Test di scrittura per prevedere la malattia di Alzheimer. Lo studio

Diversi studi, indagando le malattie neurologiche, sono giunti a un punto: alcuni segni della scrittura possono indicare chi le svilupperà. Non sappiamo ancora fermare queste patologie, ma questo è sicuramente un importante passo in avanti.

Stando ai dati più recenti, ci sono circa 50 milioni di persone che hanno l’Alzheimer in tutto il mondo, ma secondo le stime i numeri potrebbero addirittura triplicare nei prossimi anni, raggiungendo i 152 milioni nel 2050.

Capire se ci sono soggetti più predisposti a sviluppare la malattia è piuttosto difficile, tanto che 2 persone su 3 credono sia semplicemente una conseguenza dell’invecchiamento, ma un nuovo studio condotto dai ricercatori IBM è convinto di aver trovato una nuova chiave di lettura che potrebbe aiutare a fornire indicazioni su chi presumibilmente potrebbe soffrire di Alzheimer.

La risposta starebbe nei test di scrittura, visto che, sostiene lo studio, le persone con malattie neurologiche hanno schemi linguistici peculiari che potrebbero essere veri e propri campanelli d’allarme.

Lo studio

Per lo studio sull’Alzheimer, i ricercatori hanno esaminato un gruppo di 80 fra uomini e donne sugli 80 anni: metà aveva l’Alzheimer e metà no, benché per tutti, appena sette anni e mezzo prima, tutto fosse cognitivamente normale.

Gli uomini e le donne hanno partecipato al Framingham Heart Study, che ha richiesto regolari test fisici e cognitivi, facendo anche un test di scrittura prima che insorgesse l’Alzheimer, in cui è stato loro richiesto di descrivere il disegno di un bambino in piedi su uno sgabello instabile che raggiunge un barattolo di biscotti su uno scaffale alto mentre una donna gli dà le spalle, non vedendo un lavandino traboccante.

Esempi dal Framingham Heart Study. Elif Eyigoz et al., The Lancet 2020

I ricercatori hanno esaminato l’uso delle parole dei soggetti con un programma di intelligenza artificiale che ha cercato sottili differenze nel linguaggio, identificando un gruppo che era solito ripetere l’uso delle parole e che ha commesso errori di ortografia o di uso improprio delle lettere maiuscole, utilizzando inoltre un linguaggio telegrafico, ossia con struttura grammaticale in cui mancavano soggetti, articoli o congiunzioni. I membri di quel gruppo si sono effettivamente rivelati le persone che hanno sviluppato la malattia di Alzheimer. I risultati dello studio sono stati pubblicati su The Lancet EClinicalMedicine.

Non pensavamo che l’uso delle parole mostrasse qualcosa” ha affermato Ajay Royyuru, vicepresidente della ricerca sanitaria e delle scienze della vita presso l’IBM Thomas J. Watson Research Center di Yorktown Heights, NY, dove è stata eseguita l’analisi con l’ausilio dell’IA.

Per anni i ricercatori hanno analizzato i cambiamenti del linguaggio e della voce nelle persone con sintomi di malattie neurologiche, come Alzheimer, SLA, Parkinson, demenza frontotemporale, malattia bipolare e schizofrenia, ma il dottor Michael Weiner, che studia il morbo di Alzheimer presso l’Università della California, ha assicurato che lo studio IBM apra nuovi orizzonti: “Questo è il primo studio che ho visto che ha preso persone completamente normali e previsto con una certa precisione che avrebbero avuto problemi anni dopo”, ha detto.

Alla luce dei risultati, l’auspicio è quindi quello di estendere il lavoro sull’Alzheimer per trovare sottili cambiamenti nell’uso della lingua da parte di persone senza sintomi evidenti, ma che svilupperanno altre malattie neurologiche, visto che molti, fra cui il dottor Murray Grossman, professore di neurologia presso l’Università della Pennsylvania e direttore del centro per la demenza frontotemporale dell’università, sono certi nell’affermare che ogni malattia neurologica produca cambiamenti unici nel linguaggio.

Ad esempio, nella demenza frontotemporale, in cui i pazienti mostrano apatia e calo di giudizio, all’inizio del decorso della malattia sono stati evidenziati cambiamenti nel ritmo del discorso dei pazienti, con pause distribuite apparentemente a caso, e un uso inferiore delle parole astratte; cambiamenti che, spiega Grossman, sono direttamente collegati ai cambiamenti nelle parti frontotemporali del cervello, e valgono a livello universale, per ogni lingua.

La tecnologia per scoprire in anticipo le malattie neurologiche

C’è anche chi ha deciso di sfruttare i device tecnologici per approfondire gli studi sulle malattie neurologiche, come il dottor Adam Boxer, direttore dell’unità di ricerca clinica sulle neuroscienze dell’Università della California, che studia la demenza frontotemporale aiutandosi di un’app per smartphone. I soggetti del suo studio sono persone sane che hanno ereditato una predisposizione genetica a sviluppare la malattia, a cui viene chiesto di registrare una descrizione di un’immagine che viene loro proposta. Lo scopo è scoprire nel dettaglio anche i cambiamenti molto precoci, quelli che avvengono da 5 a 10 anni prima della comparsa dei sintomi. I ricercatori possono chiedere alle persone di parlare per un minuto di qualcosa che è successo quel giorno, o di ripetere suoni come tatatatata.

Guillermo Cecchi, uno dei principali ricercatori di psichiatria computazionale e neuroimaging dell’IBM, assieme ai colleghi ha studiato un piccolo gruppo composto da 96 pazienti a Los Angeles, 59 dei quali hanno avuto deliri occasionali, chiedendo loro di raccontare una storia che avevano appena sentito nel tentativo di ritrovare gli stessi schemi di discorso rivelatori. Il programma di intelligenza artificiale ha previsto chi fra loro avrebbe sviluppato la schizofrenia nel giro di tre anni, con una precisione dell’85%.

Ovviamente è ancora presto, purtroppo, per riuscire a  rallentare, o addirittura fermare, la malattia, ma questo genere di test può sicuramente rappresentare un ottimo supporto per inquadrare eventuali caratteristiche – che evidentemente esistono – che possono dare avvisaglie in anticipo sul tipo di soggetto più facilmente predisposto a essa.

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