Si può dare un volto alla salute mentale?
La risposta è no, esattamente come non si può dare un volto alla depressione, all’endometriosi e a tutta quella serie di patologie spesso sottovalutate perché considerate “invisibili”.
Si può però provare a dare una voce, a tutte quelle persone che soffrono per disturbi che la società non vede e che, quindi, fatica a comprendere; ed è quello che il progetto FotograficaMente cerca di fare.
Realizzato dal collettivo fotografico In to the frame, il progetto è un documentario video-fotografico sulla salute mentale, e in particolar modo sulla realtà del Centro di Salute Mentale di Termoli, Campobasso, e dei suoi satelliti.
Nelle domande rivolte ai soggetti coinvolti, ci chiariscono subito i fotografi, non c’è la volontà di approfondire troppo la loro storia personale, ma più che altro quella di far emergere la visione che loro hanno dei luoghi di cura che frequentano, e la loro opinione sulla stigmatizzazione, purtroppo diffusa, del tema salute mentale, in particolare di coloro che soffrono di psicosi.
Li abbiamo intervistati per conoscere qualcosa di più di FotograficaMente, di cui chiaramente si parla anche sul loro sito ufficiale, su Instagram e su Facebook.
Prima di tutto, da dove nasce l’idea di indagare i meandri della mente e della salute mentale?
“Dalla voglia di conoscere una realtà per lo più ignota – ci dicono – a mente pulita, priva di pregiudizi e aspettative preconfezionate, e dalla volontà di riprendere e analizzare, seppur indirettamente, delle situazioni che alcuni membri del nostro colletivo fotografico hanno avuto modo di toccare con mano, per questioni private, già in passato.
Nel nostro Paese le questioni inerenti la salute mentale: la prevenzione, la cura e il reinserimento sociale per le persone affette da disturbi psichici, sono spesso trascurate e lasciate nelle mani dei soli ‘addetti ai lavori’ che, in un modo o nell’altro, vi sono direttamente coinvolti.
FotograficaMente vuole dunque porre l’attenzione su delle persone, protagoniste di un racconto poche volte narrato e, ancor meno, ascoltato“.
A novembre del 2018 Davide, Rossella e Nicola si presentano al direttore del centro per proporre la loro iniziativa e, dopo aver ottenuto il consenso, si attivano immediatamente per trovare una soluzione che consentisse loro di entrare in relazione con i futuri protagonisti del documentario nel modo più rispettoso, attento e graduale possibile.
“Questo passaggio – spiegano – è stato fondamentale perché, nella maggior parte dei casi, quando si cerca di entrare in certi contesti da estranei e, soprattutto, da fotografi, si rischia di destare sospetti e scetticismi, per lo più causati dall’atteggiamento stigmatizzante che si usa assumere nei confronti di coloro che, per un motivo e per l’altro, frequentano questi luoghi“.
Sotto consiglio di uno psicologo del Centro Socio-Lavorativo, satellite del CSM, i fotografi decidono di mettere su un vero e proprio laboratorio di fotografia che, attraverso la conoscenza reciproca e la condivisione, avrebbe dato loro la possibilità di creare solidi rapporti di fiducia, sia con gli utenti sia con i membri dello staff tecnico, prima ancora di realizzare anche un solo scatto.
Dopo circa quattro mesi di incontri, e dopo aver ottenuto il benestare di gran parte dei pazienti e dei professionisti a essi associati, sono stati realizzati i primi scatti e le prime interviste, rispettando la richiesta di anonimato di chi non ha voluto essere coinvolto nel progetto.
“Quest’ultima questione, a nostro avviso, risulta emblematica e assai rappresentativa di quanto affermato più sopra.
In Italia il disagio psichico è un ancora un tabù, portatore di vergogna e frustrazione, un qualcosa che deve essere celato, nascosto alla vista di chi ci sta intorno“.
Espressioni come ‘depressione’, ‘disturbo bipolare’ e ‘schizofrenia’ risultano spesso poco chiare, per poi finire con l’essere fraintese. Ci permettiamo di giudicare ed esprimere opinioni su questioni complesse e delicate senza avere la benché minima idea di cosa si stia parlando.
