"E se mio figlio fosse disabile per la superficialità dei medici durante il parto?"

"E se fosse stata la faciloneria del medico ad aver causato l’autismo? E se avessimo potuto fare qualcosa? E se - che cosa mostruosa - il mio piccolo non ce l’avesse fatta a sopravvivere? C’è chi ricorda l’esperienza del parto come piacevole o quanto meno sicura, ovattata. Poi ci sono io che mi chiedo se gli errori di quella notte hanno predeterminato un’esistenza, quella di Francesco?"

Quest’estate, mentre leggevo una notizia di cronaca che riguardava un caso di malasanità in un ospedale locale, mi è caduto l’occhio su uno dei commenti social. Una donna accusava la struttura in cui si era rivolta, per il parto tardivo subito, per il cesareo d’urgenza che non aveva ricevuto tempestivamente e, sì, per la diagnosi di autismo di suo figlio.

L’autismo è una cosa misteriosa. I medici sono al lavoro e i genitori provano a comprendere. Ma nessuno può riuscire a capire, almeno al momento. Forse, in un futuro, tutti i dati genetici che stanno raccogliendo – compresi i nostri, il mio, quelli di mio marito e di nostro figlio – ci daranno una risposta. Ma intanto ognuno di noi cerca di scandagliare le cause come si può.

Non si può dare ragione a questa donna, ma non si può darle neanche torto a priori: tra gli esami richiesti a Francesco per la diagnosi di autismo c’è una risonanza al cervello. Non l’abbiamo fatta (ancora): sia la neuropsichiatra che l’ha chiesta, sia il pediatra sono concordi nel dire che è troppo piccolo per farla. Quella risonanza però serve a stabilire se in effetti quello che è successo durante il parto può aver provocato la condizione del bambino.

Ma cos’è successo durante il parto? Io continuo a raccontarlo spesso quando mi capita, perché penso che la mia esperienza possa aiutare un’altra donna in analoghe condizioni. Sono arrivata in ospedale una domenica nel tardo pomeriggio, con le contrazioni a cinque minuti l’una dall’altra. Sapevo cosa stava per succedere, ero contenta. Nell’autoradio ho messo una canzone di Florence + the Machine, che a un certo punto dice

È sempre più buio prima dell’alba.

In ospedale sono stata visitata, mi è stata fatta un’ecografia, un tracciato e sono stata mandata in stanza.

C’era un ginecologo quel giorno che non avevo mai visto – e sì che in quei mesi avevo sostenuto visite capillari in ospedale, un ricovero per minaccia d’aborto e una serie di incontri al corso pre-parto. Il medico è sparito poco dopo. Anche tra le due e le tre di notte, quando i dolori hanno iniziato a essere insostenibili (a fronte di una mia soglia del dolore altissima, anni prima mi sono fatta metà operazione in chirurgia plastica senza anestesia), ho avuto una forte emorragia e sono stata spedita in sala travaglio.

Mio marito a un certo punto l’ha trovato il ginecologo che, senza farmi un’ulteriore ecografia, è stato irremovibile: tanto sua moglie per oggi non partorisce.

In sala travaglio ci ho passato tutta la notte. Guardavo le luci cambiare fuori dalla finestra. Ho visto perfino il cambio della guardia delle ostetriche. Il medico non è mai venuto a vedere come stessi. Ogni tanto mia madre si dava il cambio in sala travaglio con mio marito. E io continuavo a guardare fuori dalla finestra, chiedendo che ora fosse, perché il mio iPhone l’avevo lasciato in camera. E continuavo a pensare a quella canzone di Florence + the Machine.

Alle 8,30 del mattino, un lunedì, su mia richiesta, l’ostetrica di turno è andata a controllare se la ginecologa fosse arrivata al lavoro. Lei, meravigliosa, è arrivata come un turbine, sgridando tutti: il battito del bambino era calato per due volte e nessuno se n’era accorto. Non mi ero dilatata a sufficienza, le acque non si erano rotte. Ha predisposto un cesareo d’urgenza.

In sala operatoria, Francesco è venuto fuori in due minuti. Due minuti, il tempo di farlo venire fuori dal mio corpo; due minuti, il tempo che il primario ci ha messo per rianimarlo (cosa che però ho scoperto solo alle dimissioni dall’ospedale). Quando l’ho sentito piangere non mi è sembrato vero. Lui mi è stato presentato avvolto in una coperta marrone: sembrava Maestro Yoda. Ancora oggi, quando penso a quelle ore in ospedale provo tanta rabbia.

E se fosse stata la faciloneria del medico ad aver causato l’autismo? E se avessimo potuto fare qualcosa? E se – che cosa mostruosa – il mio piccolo non ce l’avesse fatta a sopravvivere? C’è chi ricorda l’esperienza del parto come piacevole o quanto meno sicura, ovattata. Poi ci sono io che mi chiedo se gli errori di quella notte hanno predeterminato un’esistenza, quella di Francesco?

Per il momento andiamo per la nostra strada, lui continua a seguire le terapie. E qualche volta la canzone di Florence Welch la ascoltiamo insieme.

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