La spermorrea era l'equivalente maschile dell'isteria con annessa cura scioccante

La spermorrea era considerata, nell'Ottocento, l'equivalente maschile della tanto discussa "isteria" femminile. Ecco in cosa consisteva e qual era la (terrificante) cura

La cosiddetta “spermorrea” era un tempo l’equivalente maschile dell'”isteria” e la sua cura era assolutamente scioccante.

Se tutti sono a conoscenza dei soliti pregiudizi che ruotano da anni intorno alla figura femminile, tra cui la famosa “isteria”- ovvero quella varietà di sintomi fisici e psicologici che una persona con una vagina potrebbe lamentare nel corso della vita – meno conosciuti sono quelli che riguardano il genere maschile. All'”isteria” femminile, infatti, corrispondeva l’equivalente maschile della “spermorrea”.

Ma quando sono nati questi due termini ormai antiquati e in disuso? Entrambi nell’800. All’epoca, infatti, si credeva che le donne che manifestavano sintomi tra cui dolore addominale, frequenza cardiaca elevata, emozioni “eccessive”, aumento o diminuzione del desiderio sessuale e dell’appetito soffrissero di un disturbo mentale. Appunto, l’isteria.

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Allo stesso modo, gli uomini che presentavano forme simili di “malessere psicologico” soffrivano in tutta evidenza di spermorrea. La condizione è stata definita come “scarico eccessivo e involontario di sperma”, responsabile di ansia, irritabilità, mancanza di fiducia e qualsiasi altro comportamento ritenuto non maschile.

Mentre la stimolazione degli organi sessuali era considerata la cura per l’isteria nelle donne, la masturbazione era considerata la causa dei sintomi della spermatorrea. Si pensava che l’atto di auto-erotismo maschile e la conseguente eiaculazione dimostrassero una mancanza di autocontrollo e, quindi, di mascolinità.

Questa credenza ha portato alla convinzione vittoriana che la masturbazione fosse responsabile di vari disturbi fisici e psicologici. Il trattamento era l’esatto opposto di quanto suggerito per le donne. Per gli uomini, la cura era l’astinenza dalla masturbazione e una regolare attività fisica.

Qualora i “pazienti” non fossero riusciti a evitare da soli l’atto di auto-erotismo, allora entravano in gioco i medici. Gli interventi medici anti-masturbazione erano a dir poco torture. Si praticavano, per esempio, l’agopuntura dei testicoli e della prostata, la dilatazione forzata dell’ano e la cauterizzazione dell’uretra. Tutti provvedimenti che causavano estrema sofferenza fisica e danni non permanenti al corpo.

Non mancavano, inoltre, terrificanti dispositivi anti-masturbazione. Lo Stephenson Spermatic Truss, messo a punto nel 1876, consisteva essenzialmente in un sospensorio con un rivestimento metallico appuntito che impediva del tutto il contatto della mano con il pene. C’era poi lo Jugum Penis, che aveva denti d’acciaio appuntiti che si attaccavano alla base del pene. In questo modo l’erezione avrebbe provocato dolori lancinanti.

Queste misure a dir poco orripilanti ebbero terribili conseguenze sulla psiche dei giovani dell’epoca. Un tale di nome George Drysdale, ad esempio, sviluppò un così intenso senso di vergogna e paura di “impazzire” a causa della sua abitudine alla masturbazione che un giorno decise di sottoporsi a molteplici cauterizzazioni del pene per diminuire la sensibilità in loco (le procedure non hanno funzionato).

Dopo aver capito di non poter “guarire” dalla spermatorrea, Drysdale pubblicò il libro Physical, Sexual, and Natural Religion (1855) che sosteneva la contraccezione e la liberazione sessuale.

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