Ci si limita a etichettare un individuo sulla base di una prima breve impressione, confinandone la visione che si ha di esso al disagio di cui soffre, e che sembra contraddistinguerlo rispetto alla persona cosiddetta ‘normale’: si guarda sempre in superficie, senza mai approfondire la questione.
Per capire nel concreto di cosa stiamo parlando, Nicola. Davide e Rossella ci hanno portato testimonianze, appartenenti al progetto, che noi abbiamo raccolto in gallery. Senza esporre le vere facce dei protagonisti, perché la cosa importante sono le loro parole, non i loro volti.
“Per concludere vi riproponiamo il messaggio che Marisa, una delle persone coinvolte nel progetto, ha voluto lanciare a chi ci segue”, aggiungono i fotografi.
Se conoscete qualcuno che ha un problema mentale non trattatelo come se fosse stupido, perché non lo è. Ha un problema. È una malattia e va curata, affrontata… Superata. Purtroppo per la maggior parte delle volte non è possibile, perché sono problemi che si portano avanti poi per tutta la vita. Quindi, cercate un po’ di capire quando una persona che ha un problema mentale cerca di spiegarvi che cosa vive realmente… Solo questo.
Giulia, due lauree e la paura di non essere accettata
Giulia, dopo aver conseguito due lauree, una in Lettere Moderne e una in Editoria e
Scrittura, e un master in Comunicazione ed Editoria, non è ancora riuscita a realizzare il suo sogno, diventare una giornalista. Ci ha raccontato di sentirsi non accettata, di avere paura che le persone possano criticarla, giudicarla, ‘come se mi perforassero’, di essere stata abbandonata dalla sua stessa famiglia.
Oggi frequenta il Centro Diurno Chesensoha,
… Una struttura dove incontrare altre persone con disagi psichici […], un luogo in cui stare insieme a qualcuno, come fosse una grande famiglia. È un modo per impegnare la mattinata, perché non saprei che fare. Di solito, quando vengo qui, mi porto da leggere e cerco di… Io dico che vegeto, sto così, a pascolare, a vegetare, però poi facciamo delle attività terapeutiche, ricreative, come il club psico-letterario e il cineforum. La mattina, almeno, ho uno scopo: fare qualcosa, trovarmi con altre persone, socializzare, confrontarmi. A volte mi sento avvilita, a volte depressa, diciamo che il mio disagio ha un luogo dove abitare.
Marisa, il disturbo bipolare e le sfide da vincere
Anche Marisa è una lettrice accanita, e ha deciso di sfruttare questa sua passione per sfidare se stessa e conseguire la laurea in Lingue.
Sarebbe la seconda, perché la prima l’ha già acquisita, seppur con molta fatica, proprio a causa della sua malattia.
Studiava a l’Aquila, e dopo il terremoto che colpì l’Abruzzo nel 2009, è stata costretta a tornare in Molise. Oggi ha un appartamento in cui vive grazie a un progetto del Centro di Salute Mentale.
Da quando sono qui non ho avuto crisi, per me è perfetto, e spero di poter usufruire di questa opportunità ancora per un pò di tempo.
Marisa soffre di disturbo bipolare, e le mancano due esami per vincere la sua piccola grande sfida.
Con lei, nello stesso appartamento, c’è anche Valeria.
Valeria, la dignità di pagarsi le bollette da sola
Lei soffre di depressione, e nel 2015 ha avuto un incidente che le ha cambiato la vita per sempre. È stato proprio in quell’occasione che ha contattato il Centro di Salute Mentale.
All’inizio non è stato tutte rose e viole, non c’erano presupposti per cui io potessi recuperare la mia persona, sono stati degli anni particolari, fatti di incontri, sedute e, soprattutto, tante tante pillole: psicofarmaci da far paura. Penso sempre che neanche un tossicodipendente abbia preso ciò che ho preso io. Da allora sono passati quattro anni e io mi ricordo ogni singolo giorno, ogni singola emozione.
Poi alla fine non penso sia stata una forma di depressione, ma proprio una lotta con me stessa. Doveva uscire
qualcosa di buono, la vera persona. Successivamente abbiamo capito che non è stato l’incidente in sé e per sé, ma una sintesi di situazioni della mia vita andate avanti fino ai 37 anni e che hanno complicato tutto il susseguirsi degli eventi.Sono sempre stata aperta, estroversa, però tante situazioni le ho implose dentro, e poi, superata la soglia della tolleranza, sono esplosa. Ringrazio Dio ogni giorno per aver avuto quell’incidente e la storia che ne segue, altrimenti non sarei qui a parlare con voi.
