Cantata da Ippolito Pindemonte, trattata in opere di diverso genere, la melanconia è la più umana delle condizioni o dei mood. Si tratta di una sorta di depressione, che può essere temporanea o più prolungata, ed è conosciuta fin dai tempi della medicina greca – solo che ovviamente la conoscenza che abbiamo oggi di essa si è evoluta, grazie anche all’apporto della psicanalisi. Ma di cosa si tratta nel dettaglio? E che differenza c’è con la malinconia?

Melanconia, il significato

Melanconia
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Le Treccani indica che la malinconia è uno

Stato psichico caratterizzato da un’alterazione patologica del tono dell’umore, con un’immotivata tristezza, talora accompagnata da ansia, e con inibizione di tutta la vita intellettuale.

Dopo di che, nell’enciclopedia è contenuto un excursus interessante sull’argomento. La melanconia viene menzionata per la prima volta nel Corpus Hippocraticum – una raccolta di opere varie, soprattutto di medicina, come suggerisce il nome – all’interno della dottrina degli umori. Secondo questa, l’essere umano sarebbe guidato da quattro umori – nel senso di liquidi – contenuti nel suo corpo. Uno di questi quattro era la bile nera, che provocava appunto la melanconia.

Più tardi, Areteo di Cappadocia le associa tristezza, scoramento e tendenza al suicidio, ammettendo che avesse punti di contatto con la mania. Pian piano, molti medici greci iniziano a individuare più precisamente di cosa si tratti: non è un disturbo psichico febbrile (Sorano di Efeso) e può influire peggiorando lo stato del resto del corpo (Galeno). Nel Medioevo però c’è uno stop a questo tipo di studi e il tutto viene ridotto all’accidia, uno dei sette peccati capitali, ignorando che il processo non è affatto volontario. Solo nel XIX secolo si inizierà a capire che si è di fronte a una patologia maniaco-depressiva, fino a giungere a quello che diceva Sigmund Freud e che sosteniamo ancora oggi.

Melanconia e malinconia: le differenze

Non esiste per la verità nessuna differenza tra melanconia e malinconia. Si tratta in entrambi i casi di due termini di derivazione greca: nel primo caso siamo di fronte all’esito colto del termine, nel secondo caso nell’esito popolare. Stando alla Treccani, melanconia è il termine che di solito viene utilizzato di preferenza in medicina e psichiatria, ma il concetto è lo stesso. Quindi non è vero che la prima parola indica una patologia clinica, una condizione, mentre la seconda parola indica uno stato d’animo, un sentimento, qualcosa di passeggero. L’identità tra melanconia e malinconia è ben presente in una citazione poetica del film Ovosodo:

Dice che la malinconia non è altro che una forte presenza nel cervello di un neurotrasmettitore che si chiama serotonina. E succede che si ciondola come foglie morte e un po’ ci si affeziona a questo strazio e non si vorrebbe guarire più.

Lutto e melanconia in Freud

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Psicologi Italia riporta le parole di Freud, mostrando come secondo il padre della psicanalisi moderna, la melanconia sia connessa al concetto di lutto, ossia di perdita:

L’affetto corrispondente alla melanconia è quello del lutto, cioè il rimpianto di qualcosa di perduto. Così nella melanconia dovrebbe trattarsi di una perdita e precisamente di una perdita della vita pulsionale.

La vita pulsionale è quella che nasce all’interno di noi stessi, quindi non proviene da uno stimolo esterno. Il lutto e la melanconia presentano tuttavia affinità e differenze. Le affinità consistono nel fatto che ci si sente abbattuti e si prova dolore senza la capacità (o l’interesse) a fare qualcosa per cambiare la situazione. Le differenze invece hanno a che fare con il fatto che il lutto è oggettivo: la perdita capita, mentre la melanconia dipende da una scelta di tipo narcisistico. È una perdita inconsapevole quest’ultima, che può evolversi fino a giungere addirittura a fenomeni autolesionistici. Va da sé che è bene rivolgersi a uno psicanalista e non sottovalutare la questione.

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