Paura degli spazi aperti, certo, ma non solo. L’agorafobia è comunemente associata a questo sintomo, ma la verità è ben più complessa e riguarda molti altri elementi. Infatti l’agorafobia è un disturbo capace di condizionare moltissimo la quotidianità di chi ne soffre, proprio perché mina alla base aspetti diversi e tutti riguardanti attività molto comuni, che vanno ben oltre il solo attraversare una piazza.

Secondo l’ISS è due volte più comune nelle donne rispetto agli uomini e si manifesta comunemente tra i 18 e i 35 anni. Erano notoriamente agorafobici sia Alessandro Manzoni che il musicista Thelonious Monk.

Agorafobia: significato

Dal punto di vista etimologico il termine agorafobia è di provenienza greca: αγορά (piazza) e φοβία (paura), dunque paura della piazza; più in generale di tutti gli spazi aperti o affollati.

Ma dal punto di vista psichiatrico è definita in modo leggermente diverso: perché in realtà è il timore di trovarsi in luoghi dove, secondo il giudizio della stessa persona agorafobica, potrebbe avvenire un attacco di panico o qualcosa di irrimediabile. La paura degli spazi aperti, dunque, sarebbe la conseguenza della vera paura: quella di avere attacchi di panico, di morire senza essere soccorsi, sentirsi male in pubblico e non saper gestire la situazione.

Secondo il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) rientra nella categoria dei disturbi d’ansia.

Agorafobia: cause

Anche se alla base potrebbero esserci alcuni geni ereditati dai genitori, la causa scatenante più comune è un evento particolarmente traumatico, come un lutto, sperimentato in età adolescenziale o durante l’infanzia. Ne scaturisce una sorta di blocco che altera la percezione di sé e delle proprie capacità di gestire le situazioni, un calo di autostima che va a condizionare profondamente i propri comportamenti e la propria sfera sociale, nella vita di tutti i giorni.

Agorafobia: sintomi

agorafobia
Fonte: iStock

L’agorafobia si manifesta principalmente come una paura di trovarsi in situazioni da cui non sarebbe possibile fuggire né ricevere aiuto, in caso di pericolo. Per questo chi ne soffre tende a evitare tutte quelle situazioni che potrebbero rivelarsi potenzialmente problematiche, compreso il semplice uscire di casa per fare la spesa o per andare in un centro commerciale. Anche viaggiare sui mezzi pubblici diventa traumatico. Per questo, la persona che convive con l’agorafobia tende a non affrontare da sola questi momenti, preferendo la compagnia fissa di una persona cara al proprio fianco.

Questa sorta di autodifesa, tesa a prevenire un possibile stare male, è definita come elusione del rischio (avoidance) ed è tipica dell’agorafobia.

Si accompagna a:

  • attacchi di panico;
  • iperventilazione (respirazione accelerata);
  • sudorazione;
  • malessere generale;
  • ansia crescente;
  • brividi e pelle d’oca;
  • confusione e mal di testa;
  • fischi alle orecchie.

L’agorafobia è legata anche alla paura di situazioni generali di pericolo come la criminalità, il terrorismo, gli incidenti o le malattie.

Agorafobia: rimedi e cura

Secondo le statistiche riportate dall’ISS, circa un terzo delle persone che soffrono di agorafobia guariscono completamente, nella metà dei casi i disturbi migliorano, pur ripresentandosi nei periodi di maggiore tensione, mentre in un quinto dei pazienti le cure si sono rivelate inefficaci.

Il trattamento che sembra aver maggiori effetti positivi, è quello cognitivo-comportamentale. La filosofia di base deve essere aiutare il paziente a “evitare di evitare”. Chi soffre di agorafobia tende a evitare tutta una serie di situazioni temute, ritenute pericolose. Con l’aiuto di un professionista, si viene guidati a gestire l’ansia che deriva dall’esposizione a queste situazioni. Parallelamente, ci si sottopone a tecniche di rilassamento e altre strategie di intervento volte al miglioramento: training autogeno, esercizi di respirazione, yoga.

Un altro approccio che può dare benefici è l’ipnosi.

Per quanto riguarda la cura farmacologica, questa non va intesa in sostituzione del trattamento vero e proprio, ma è qualcosa da associare alla psicoterapia, assolutamente necessaria per comprendere le cause del problema e riuscire ad affrontarlo e gestirlo in autonomia.  I farmaci più adeguati sono gli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI) e quelli a base di benzodiazepine.

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