Valeria l’estate passata ha lavorato in un ristorante, sentendosi per la prima volta autonoma e indipendente dopo tanto tempo. Sono state la passione per la cucina e il percorso di cura al CSM a portarla lì. “Il lavoro è libertà”, ci ha detto, “e io vedo Valeria in un monolocale in cui è lei a pagarsi le bollette”.
Piergiorgio, "la salute mentale non è che una piccolissima parte di me"
Piergiorgio ci ha raccontato di come, in un periodo particolare della propria vita, si sia reso conto che il suo disagio psichico avesse preso il sopravvento. Ci si era talmente identificato da relegare la propria personalità all’interno di questa particolare problematica.
Il Centro Socio-Lavorativo è stato in grado, con un grande lavoro, con tanto amore da parte degli psicologi e di tutti gli operatori, di ribaltare la mia prospettiva. Mi ha fatto capire che io non sono le mie problematiche psicologiche, io ho delle problematiche psicologiche, e sono tanto altro.
Sono il Piergiorgio che studia, che scrive, che corre, che va al mare, che ama, che lavora, che sta in famiglia, il Piergiorgio che viaggia. Il CSL mi ha fatto capire che il mio disagio psichico, da grande che pensavo fosse, è in realtà una piccolissima parte di tutta la mia personalità, che è ricchissima, che è vasta come un universo.
Antonio, ha vinto la paura di andare in una clinica per la salute mentale
Antonio, 65 anni, si rilassa dipingendo i propri quadri.
Ogni mio dipinto mi dice qualcosa. Se potessi scegliere un quadro preferito, non saprei, perchè ognuno di essi porta con sè qualcosa che ho dentro di me.
Trasferitosi in Germania, ha frequentato una clinica tedesca per poi tornare nel suo Paese.
Quando mi dissero che dovevo andare in una clinica fui molto spaventato, ne avevo bisogno, perché non potevo vivere in quelle condizioni, e quindi alla fine ci andai. Da quando sono tornato in Italia ho capito cos’è il Centro di Salute Mentale, ho trovato un luogo diverso da come pensavo che fosse. Conosco molte persone che avrebbero bisogno del CSM, ma non ci vengono, forse perché hanno dei pregiudizi. Io a queste persone dico che in questo luogo possono trovare molte cose che potrebbero aiutarle in futuro, e che non devono averne paura.
C'è un altro Antonio, che ha imparato ad aprirsi con gli altri
Con lui c’è un altro Antonio, di trentasette anni più giovane, che con il CSL ha trovato un impiego durato due anni e un luogo in cui poter esprimere la propria personalità, oltre che perseguire un percorso di crescita personale.
Quando sono entrato qui non parlavo quasi con nessuno, a parte i miei famigliari e qualche persona fidata. Avevo creato una corazza, credendo di essere superiore agli altri. Poi ho capito che sarei dovuto crescere e migliorare come persona, non per prevalere sugli altri, ma per stare bene con me stesso.
Filomena, "Certi disturbi sono più difficili da accettare socialmente"
Filomena, dopo essere stata tre anni a Vicenza in un centro per pazienti affetti da disturbi alimentari, è arrivata al Centro Diurno di Termoli.
Da quando ero in comunità mi sono accorta che molte persone hanno paura dell’ignoto e delle malattie mentali, qualunque esse siano, forse perché non conoscono la vera storia della persona. Se andassero oltre oltre la malattia e conoscessero la vera storia della persona penso che la giudicherebbero come viene giudicata normalmente nella società. In comunità noi facevamo dei banchetti dove vendevamo delle robe, e ho notato che quando parlavamo di malattie mentali, in questo caso anoressia e bulimia, accettavano più l’obesità che queste ultime, che non sono altro che un modo della persona per esprimere un proprio disagio.
Appassionata di storia e materie umanistiche, oggi Filomena dedica gran parte del proprio tempo a un’associazione che si occupa di beni culturali ecclesiastici.
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