“Sono tornata a casa venerdì sera dopo una festa di compleanno. Torta, alcol… troppa roba. troppe calorie. e troppo mal di testa. troppa nausea. Ma ero lucida. Lucida da far schifo, anche se barcollavo per l’alcol. E mi ricordo tutto. Anche se la mia speranza, dopo queste serate alcoliche, è sempre quella di non ricordare… dimenticare… dimenticarmi… Volevo buttar fuori tutto. C’era a casa mio padre, ma era più forte la voglia di vomitare che non la paura di essere scoperta”. (Diario di una bulimica)

 

Questa è solo una delle tante testimonianze che ci offre il web sulla bulimia.

È un disturbo alimentare come l’anoressia ma al contrario di quest’ultima che ha come elemento principale il rifiuto totale del cibo, la bulimia è invece una bramosia, una forza incontrollabile ed una voglia irresistibile di assumere cibi, una perdita di controllo che porta ad abbuffate con qualsiasi pietanza con conseguente autoinduzione al vomito, abuso di lassativi e di diuretici oppure esercizio fisico eccessivo.

Abbuffate che poi, per il senso di colpa, portano a digiuni prolungati così da controllare il peso, che comunque rimane sempre nella norma e che quindi non fa che dimostrare quanto sia una preoccupazione morbosa ed infondata.

Un circolo vizioso che però aumenta il vissuto di colpa (ansia, depressione, vergogna) e la preoccupazione verso il cibo, il peso e la propria immagine corporea.

Per poter confermare con certezza la diagnosi di bulimia, il DSM (il manuale statistico dei disturbi mentali) sottolinea che le abbuffate ed i rimedi per farvi fronte (il vomito) devono avvenire mediamente due volte a settimana per almeno 3 mesi consecutivi.

Nel momento in cui questi episodi diventano quindi frequenti e questo atteggiamento verso il cibo arriva ad interferire e condizionare la vostra vita… allora non potete più aspettare, accettate di avere un problema e che è arrivato il momento di parlarne con qualcuno.

 

blog.libero.it
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 La bulimia come comunicazione

Un cattivo rapporto con il cibo è spesso solo la punta di un iceberg molto più vasto e formato da altre difficoltà…

La bulimia è un sintomo che ci sta dicendo che c’è qualcosa che non va nella nostra vita, nel nostro lavoro, in famiglia o nel nostro rapporto di coppia.

Ripetiamo a noi stesse che siamo solo interessate ad apparire belle ed in forma e quindi siamo obbligate a controllare l’alimentazione in questo modo ma non è così… spesso siamo viviamo un malessere generale di cui non siamo neanche consapevoli e che è alla base di questi atteggiamenti.

Domandiamoci quindi cosa proviamo prima di ogni crisi, cerchiamo di riconoscere il significato profondo e che funzione ha nella nostra vita: a cosa ci serve questo sintomo?

Spesso la risposta è a due livelli: può basarsi su un disagio individuale oppure sociale.

Dal punto di vista individuale possono essere presenti disturbi dell’umore, depressione, senso di vuoto, idee suicidiarie, tendenza all’autolesione, cleptomania e abuso di alcool.

Il disagio sociale emerge dalla presenza di rapporti superficiali e instabili, promiscuità sessuale, isolamento, difficoltà a mantenere un lavoro…

La bulimia dimostra inoltre che si è in preda di idee poco realistiche ed errate: “se mangio normalmente ingrasso sempre”, “la caloria di un cibo iperproteico non corrisponde alla caloria di un dolce” oppure “il mio peso deve rimanere invariato nel tempo”.

I bulimici hanno poi una percezione sbagliata degli stimoli corporei, non riescono più a distinguere il senso di fame dalla sazietà e questo a causa delle abitudini alimentari sbagliate.

L’eccessiva preoccupazione per il peso e l’aspetto fisico, nasconde inoltre uno scarso concetto di sé, insicurezza cronica, tendenza alla rigidità ed al perfezionismo, la ricerca del controllo (sull’alimentazione) che in altri contesti è fallimentare oppure il bisogno di scaricare le tensioni accumulate dai ruoli assunti nel quotidiano (donna in carriera, mamma infaticabile…).

