Anna Marchesini, la grande attrice scomparsa il 30 luglio 2016 a 63 anni, è stata forse la prima a parlare seriamente, per la prima volta, dell’artrite reumatoide, la stessa malattia tremenda con cui ha lottato per dieci anni e a cui, alla fine, si è dovuta arrendere

Lo ha fatto senza pudori né imbarazzi, ma neppure senza vittimismo, mostrando coraggiosamente gli effetti disastrosi che il male stava avendo sul suo corpo, come quando, nel novembre 2014, andò ospite nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio.

L’attrice famosa per aver fatto parte del Trio, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, è stata una delle poche, lo dicevamo, a parlare apertamente di una patologia sulla quale, in realtà, esiste ancora molta ignoranza.

Eppure, l’artrite reumatoide non è affatto un male raro, colpisce infatti più di 400 mila persone, 1 ogni 250 abitanti, con un’incidenza di 2-4 nuovi casi per anno su 10mila individui, come riferisce la Fondazione Veronesi.

I dati parlano di 10 mila bambini che si ammalano, ogni anno, di qualche patologia reumatica, numeri che dovrebbero accendere un serio campanello d’allarme sul problema e che, invece, vengono ancora troppo spesso sottovalutati. Con la conseguenza, inevitabile, che l’evolversi della malattia può avere frequentemente epiloghi decisamente gravi, soprattutto se si considera che, per molte di loro, attualmente non è stata ancora trovata una terapia ad hoc.

I numeri dell’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune: significa che a scatenarla è una reazione esagerata del sistema immunitario, che attacca le cellule sane credendole nemiche. Le conseguenze più dirette sono un danno alle articolazioni e un’infiammazione che, se non curata, può compromettere gravemente la vita di chi ne soffre. Uno dei principali problemi dell’artrite reumatoide è che, in quasi 6 casi su 10, i sintomi possono essere confusi con i tradizionali dolori reumatici, ma, se non si interviene tempestivamente, nel 50% dei casi si arriva all’invalidità permanente in 10 anni.

È la popolazione di sesso femminile a essere maggiormente colpita dalla malattia, con un rapporto di 4:1; la patologia in genere si manifesta tra i 35 e i 50 anni di età  – solo il 5% delle donne oltre i 55 anni – mentre in generale la popolazione adulta colpita è pari allo 0,5% , equivalente a circa 250- 300 mila pazienti dall’età media di 55 anni.

Ogni anno un bambino su 1000 è affetto da una malattia reumatica: le più frequenti sono l’artrite idiopatica giovanile, il lupus eritematoso sistemico, la dermatomiosite, la spondiloartropatia, la malattia di Kawasaki, la vasculite sistemica primaria giovanile e la poliarterite nodosa. Come spesso accade fondamentale per queste patologie è la diagnosi precoce, poiché a giovarne non è solo la cura della patologia, ma soprattutto per la gestione delle sue complicanze, per questo motivo si richiederebbe una preparazione approfondita del pediatra, proprio perché la difficoltà a diagnosticare queste patologie in fase iniziale, porta spesso ad una diagnosi tardiva e a volte vana. È altresì vero che, mentre per le patologie più comuni esistono cure riconosciute e adeguate, per altre, come la sclerodermia, non esiste ancora una terapia ad hoc.

I sintomi dell’artrite reumatoide e le cure

 

Si può parlare della malattia come di una poliartrite, ossia un’infiammazione cronica e progressiva che interessa soprattutto le articolazioni delle mani, dei polsi, dei piedi, delle ginocchia e delle caviglie. I sintomi principali sono dolore, rigonfiamenti e la rigidità articolare che limita, e nei casi più gravi impedisce, il movimento e la corretta funzione delle articolazioni.

L’infiammazione segue il ritmo circadiano, ovvero basato sulle 24 ore del giorno, per questo motivo porta a picchi di dolore nelle ore del primo mattino, per via dell’azione delle citochine, molecole prodotte dall’organismo che raggiungono il loro livello massimo di mattina, stimolando alcuni processi infiammatori che infliggono dolore nei pazienti appunto nelle prime ore del giorno. Per avere una diagnosi generalmente si effettua una radiografia/ecografia delle articolazioni interessate, ma anche una volta diagnosticata, la malattia non ha una vera e propria cura, solo la possibilità di tenere sotto controllo il dolore e i sintomi attraverso l’assunzione di farmaci che li riducano.

Nell’artrite reumatoide una diagnosi precoce si rivela di estrema importanza, al fine di applicare subito un trattamento e una terapia adeguate; ma, come spiega Gianfranco Ferraccioli, ordinario di Reumatologia della Fondazione Policlinico Gemelli-Università Cattolica, “dopo 12 mesi dai primi sintomi il rischio di mortalità di questi pazienti è tre volte superiore a quello della popolazione normale“, e se si interviene in tempo, ovvero entro le 12 settimane dalla manifestazione della malattia, è possibile “portare il 50% dei pazienti in remissione e il 25% addirittura a sospendere i farmaci dopo 12 mesi, come se fossero guariti“.

