Moxa o moxibustione: di cosa si tratta? La tecnica è antichissima e affonda le sue origini nella medicina tradizionale dell’antico Oriente (II – I secolo a.C.). Poi è entrata anche negli usi occidentali, ma solo in età più recente.

Nel termine risiede anche la sua spiegazione. Il nome, infatti, deriva da due parole giapponesi: Moe (bruciare) e Kusa (erba). Come si può intuire si sfrutta, appunto, il potere curativo del calore sulle zone del corpo da trattare.

Moxa: cos’è?

La moxa è una pratica terapeutica che sfrutta gli stessi canali energetici e punti dell’agopuntura per trattare alcuni disturbi. I principi di base sono la dispersione e la tonificazione. Nel primo caso si libera l’energia negativa bloccata in un punto. Nel secondo caso si va a riempire un punto vuoto che deve essere tonificato.

La tecnica si avvale di lunghi e larghi bastoncini simili a sigari contenenti piante officinali essiccate ricoperti da carta di gelso applicata con albume d’uovo. La pianta più utilizzata è soprattutto l’Artemisia (o assenzio cinese), ricchissima di proprietà che fanno molto bene al corpo: tratta gli stati febbrili, i problemi gastrointestinali, è antidepressiva e rilassante, ha poter antinfiammatorio e depurativo.

I sigari (lunghi circa 20 cm e larghi 1-2 cm) si fanno bruciare e poi vengono posti sopra o nelle vicinanze delle zone da trattare. Queste subiscono un forte riscaldamento. Il calore libera tutti i principi attivi della pianta, stimolando il processo curativo. In alternativa ai “sigari” esistono anche delle palline, sempre a base di Artemisia, che vengono utilizzate nello stesso modo: bruciate sulla pelle direttamente o poggiate su un preparato a base di aglio, zenzero, sale.

Sia il bastoncino che la pallina possono sia essere mossi da un operatore (in modo lineare o circolare, con o senza pressione) che essere poggiati e lasciati fermi. Nel caso in cui si proceda per dispersione, il calore deve essere più intenso.

Nel caso sia richiesta, invece, la tonificazione, il calore va infuso più lentamente e per un intervallo di tempo più lungo. Per questo la preparazione dell’operatore è essenziale, per evitare bruciature, scottature e per essere sicuri di sottoporsi al giusto trattamento, quello più indicato per il proprio malessere.

Si può effettuare il trattamento (che è indolore se correttamente eseguito) ogni 2 giorni per un massimo di 10-15 sedute. Ha una durata di circa 10 minuti e il momento ideale è la mattina.

Moxa: i benefici

moxa
Fonte: iStock

I benefici della moxa sono molteplici, purché correttamente eseguita dopo un’attenta e scrupolosa analisi fatta da un esperto in medicina tradizionale. Può essere utilizzata in caso di:

Moxa: le controindicazioni

Tuttavia la moxibustione non è invece indicata nei seguenti casi:

  • ferite, abrasioni, psoriasi ed escoriazioni sulla pelle;
  • febbre alta;
  • ciclo mestruale;
  • ipertensione;
  • età inferiore ai 7 anni;
  • diabete;
  • allergia all’Artemisia.

Moxa e gravidanza

Ad alcune donne in gravidanza viene proposta la moxa, nello specifico in caso di bambino podalico all’avvicinarsi del parto. Può essere un modo per far ruotare il nascituro evitando così un cesareo, ma non sempre la pratica va a buon fine. Si punta alla stimolazione attraverso il calore di un punto ben preciso situato nel piede della futura mamma: il punto 67v corrispondente all’angolo ungueale esterno del mignolo del piede. Quest’ultimo sarebbe in grado di favorire in alcuni casi la rotazione e indurre al parto. Bisognerebbe ripetere il trattamento ogni giorno, ma solo tra la 32esima e la 34esima settimana.

Secondo la medicina tradizionale cinese, infatti, il feto podalico si trova in una situazione anomala e fluttua nel liquido amniotico vivendo una condizione di disarmonia dei fluidi corporei. La vescica, che è l’organo che regola questi fluidi, deve essere tonificata agendo nel suo meridiano. E il suo meridiano è proprio il punto 67v.

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