*** Aggiornamento del 25 agosto 2021 ***

Uno studio, condotto da un team formato Giulia Torromino dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc) e coordinato da Elvira De Leonibus del Cnr-Ibbc e del Telethon Institute of Genetics and Medicine della Fondazione Telethon, con il contributo di Adriana Maggi dell’Università di Milano, corroborerebbe l’ipotesi secondo cui sarebbero le donne le principali vittime dell’Alzheimer.

La ricerca, sviluppata nell’ambito di  un progetto finanziato dall’Associazione Americana per la malattia di Alzheimer (SAGA-17-418745) e pubblicato sulla rivista Progress in Neurobiology, ha dimostrato come l’ingresso in menopausa e il conseguente calo degli estrogeni giochino un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia, rendendo le donne maggiormente vulnerabili: questi ormoni svolgono una funzione protettiva contro la morte cellulare (apoptosi) e l’infiammazione che favorisce la formazione di placche di Beta amiloide, il cui accumulo è tra le cause della patologia. La variazione dei livelli di estrogeni agisce quindi sulla memoria.

Queste mutazioni ormonali, indipendenti dal fatto che ci sia qualcosa da memorizzare, attiva la risposta dei neuroni ippocampali e ne rafforza le connessioni, fenomeno che abbiamo definito ‘engramma da estrogeni’ – ha spiegato De Leonibus – Ma dal momento che questo processo non è legato a una memoria da formare abbiamo ipotizzato che esso possa produrre una sorta di ‘rumore’ nella rete ippocampale, che disturba la stabilità degli altri ricord.

Dunque, essendo l’ippocampo più sensibile di altre regioni all’effetto degli estrogeni, viene utilizzato meno dalle donne e proprio questo suo scarso utilizzo potrebbe essere ciò che lo rende nel tempo più esposto agli effetti dell’invecchiamento, secondo un meccanismo ‘use or lose it’ (se non lo usi lo perdi). Non bisogna infatti credere che a invecchiare per lo scarso utilizzo siano solo i muscoli, lo stesso accade anche alla funzionalità cerebrale.

Per mantenere giovane l’ippocampo il team propone una terapia sostitutiva a base di estrogeni, ma anche trattamenti comportamentali specificamente progettati, come l’orienteering. “Sport ancora poco noto in Italia, consiste nell’effettuare un percorso a tappe in un ambiente naturale, generalmente un bosco, con il solo aiuto di una bussola e di una cartina geografica dettagliata in scala. Come detto, l’ippocampo è una regione altamente specializzata per l’orientamento spaziale, per cui questo tipo di allenamento coinvolge questa struttura cerebrale più di altre. È importante comunque sottolineare che le differenze di genere nell’utilizzo delle diverse strategie cognitive possono essere modulate da fattori ambientali legati all’educazione e che non tutte le donne mostrano il profilo di ‘non ippocampo-user'”.

*** Articolo originale ***

Il morbo di Alzheimer è una di quelle malattie che presenta delle discrepanze in base al genere della persona colpita. Non si tratta di una diversificazione di sintomi o di cura, ma c’è un’incidenza maggiore quando parliamo di donne e probabilmente le cause legate a questo fenomeno sono peculiari. In generale, esistono degli studi ma sono comunque parziali, perché l’Alzheimer – o demenza – rappresenta una condizione per certi versi ancora misteriosa, la cui ricerca è continuamente in fieri.

I dati parlano chiaro, in base a quanto riporta la Bbc. In Australia, i due terzi delle persone morte e affette da Alzheimer sono donne. Negli Stati Uniti invece, i due terzi delle persone in vita che riscontrano questa condizione è donna. In più le donne statunitensi hanno il doppio di probabilità di una diagnosi di morbo di Alzheimer rispetto a una di cancro al seno – che per esempio resta una delle cause principali di morte per le donne britanniche di età compresa tra 35 e 49 anni.

L’Alzheimer supera nei numeri molte altre malattie tipicamente femminili infatti, tanto che in Inghilterra e Galles è diventata la principale causa di morte per il gentil sesso.

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Chiaramente, queste statistiche mostrano un risultato molto preciso. O meglio, un’indicazione, una linea guida: e cioè che è fondamentale capire le specificità femminili di questa malattia.

C’è una teoria, ma parte degli studiosi la ritiene fuorviante. Questa teoria parte dal presupposto che lo sviluppo del morbo di Alzheimer vede tra le cause principali l’età: dato che le donne vivono più a lungo degli uomini, ci sono molte più donne anziane rispetto a uomini anziani, da qui il fatto che siano maggiormente colpite dal morbo. Secondo questa teoria quindi, il gender gap in questo caso sarebbe tutta una questione d’età.

La statistica relativa al Regno Unito spiega come in questa nazione i casi di Alzheimer siano scesi del 20% – ma non è un fenomeno che riguarda le donne, quando per lo più gli uomini di età superiore a 65. Secondo gli esperti, le campagne pubblicitarie per la salute stanno funzionando molto bene – in particolare quelle che invitano a effettuare screening all’apparato cardiaco oppure a smettere di fumare.

Le malattie del cuore e il fumo sono infatti due grossi fattori di rischio per l’Alzheimer e aderire a queste campagne ha giovato soprattutto agli uomini perché questi fumano solitamente più delle donne – no, non è un luogo comune, a dirlo è ancora la Bbc – e hanno attacchi di cuore quando sono più giovani rispetto alle donne.

Gli altri fattori di rischio – e conoscerli è fondamentale per comprendere da dove partire con la prevenzione – che coinvolgono invece maggiormente il sesso femminile sono la depressione o la sterilizzazione ma anche complicazioni della gravidanza, come la pre-eclampsia.

La statistica afferma anche un’altra cosa indipendente dal genere: tra le persone che svolgono mestieri che li portano a prendersi cura degli altri, dagli infermieri ai governanti di famiglia, ben il 60-70% sviluppa il morbo di Alzheimer nel Regno Unito. Si tratta soprattutto di donne perché parliamo di mestieri tradizionalmente e storicamente “femminili”.

C’è dell’altro. Il Women’s Brain Project ha analizzato la letteratura scientifica dell’ultimo decennio sull’argomento. L’Alzheimer viene rilevato da due proteine tossiche che si accumulano nel cervello: non c’è nessuna differenza nel livello di queste proteine nelle donne e negli uomini, ma subito dopo la diagnosi, le donne mostrano un declino molto più veloce, tanto che si ipotizza che queste proteine possano avere un differente valore predittivo tra i generi e che si debba ricorrere a biomarker specifici per gli uomini e per le donne.

Perché il declino della demenza è più veloce delle donne? Anche qui si è ancora nel campo delle ipotesi. Una scuola di pensiero incolpa gli estrogeni, che proteggono il cervello quando le donne sono giovani, mentre altri pensano che bisognerebbe modificare gli esami diagnostici perché le donne ottengono migliori risultati nei test iniziali – e questo dà vita a diagnosi mancate in una fase precoce, che possono indurre i medici a sottovalutare la gravità della malattia. In altre parole, la strada è ancora lunga e tutta in salita.

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