La tendenza all’abbuffata inoltre dimostra quanto sia rigido lo schema alimentare che ci si impone: privarsi o regolare in modo ferreo l’assunzione di cibo ci sottopone ad una continua bramosia fisica e psicologica verso qualsiasi cosa sia commestibile. Nonostante si rifiuti con tutta sé stessa di aumentare di peso, la bulimica dirà sempre che ha il pensiero fisso del cibo.

Ed una volta trasgredita la dieta, la bulimia porta a dirsi: “Ormai l’ho fatto, tanto vale abbuffarmi fino a scoppiare”, una modalità cognitiva caratterizzata dal concetto “tutto o niente” che spinge quindi alle crisi bulimiche ed all’eliminazione forzata degli alimenti.

 

odiami.it
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 Che ruolo ha la famiglia?

Scoprendo la bulimia in giovane età è normale domandarsi se la famiglia abbia un ruolo nel suo presentarsi e che ruolo sia ed esistono diversi studi in merito che però devono sempre essere tarati sulla particolare storia del paziente che abbiamo di fronte.

Alcuni autori dichiarano che alla base del disturbo c’è un blocco nel processo di separazione psicologica dalla madre, il corpo viene usato quindi come ancora e come base per staccarsi e distinguersi dalla madre. Madri troppo presenti, simbiotiche e soffocanti.

Altre volte la bulimia può essere un sintomo creato dall’intera famiglia: proiettare su un unico componente le qualità inaccettabili di tutti gli altri sposta l’attenzione sul familiare designato invece che su una crisi genitoriale per esempio o su altre problematiche più lampanti.

Anche una famiglia particolarmente perfezionista oppure molto esigente, con alte mire competitive può stressare una figlia al punto da indurla a “prendersela” con il proprio corpo che non risponde alla perfezione richiesta.

Sono famiglie che si rivelano non adeguate a sostenere i giovani verso l’evoluzione della propria identità o anche a sostenerli affettivamente in modo funzionale ed il bulimico si fa portavoce prima di tutto di un malessere familiare.

 

Come curare la bulimia?

Il primo passo è riconoscersi nei sintomi ora descritti e rivolgersi ad uno psicologo.

Il trattamento di questa tipologia di disturbi non è poi così lungo ed i giovamenti sono visibili già dopo le prime sedute.

Intervenire sulla bulimia significa per prima cosa insegnare un modello alimentare equilibrato e bilanciato che elimini senza dubbio il digiuno e l’astinenza e che preveda obiettivi più fattibili ed incentrati su una effettiva e realistica analisi corporea.

Non si deve infatti combattere contro l’assunzione di una sostanza ma contro l’eliminazione di un atteggiamento sbagliato.

Sarà utile poi monitorare l’alimentazione e soprattutto tutte le situazioni satellite cioè che ruotano attorno all’assunzione di cibo: pensieri, idee, sentimenti… fino ad arrivare gradualmente a controllare il desiderio di abbuffarsi e quindi il suo significato.

Parallelamente al trattamento dell’aspetto legato alla nutrizione, lo psicologo approfondirà inoltre qual è il significato e la funzione della bulimia cioè che messaggio sta inviando.

Oltre alla terapia individuale, è consigliata spesso anche una terapia di gruppo perché permette di condividere la propria storia con altre persone che vivono le stesse situazioni ed offre un confronto ed una potenzialità di rispecchiamento terapeutica.

E’ infine consigliabile anche un percorso parallelo con la famiglia: spesso i genitori non si rendono conto della responsabilità che hanno sul mantenimento del disturbo e che quest’ultimo è funzionale all’equilibrio familiare (anche se patologico).

Non è facile rendersi conto che un figlio ha bisogno di aiuto perché ha un problema e quindi disattende il concetto di “famiglia normale e perfetta” che ci si era costruiti.

Ma più che cercare la perfezione… è giusto cercare le particolarità e le originalità che rendono una famiglia speciale perché unica.

 

 

Dott.ssa Cristina Colantuono

Cristinacolantuono@gmail.com

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