormai la notizia era ufficiale dopo la dichiarazione dell’OMS: il Covid-19 era a tutti gli effetti una “pandemia”, ovvero un’epidemia che coinvolge contemporaneamente più continenti.

Pagine e pagine sono state scritte su cosa questo significasse eppure, a distanza di un anno e oltre 3 milioni di decessi, dobbiamo ammettere che non fosse esattamente così, o meglio, non solo. Il Covid-19, infatti, non è solo una pandemia, è una sindemia. Capire cosa significa può essere determinante per sapere come combatterlo davvero.

Cosa significa sindemia?

Il dizionario Treccani definisce “sindemia”

L’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.

Il termine, che punto di vista etimologico deriva dal greco συν (insieme) e δήμος (popolo), con sottinteso “νόσημα” (patologia), è stato coniato negli anni ’90 dall’antropologo americano Merril Singer per descrivere la interrelazione tra AIDS e tubercolosi:

Le sindemie sono la concentrazione e l’interazione deleteria di due o più malattie o altre condizioni di salute in una popolazione, soprattutto come conseguenza dell’ineguaglianza sociale e dell’esercizio ingiusto del potere.

Le sindemie si sviluppano in condizioni di disparità di salute causate da povertà, stress o violenza strutturale, per questo sono studiate da epidemiologi e antropologi medici interessati alla salute pubblica, alla salute della comunità e agli effetti delle condizioni sociali sulla salute.

L’approccio sindemico, infatti, si discosta dall’approccio biomedico alle malattie – che tratta diagnosticamente le malattie come entità distinte separate dalle altre malattie e indipendenti dai contesti sociali – esaminando le conseguenze sulla salute delle interazioni tra le patologie e i fattori sociali, ambientali o economici.

Perché quella del Covid-19 è una sindemia

Il primo a parlare di Covid-19 come sindemia è stato Richard Horton su The Lancet, in un articolo del 26 settembre 2020 che ha avuto molta poca eco sui media generalisti

Mentre il mondo si avvicina a 1 milione di morti per COVID-19, dobbiamo affrontare il fatto che stiamo adottando un approccio troppo ristretto per gestire questo focolaio di un nuovo coronavirus […] Due categorie di malattie interagiscono all’interno di popolazioni specifiche: l’infezione con la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) e una serie di malattie non trasmissibili (NCD). Queste condizioni si raggruppano all’interno dei gruppi sociali secondo modelli di disuguaglianza profondamente radicati nelle nostre società. L’aggregazione di queste malattie su uno sfondo di disparità sociale ed economica esacerba gli effetti negativi di ogni singola malattia. COVID-19 non è una pandemia. È una sindemia.

Quante volte abbiamo sentito la frase che i morti di Covid avevano «patologie pregresse»?
Quali siano queste «malattie non trasmissibili» lo spiega Gavino Maciocco dell’Ordine dei Medici, Chirurgi e Odontoiatri di Brescia

Oggi parliamo di “sindemia” perché ci troviamo di fronte all’interazione della pandemia infettiva, Covid-19, con un’altra pandemia altrettanto grave e distruttiva, anche se meno visibile e acuta, rappresentata dalla diffusione delle malattie croniche – dalle malattie cardiovascolari, ai tumori, passando per l’obesità e il diabete – che negli ultimi decenni (a partire dagli anni 80 del secolo scorso) ha registrato una formidabile accelerazione in tutte le parti del mondo.

Le conseguenze sociali della sindemia

Ce lo siamo sentiti dire continuamente nell’ultimo anno: «di fronte al Covid siamo tutti uguali», «siamo tutti nella stessa barca». Ma è davvero così?

L’approccio sindemico ci aiuta a smentire questa bugia e la sua ipocrisia, come è evidente dalle parole di Maciocco.

Gli effetti distruttivi della “sindemia” – dell’interazione tra le due pandemie –  li abbiamo cominciati a conoscere fin dall’inizio della Covid-19 quando le statistiche ci dicevano che la mortalità si concentrava nei gruppi di popolazione affetti da malattie croniche. Le statistiche americane registravano significative differenze nella mortalità tra gli afroamericani e i bianchi, circa il doppio, perché i primi erano maggiormente colpiti da malattie croniche (e poi perché erano più esposti al contagio: facevano lavori più rischiosi, vivevano in abitazioni più affollate, etc). Si è scoperto allora che le due pandemie interagiscono entrambe su un substrato sociale di povertà e producono una terribile dilatazione delle diseguaglianze.  Quando avremo anche noi la possibilità di studiare la distribuzione della mortalità da Covid-19 tra le varie classi sociali, scopriremo che anche in Italia – come in USA e anche in UK – le diseguaglianze nella salute si sono enormemente dilatate.

La sindemia non ha creato queste disuguaglianze, già endemiche in una società in cui «le persone più povere di risorse e competenze si ammalano più spesso, hanno maggiori limitazioni funzionali e muoiono prima di quelle più ricche», ma le ha fortemente acuite.

Le ragioni possono essere molteplici, tra cui, dice Giuseppe Costa, Professore Ordinario di Igiene all’Università di Torino

la differente esposizione, vulnerabilità e conseguenze al contagio e all’esperienza di malattia, il differente accesso al sistema sanitario, i differenti contraccolpi che le misure di contenimento possono avere sul lavoro, sul reddito, sull’istruzione e sui fattori di rischio comportamentali e relazionali della popolazione, così come, indirettamente, le ricadute della sospensione di molti percorsi di cura e assistenziali orientati a rispondere alle esigenze di salute della popolazione e soprattutto delle sue fasce più fragili.

Per quanto riguarda i meccanismi sanitari, dice ancora Costa, la pandemia potrebbe essere socialmente disuguale per la frequenza:

  • con cui ci si infetta col virus SarsCov2;
  • con cui ci si ammala e aggrava di COVID-19 e quindi si viene ricoverati;
  • con cui si muore per COVID-19;
  • con cui si incontrano ostacoli alle cure per COVID-19;
  • con cui si incontrano ostacoli alle cure per altre patologie differenti da COVID-19.

Perché è importante avere un approccio sindemico alla pandemia di Covid-19

Sappiamo ormai che a pagare le conseguenze peggiori della Sars-Cov-2 sono state le categorie più fragili e marginalizzate; pensare al Covid-19 in termini di sindemia e non di pandemia ci permette non solo di cogliere più a fondo in che misura questo sia avvenuto, ma anche di ripensare l’approccio adottato finora, che ristabilisca il primato della salute pubblica e non si limiti a considerare l’epidemia in termini esclusivamente biomedici.

Una sindemia necessita un approccio sindemico supportato da un’applicazione adeguata del principio del primato della salute pubblica. Solo un approccio sindemico è in grado di sviluppare strategie di prevenzione multilivello efficaci che affrontino simultaneamente sia le malattie (endemiche) e i loro determinanti, sia i fattori specifici di COVID-19 e i suoi esiti permettendo l’identificazione delle vulnerabilità e delle disparità sanitarie nel tempo.

È un cambiamento di prospettiva radicale ma, secondo The Lancet, inevitabile:

non importa quanto sia efficace un trattamento o protettivo un vaccino, la ricerca di una soluzione puramente biomedica per COVID-19 fallirà. A meno che i governi non escogitino politiche e programmi per invertire profonde disparità, le nostre società non saranno mai veramente sicure del COVID-19. […]
Avvicinarsi a COVID-19 come una sindemia inviterà a una visione più ampia, che comprenda istruzione, occupazione, alloggio, cibo e ambiente. Considerare COVID-19 solo come una pandemia esclude un prospetto più ampio, ma necessario.

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