Malattia rarissima, che colpisce un nuovo nato su un milione, e quindi praticamente sconosciuta, l’ittiosi arlecchino è stata in questi giorni portata alla ribalta dopo che il caso del piccolo Giovannino è rimbalzato sulle cronache dei più importanti media nazionali.

Il piccolo, nato ad agosto con questa grave malattia della pelle e abbandonato dai genitori proprio a causa della patologia, sta lottando per sopravvivere nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale Sant’Anna di Torino, che è diventata la sua casa.

Per lui si è già scatenata una vera e propria marea di telefonate, tutte per richiederne l’adozione, mentre intanto a prendersi cura del neonato per ora sono le infermiere dell’ospedale torinese. “È stata un’esplosione di telefonate –  ha raccontato alla sezione torinese di  Repubblica il direttore del reparto di terapia intensiva neonatale del Sant’Anna, Daniele Farina – Lui è pronto per andare a casa anche subito se si trova una famiglia, ma tutte le richieste devono passare dall’ufficio Casa dell’Affido del Comune di Torino. Gli italiani sono un popolo di grande cuore. Io ho grande rispetto per chi deciderà di prendersene cura perché questo comporta un grosso impegno“.

Fra i tanti che si sono offerti di adottare Giovannino anche l’associazione Cottolengo – Piccola casa della Divina Provvidenza, che attraverso il padre generale, don Carmine Arice, ha scritto una lettera in cui si rivolge direttamente al piccolo Giovannino, in cui scrive:

Caro Giovannino, quando questa mattina abbiamo letto la tua storia, così breve ma già così importante, ci è venuto subito nel cuore il desiderio di accoglierti tra noi.

Sulla decisione dei genitori di non occuparsi del bimbo, affidato a un tutore legale, invece, Farina ha commentato così: “Una decisione che non possiamo giudicare in nessun modo. È un bimbo sveglio che sorride e ama essere portato a spasso per il reparto. È contento quando qualcuno gli fa ascoltare la musica“.

Giovannino, come detto, lotta costantemente per sopravvivere, perché la sua patologia, a dispetto del nome che evoca una coloratissima maschera di Carnevale, è una malattia che offre davvero un’aspettativa di vita molto bassa. Ma di cosa parliamo nello specifico?

Cos’è l’ittiosi arlecchino

ittiosi arlecchino
Fonte: web

l’ittiosi arlecchino è una malattia genetica estremamente rara, che interessa circa un individuo su un milione, e causa un ispessimento e un irrigidimento innaturali della cute, la quale, perdendo la naturale elasticità, forma una vera e propria corazza.

Conosciuta anche come feto Arlecchino, ittiosi diffusa o cheratosi fetale diffusa, è certamente la più grave forma di ittiosi.

L’ittiosi interessa tutto il corpo delle persone colpite, anche zone solitamente difficili da immaginare; occhi, orecchie, labbra, non sono risparmiate dalla malattia, anzi essa può arrecare malformazioni anche molto gravi, come ad esempio quando le palpebre (ectropion) e le labbra (eclabion) si presentano rovesciate all’esterno, proprio a causa della rigidità e dell’ispessimento della cute. Il problema più importante causato dalla patologia è tuttavia la difficoltà di respirazione, causata anch’essa dalla non elasticità della cute.

Il perché del nome dipende dalle classiche grosse placche di forma quadrangolare che si formano alla nascita, nel passaggio dall’ambiente uterino a quello esterno. Le infezioni batteriche che si possono sviluppare a seguito dello spaccamento e fessurazione della pelle rappresentano un importante fattore di rischio, essendo una potenziale via di infezione, e proprio questi due aspetti – difficoltà respiratorie ed esposizioni a possibili infezioni – spesso contribuiscono a ridurre al minimo l’aspettativa di vita dei neonati, che nascono di frequente prematuri; possono infatti vivere poche ore o pochi giorni se le varie emergenze non sono affrontate tempestivamente e nella maniera corretta, anche se la diagnosi tempestiva, e la conseguente adozione di tutti gli interventi terapeutici necessari, rendono oggi più alta la percentuale di sopravvivenza oltre la fase acuta, post-natale, portando a un’evoluzione verso patologie simili a ittiosi lamellari gravi.

Le cause dell’ittiosi arlecchino

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Fonte: web

L’ittiosi arlecchino, lo dicevamo, è una patologia a carattere genetico, che si trasmette in modo autosomico recessivo. Compare sempre fin dalla nascita, mai dopo, e la causa genetica riguarda un’alterazione del gene ABCA 12 del cromosoma 2 (gene coinvolto anche nella ittiosi lamellare).

L’Università giapponese di Hokkaido ha riscontrato che le mutazioni genetiche del gene ABCA 12 si rapportano alla perdita di una porzione della proteina codificata: la ricerca, studiando il gene coinvolto nelle manifestazioni ittiosiche, ha capito che la proteina che mutava, del medesimo gene, era già stata identificata in diversi casi di ittiosi arlecchino, giungendo alla conclusione che fosse proprio quello il gene da cui dipendeva la malattia.

Aver compreso quale sia il gene scatenante della patologia ha reso possibile, ad esempio, effettuare la diagnosi precoce nel feto, condotta sul DNA fetale, tipicamente nel secondo trimestre di gravidanza, qualora si sappia che il bambino può essere a rischio.

La cura dell’ittiosi arlecchino

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Fonte: web

La scienza negli ultimi hanno ha deciso di puntare in maniera decisa su progetti di ricerca sempre più accurati, per aumentare le possibilità di sopravvivenza dei neonati affetti da ittiosi arlecchino, visto che, come abbiamo accennato, l’aspettativa di vita si aggira, purtroppo, ad appena pochi giorni. Con qualche eccezione importante, però, come Nusrit Shaheen, Nelly per gli amici, affetta da questa sindrome dalla nascita e che oggi ha ben 35 anni ed è, a tutti gli effetti, la più longeva persona affetta da ittiosi arlecchino.

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Nelly, la persona più longeva con ittiosi arlecchino (Fonte: web)

Nel periodo neonatale, il trattamento della patologia richiede un approccio multidisciplinare, in cui intervengano oftalmologi, chirurghi, dietologi e psicologi, questi ultimi per fornire un supporto alla famiglia; potrebbe inoltre rendersi necessaria la gastrostomia. Nella fase più acuta sono somministrati sistematicamente retinoidi, che consentono, pur senza debellare la patologia, di averne una sintomatologia più blanda, dato che, in questi casi, l’ittiosi arlecchino assume infatti più la sintomatologia tipica dell’ittiosi lamellare grave, che comprende arrossamenti e desquamazioni della pelle, senza le vesciche. È però estremamente importante limitare le procedure invasive, al fine di evitare le infezioni cutanee.

La speranza è che la scienza medica faccia progressi sempre più importanti in questo senso, per garantire a tutti i bambini affetti da ittiosi un futuro come quello di Nelly.

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