L’artrite reumatoide presenta quattro varianti: la Sindrome di Caplan, che interessa anche i polmoni con formazione di noduli; la Sindrome di Felty, che aggiunge ai sintomi tipici dell’artrite reumatoide l’ingrossamento della milza e la riduzione dei globuli bianchi. Il morbo di Still dell’adulto, con rash cutaneo maculare, febbre elevata e poliartrite non erosiva. Infine, c’è l’artrite reumatoide maligna, che provoca l’infiammazione dei vasi sanguigni , importanti erosioni ossee ed è ovviamente considerata la forma più grave.

Pur non essendo rara ed essendo particolarmente grave, abbiamo accennato al fatto che sull’artrite reumatoide esista tuttora non solo una sorta di “ignoranza”, ma anche una tendenza a sottovalutare, a “dimenticare” il problema da parte della sanità nazionale. Perché accade tutto ciò?

Quando la sanità dimentica l’artrite reumatoide

Spesso la mancanza di strutture adeguate dilatano eccessivamente i tempi per la visita, tanto che, si legge sempre nel rapporto Apmarr, 7 persone su 10 affette da patologie reumatologiche sono costrette a subire lunghe liste d’attesa, e il 57% delle persone lamenta l’insufficienza nel numero di centri di reumatologia presenti sul territorio. Quasi 4 persone su 10 faticano a trovare uno specialista reumatologo per le cure. Eppure, nella nuova riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale, non solo  le strutture reumatologiche non sono state potenziate, ma in moltissimi casi sono state addirittura soppresse o depotenziate; è una denuncia fatta al sito dal professor Vincenzo Bruzzese, Past President della Società Italiana di Gastro Reumatologa.

Il tutto si è, ovviamente, tradotto nella disponibilità di minori strutture reumatologiche ospedaliere o universitarie, e nella carenza di un’adeguata rete reumatologica territoriale. “Il risultato di questa miope strategia riorganizzativa – dice Bruzzese – si tramuterà in ulteriori sofferenze per i malati, e un ulteriore incremento di spesa per il Sistema Sanitario. Basti pensare che l’insieme dei pazienti reumatologici costa 20 miliardi di euro l’anno, 3,4 miliardi solo per quelli colpiti da artrite reumatoide, con 22 milioni di giornate di lavoro perse. Eppure vediamo continuamente scomparire strutture, diminuire il numero di medici a disposizione e depotenziare centri da Unità Operative Complesse a Unità Semplici, come nel caso del CTO di Roma, struttura pioniera nella presa in carico dei pazienti reumatologici. Un sistema che funzioni non può essere demandato alla buona volontà dei singoli“.

Anche perché i numeri, lo abbiamo visto, parlano drammaticamente chiaro: oltre il 50% delle persone, nel corso della vita, può potenzialmente soffrire di una malattia reumatica, cronica o acuta che sia, con la possibilità di incappare in invalidità, anche pesanti, o disabilità.

Anche il professor Bruno Laganà, presidente SIGR (la società italiana di gastro-reumatologia), sottolinea l’inadeguatezza dell’organizzazione reumatologica sanitaria, attualmente ancora incapace di rispondere alle esigenze dei pazienti affetti da queste patologie.

Le criticità maggiori si identificano soprattutto in un ritardo diagnostico, con una conseguente terapia tardiva. Eppure numerosi studi hanno mostrato che la diagnosi entro 3-6 mesi dall’esordio dei sintomi è direttamente correlata a un minore danno articolare, erosione ossea e a un minor rischio di disabilità: il 10% dei pazienti sviluppa entro due anni un’invalidità permanente, così come il 50% dei pazienti reumatici cronici non adeguatamente e tempestivamente trattati. Allo stato manca un coordinamento tra le varie figure sanitarie, l’assistenza è spesso occasionale e priva di un progetto integrato“.

Se il SSN non si decide a investire fondi, tempo e strutture per migliorare la ricerca e la tempestività nelle diagnosi, di artrite reumatoide si può ancora continuare a morire. Come è successo ad Anna Marchesini.

“Sono così obesa di vita che mi interessa pure la morte”

Anna Marchesini affrontò la sua malattia con lo spirito ironico e intelligente che ha contraddistinto la sua intera carriera, iniziata con il Trio nel 1982 e proseguita fra teatro, televisione, doppiaggio e cinema (con qualche intermezzo da scrittrice) fino agli ultimi anni della sua vita, quando, provata dalla malattia, fu costretta nel maggio 2016 a interrompere lo spettacolo teatrale che stava portando in scena in tutto il paese. Anna iniziò a soffrire di artrite reumatoide nel 2006, e anche in quell’occasione, a seguito di un violento attacco, fu costretta a sospendere tutte le date rimaste dello spettacolo Le due zitelle.

