"A 18 anni sono quasi morta per la pillola anticoncezionale": la storia di Flavia Carlini

La storia di Flavia Carlini, che a 18 anni ha rischiato la vita per la pillola anticoncezionale prescritta senza esami, ci insegna che questo è uno strumento importantissimo per la salute delle donne, ma deve essere assunta solo rispettando regole precise.

La pillola anticoncezionale è uno strumento importantissimo per la salute, riproduttiva e non solo, delle donne, ma non dobbiamo dimenticare un aspetto fondamentale: parliamo comunque di un farmaco, che non può essere assunto in seguito a una “autodiagnosi” o senza approfonditi esami medici.

Le conseguenze se non si rispettano queste semplici ma fondamentali regole possono essere anche molto pericolose, come ha sottolineato l’autrice Flavia Carlini in un post pubblicato sulla sua pagina Instagram, raccontando la sua personale esperienza.

Alla luce di quanto accadutole, abbiamo ritenuto giusto approfondire con lei alcuni aspetti dell’argomento affrontato, soprattutto per far passare il messaggio che non è sua intenzione, né nostra ovviamente, demonizzare la pillola, ma semplicemente ricordare che occorrono alcune semplici precauzioni – quelle menzionate poc’anzi – prima di assumerla.

Nel tuo post scrivi “All’epoca io non lo sapevo che i dolori durante le mestruazioni non vanno sopportati ma approfonditi. Non lo sapevo, perché tutti continuavano a dirmi che soffrire era normale”. In effetti è come se ci fosse una sorta di tabù sulle mestruazioni, basti pensare, solo per fare un esempio, alle pubblicità che per anni ci hanno mostrato il sangue mestruale blu. Perché tanta difficoltà ad aprirsi su un argomento che, in realtà, interessa tutte le donne?

“Il tabù che c’è sulle mestruazioni, e in generale sulla vita intima e sessuale delle donne, è tanto pervasivo quanto lo sono le problematiche femminili che restano taciute. Parlare delle mestruazioni non è una cosa che viene accettata socialmente. La società si scherma dietro il cosiddetto pudore e così il sangue mestruale in tv diventa blu, per chiedere un assorbente lo devo sussurrare, le mestruazioni non le posso chiamare mestruazioni ma le devo chiamare ‘le mie cose’, ‘quei giorni’ oppure nella migliore delle ipotesi ‘ciclo’.

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Una volta, quando ero in classe, un insegnante mi disse di muovermi con più riservatezza quando chiedevo un assorbente e poi me lo portavo in bagno, perché queste sono cose ‘da signorina’. Questo che cosa significa? Che questo pudore ha fatto sì che si gettasse un velo di invisibilità anche sulla salute femminile.
Capita che le donne parlino, con altre donne, delle proprie mestruazioni. Che dicano che soffrono di mestruazioni dolorose, ad esempio. Ma la risposta, molto spesso, è che soffrire è normale. Mia madre mi ha cresciuta dicendomi che anche lei sveniva in bagno durante le mestruazioni. Questa non è colpa di mia madre, è colpa di una società che ci ha allevate a farci piccole e poco rumorose, a non parlare di tutto ciò che concerne la nostra intimità perché ‘privato’. E in quanto privato, dobbiamo, letteralmente, piangercela noi.

Il fatto che non si parli della sfera femminile ha anche portato a dei bias nella medicina. Così come i bias nella medicina hanno portato al fatto che non si parli di salute femminile. È un cane che si morde la coda. Le ricerche che coinvolgono corpi femminili nella storia della scienza sono in netta minoranza. Negli ospedali, così come nelle cliniche private, così come la maggior parte delle volte che le pazienti hanno a che fare con la sfera medica, succede che i sintomi femminili vengano sminuiti, etichettati come psicologici o psicosomatici e non vengono approfonditi. Nemmeno dal punto di vista psicologico per altro, casomai si trattasse di quello.

Io ho passato la vita a girare cliniche e specialisti/e per colpa dei miei dolori mestruali e mi è sempre stato risposto che era normale. Di rilassarmi, di bere un po’ di vino, di non pensarci, di dormire di più. A me, come a mia madre, come ad altre milioni di donne. Donne che però non hanno bisogno di dormire di più ma hanno bisogno che dei loro problemi si parli, che i dolori disagi fisici vengano approfonditi.
Nel mio caso, se questo fosse stato fatto, avrei scoperto di avere l’endometriosi e l’adenomiosi e che quindi soffrire no, non è normale. E se se ne parlasse, mi sarei risparmiata 11 anni di ritardo diagnostico e decine di accuse di ipocondria”.

Come hai scoperto di avere un problema con la pillola anticoncezionale? E dopo quanto, e come, sei riuscita venirne fuori?

La ginecologa mi prescrisse la pillola per far fronte ai dolori mestruali senza prima accertarsi delle mie analisi del sangue. Ho assunto la pillola per circa tre mesi. Una mattina mi sono svegliata e avevo una gamba enorme e viola e non riuscivo a camminare. Avevo preso uno strappo poco prima quindi pensavo fosse quello. Sono andata in pronto soccorso e si sono accorti che avevo una trombosi venosa profonda in corso.
È qualcosa per cui si muore. Sono stata ricoverata in un altro ospedale per alcuni giorni, non riesco onestamente nemmeno a ricordare quanti perché per me rappresentano una vita e molti ricordi di ricovero li ho rimossi per il trauma. Ricordo discorsi molto angoscianti dei medici e della mia famiglia su quale potesse essere l’epilogo di questa storia. Il trombo ci ha messo settimane prima di iniziare, lentamente, a scoagulare.
Sono stati mesi infernali per me e la mia famiglia. Ho assunto anticoagulanti per anni e per anni ho dovuto portare una calza elastica che mi comprimeva la gamba fino a farmi venire le vesciche che poi mi scoppiavano piene di sangue. Gli anticoagulanti mi facevano perdere i capelli. Da quella trombosi nello specifico ci ho messo anni a venirne fuori, dal trauma di essere quasi morta a 18 anni ancora non riesco ad uscirne”.

Perché, nel tuo caso, non erano state ritenute necessarie le analisi?

“Le linee guida sull’argomento ritengono che le analisi del sangue per vedere la predisposizione alla trombofilia non siano necessarie perché si ritiene che i casi di trombosi siano rari. Soprattutto nei giovani. 
Quindi io ho ricevuto una prescrizione di pillola senza che prima venisse verificato se potessi assumerla. Il problema è che c’è timore nell’affermare che linee guida vadano aggiornate, c’è un’enorme resistenza nell’affermare che le linee guida della medicina sono qualcosa che deve essere rivisto periodicamente. È la scienza che deve adattarsi alla vita, non il contrario. I casi di trombosi causa pillola non sono affatto rari, io ho conosciuto e parlato con decine e decine di ragazze che mi hanno raccontato la propria esperienza di trombosi, ictus, cose gravissime, che sarebbe stato possibile prevenire ed evitare con le dovute analisi.

La medicina ha bisogno di evolversi, di tutelare le persone. D’altronde i rischi di trombosi sono più che noti e non a caso tantissimi ginecologi e ginecologhe non prescrivono la pillola senza prima avere le analisi delle pazienti. Perché il rischio c’è, ed è concreto. Si muore per queste cose“.

La pillola anticoncezionale è uno strumento importantissimo che le donne hanno a disposizione, non solo per il controllo delle nascite, ma anche per regolarizzare il proprio ciclo mestruale. Però dobbiamo ribadirlo: come ogni altro farmaco, non si può prendere senza il consenso di un medico.

“La pillola è assolutamente uno strumento importantissimo da non demonizzare ma come dico sempre, non è una caramella. Non basta il confronto con l’amica che la prende per decidere di prenderla. Non è un fidanzato che può impuntarsi per farcela assumere. La pillola anticoncezionale è un farmaco ed è un farmaco anche molto pericoloso se non assunto con il dovuto criterio e con qualcuno che si premura di seguire la paziente durante il percorso. Mi piacerebbe dire che basta il consulto di uno o una specialista per poter assumere la pillola in totale tranquillità, ma il mio caso, così come tanti altri che ho ascoltato, dimostrano che non è così. Credo che siamo ancora nella fase in cui in certi casi qualcosa deve partire dal paziente.

Le famose linee guida non sono d’accordo con quello che sto dicendo, così come non lo sono tutti i medici e le mediche che in questi giorni mi si sono scagliati contro trincerati dietro le linee guida, ma se io avessi fatto le famose analisi non obbligatorie, quel giorno, probabilmente non staremmo qui a scrivere di questo caso tra migliaia di altri casi. Non credo che alcune vite possano essere considerate ‘danni collaterali della statistica’, credo quindi che, così come per endometriosi e vulvodinia adesso la palla è nelle nostre mani che andiamo in prima linea alla ricerca di una diagnosi, così nel caso della pillola ci vuole una dose di attenzione in più, per tutelare noi stesse, in quei luoghi in cui ancora non abbiamo tutte le tutele che ci spettano.

Non smetterò mai di ripetere che è la scienza che deve adattarsi alla vita e non il contrario. Non sono colpe che do ai medici o alle mediche, ma colpe che do al sistema. Siamo un livello più su: le linee guida devono essere aggiornate. E tutelarci. In tutte le possibili implicazioni“.

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