Anna parlò senza tabù della sua malattia nel 2013, quando era ospite della trasmissione di Fabio Fazio, Che tempo che fa per parlare del suo libro, Moscerine, uscito proprio in quell’anno edito da Rizzoli; in quell’occasione, con la comicità sottile per cui il pubblico la amava, disse:

Io vi garantisco che sono così interessata, appiccicata, morbosamente ghiotta e obesa di vita, sono così interessata che mi interessa pure la morte, che di essa è il finale.

Moscerine

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Nove racconti umoristici nel libro-eredità di Anna Marchesini, la grande comica scomparsa nel 2016.
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Un modo davvero geniale e deliziosamente sfrontato di guardare a viso aperto un destino che, solo due anni dopo dall’ultima apparizione tv, un anno più tardi sempre nel salotto di Fazio, non le avrebbe lasciato scampo. Scavata, magra, con evidenti difficoltà a parlare e a muoversi, Anna non ha voluto rinunciare, fino a quando le è stato concesso, a quello che per trent’anni era stato non solo il suo lavoro, ma il suo intero mondo.

Anna, essendo un personaggio famoso, è riuscita ad attirare l’attenzione su una malattia poco conosciuta, ma certamente non è l’unica che ne ha voluto parlare. Ecco altre due testimonianze di donne speciali che lottano contro la patologia.

Valentina Trombetta

Ho ricevuto la diagnosi quasi otto anni fa, a poche settimane dal mio matrimonio – ci racconta Valentina TrombettaVenivo da un periodo complicatissimo con dolori continui che non passavano con niente. Non nascondo che ho fatto quello che non si dovrebbe mai fare quando hai una serie di sintomi che non riesci a capire cosa sia: andare su Internet. A un certo punto ho letto tre lettere (SLA) ed ero spaventatisissima. Per cui quando ho scoperto che era ‘solo’ artrite reumatoide sono stata sollevata, non lo posso nascondere.

Da quel lontano giorno ho visto cambiare il mio corpo e ricambiare ancora. Le dosi massicce di cortisone iniziale mi hanno portato a gonfiarmi. Il viso specialmente, non lo riconoscevo più nelle fotografie. Ci sono voluti anni (e un’alimentazione completamente diversa) per tornare quella che ero, anche se ci sono segni che restano là, come quel piccolo scalino sui polsi. Lo so che li vedo solo io, ma ci sono comunque.

Oggi ho ripreso a fare sport – un’attività mirata con un coach che lavora molto sulle mie articolazioni danneggiate – e devo dire che la mia vita è la vita di una qualsiasi donna di 37 anni con un lavoro e una bambina. Sono perennemente stanca come tutte le mie coetanee, ma molto felice.

Il futuro che mi aspetta è roseo e pieno di gioie e soddisfazioni. Per quanto riguarda la mia patologia credo che la medicina farà passi da gigante e troveremo la cura definitiva per la nostra malattia. Allo stesso tempo credo che con l’aiuto anche di un’alimentazione studiata per noi possiamo tutti quanti stare meglio. Per il mio futuro ho tanti sogni che spero escano finalmente dal cassetto… Sono una persona positiva ed essermi ammalata non mi ha fatto cambiare il modo di vedere la vita, anzi.

Nella mia vita all’improvviso è cambiato tutto. Avevo poco meno di trent’anni e quello che fino al giorno prima era semplice e scontato – parlo di aprire una bottiglietta d’acqua, guidare il motorino, girare la chiave nella serratura di casa – all’improvviso non lo è stato più. Penso che quando affronti e sopporti tutto questo la prospettiva di vita cambi radicalmente e diventano poche le cose che possono preoccupare sul serio. So che ci saranno sempre delle difficoltà, ma so che ho la forza di superarle perché l’ho sperimentato già.

Spesso mi trovo a dire che in fin dei conti la malattia mi ha più dato che tolto. Mi ha dato la voglia di seguire i miei sogni e di fare quello che mi piace sul serio. Non ho scritto un libro sulla malattia – ho in mente un progetto anche se non credo di realizzarlo a breve termine – ma ne ho scritti diversi come piacciono a me. Quando ero più piccola avevo mille storie in testa, adesso ho la forza e la costanza per metterle nero su bianco dall’inizio alla fine”.

Nicoletta Di Stefano, che ha imparato a convivere con “la bestia”

Nicoletta Di Stefano soffre di spondilite anchilosante, un’altra delle malattie autoimmuni reumatiche. Questa è la sua storia.

Ero una bambina.
Avevo 17 anni. Ero una ballerina professionista. Ballavo per amore e per mestiere. Durante una lezione ho cominciato a sentire un dolore lancinante ad un’anca. Le fitte piano piano si sono ravvicinate, fino ad avere un dolore fisso e continuo.
Credevo che con il riposo sarei stata meglio il mattino dopo, e invece…

Ho cominciato anche con l’altra anca, e poi la schiena e poi le mani e poi le ginocchia e poi le caviglie. Ero diventata tutto un fuoco e tutta gonfia. Ma soprattutto ero diventata una ragazza completamente diversa da tutte le mie coetanee, e sapevo che nulla sarebbe stato più come prima.

Oggi sono una studentessa di medicina e chirurgia. Ho imparato a convivere con la bestia, che nel frattempo non è rimasta sola.
Ne è arrivata anche un’altra, perché si, le malattie reumatiche sono Terribili.
Il detto che le caratterizza è: ‘Una tira l’altra’.

Ho la mia stampella sempre pronta all’uso. Per i lunghi tragitti utilizzo la mia ‘ferrari’: la mia sedia a rotelle rossa.
In tanti mi hanno chiesto il perché, perché io la utilizzassi, anziché fare solo le cose in cui riesco con più agilità. Io non ho intenzione di perdere alcune cose belle della vita.

E per quanto possa essere odiata la sedia a rotelle, io non posso farlo. È una mia amica in realtà, mi permette di non privarmi di niente.
Si, effettivamente la prospettiva non è molto bellina da lì: diciamo che si vive ad altezza chiappe, ma ci sta.
È chiaro quindi che la mia vita è molto diversa da quella dei miei coetanei. Però io questa vita la amo alla follia, forse proprio perché ne ho capito il reale valore quando, prima della diagnosi finale, mi hanno tempestato di altre presunte diagnosi decisamente poco belle.

Nicoletta ci ha parlato anche del suo futuro:

Non so cosa mi aspetta, ma so per certo che è un bel futuro.
Ho la fortuna di avere l’amore incondizionato della mia famiglia. Ho la fortuna di studiare quello che adoro da sempre. Ho la fortuna di essere ancora qui. Non so come sarà il mio futuro, ma piano piano lo sto riscrivendo.

La mia paura più grande all’inizio è stata la Solitudine, o meglio la sensazione di sentirsi soli al mondo. Non sono mai stata sola, in realtà.

Ho sempre avuto la mia famiglia vicina, però quando a 17 anni le amiche ti abbandonano, quando vedi alcuni amici di famiglia rimanere distanti, quando vedi che davanti alle difficoltà in realtà siamo soli, si ha un po’ quella sensazione di essere soli al mondo.

Con il tempo poi capisci che quelle persone che si sono allontanate ti hanno solo fatto un favore: hanno liberato, nel tuo cuore, il posto a chi invece, nella tua vita, vuole starci e a tutti i costi..
A 18 anni avevo paura di non essere abbastanza, di non essere abbastanza come amica, come donna. Oggi non ho più quelle paure.

So che ho dei problemi, so che non riesco a camminare molto, so che non riesco più ballare, so che non riesco a fare serate lunghe con i miei amici, so che devo fare terapie pesanti, so che spesso sono molto stanca, so che non posso prendere il sole, insomma: io so che sono ‘diversa’.
Ma ho anche imparato che è proprio quella diversità che mi rende ‘Nicoletta’.

Nicoletta ha scritto anche un libro, Il sogno di una vita, per aiutare tutte le persone che convivono con quella che lei chiama “Artry”.

Il sogno di una vita è nato perché quando si riceve una diagnosi di questo tipo ti senti crollare il pavimento che hai sotto i piedi.
Ti spiegano che sono malattie che danno disturbi che avrai sempre. Vivere e convivere ogni giorno con dolori, tanti dolori, non è semplice.
Inoltre, essendo ‘malattie invisibili’, è difficile per tutti gli altri capire con quanta difficoltà si prova a vivere nel modo più normale possibile.
Ci si sente incompresi e questo crea frustrazione.

Io ho imparato a convivere anche con questo. Dopo un po’ quando ti chiedono: ‘come stai?’, rispondi che va sempre tutto bene.
Lasci le tue verità solo a chi credi che possa capire, le lasci a chi vuoi che sia presente nella tua vita, nel bene e nel male.

Il sogno di una vita nasce, quindi, per far capire a tutti i miei compagni di sventura che siamo in tanti a soffrire e che tra noi possiamo parlare di tutto e con la massima sincerità.
È nato per far capire: è diretto a tutti coloro che vogliono capire come è la vita di un malato reumatico, è diretto a tutti quelli che vogliono leggere una storia vera ed è diretta a tutti i i miei compagni per far capire loro che non siamo soli.

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