Un suono, un odore, una conversazione possono risvegliare all’improvviso un senso di disagio, paura e spaesamento. Sembrerebbe non esserci motivi per una reazione del genere a situazioni anche quotidiane del tutto normali, eppure si è immediatamente catapultati indietro nel tempo, a quella violenza, a quell’abuso, a quel trauma. Questa dinamica prende il nome di effetto trigger.

Trigger: cosa significa?

La parola inglese trigger significa grilletto e in psicologia viene utilizzata per indicare quel fattore che scatena il disagio interiore nell’individuo, facendolo piombare nel trauma vissuto in passato. Così propri come se fosse parte del congegno di scatto di un’arma da fuoco, il trigger fa esplodere un colpo nella psiche della persona, la quale manifesta una reazione apparentemente sproporzionata, senza una motivazione apparentemente oggettiva e reale, soprattutto agli occhi esterni di chi non è a conoscenza del suo vissuto. Il trigger è quindi spesso connesso ad un disturbo da stress post-traumatico.

Nello specifico i trigger sono dei fattori scatenanti il flashback traumatico e possono essere di natura sensoriale, come un particolare odore o suono, oppure situazionali e ambientali, che riportano alla memoria l’evento scioccante. Pertanto le forti sensazioni di malessere e di disagio (come paura, panico o sconquasso emotivo) che ne conseguono possono essere del tutto inaspettate e imprevedibili, soprattutto in chi ha messo in atto dei meccanismi di difesa inconsapevolmente per cercare di rimuovere dalla propria memoria quel determinato ricordo.

L’esatto funzionamento del cervello alla base delle cause dei trigger non è del tutto chiaro anche se esistono diverse teorie sul loro funzionamento: quando ci si trova in una situazione di pericolo viene messa in atto una risposta di lotta o fuga. L’organismo entra in stato di massima allerta, dando priorità a tutte le sue risorse per reagire alla situazione.

Le funzioni non necessarie per la sopravvivenza, come la digestione e la memoria a breve termine, vengono messe in standby, così quando la persona non memorizza correttamente l’evento traumatico come passato, succede che lo percepisca come ancora presente, così corpo e psiche agiscono come se l’evento si stesse ripetendo, riattivando la modalità di difesa.

Cos’è l’effetto trigger in psicologia?

La dottoressa Maria Leoni, psicologa e psicoterapeuta, in un suo articolo sull’argomento ne dà una definizione esaustiva:

L’effetto trigger […] è un evento che scatena l’associazione di ricordi facendo rivivere il trauma a livello fisico e psichico, un “promemoria” che può portare ad ansia, attacchi di panico e altre emozioni associate. Il classico esempio a tal proposito è l’attacco di panico, un evento angosciante e coinvolgente che prende “a sorpresa” il soggetto, con una tale forza da paralizzarlo, se pur momentaneamente.

In psicologia l’effetto trigger è quel fenomeno in grado di destabilizzare completamente lo stato emotivo della persona causando angoscia, senso di sopraffazione e un’estraneazione momentanea dal presente. Nello specifico l’effetto trigger è legato ad eventi traumatici come:

  • stupro;
  • conflitto militare;
  • aggressione fisica;
  • abuso emotivo;
  • lutto.

Ma sia che si tratti di un unico evento o di una serie di eventi traumatici, l’effetto trigger colpisce ogni persona in modo diverso; infatti un medesimo evento può provocare reazioni completamente diverse in due persone che l’hanno vissuto, come rilevato da un studio che, tra i vari aspetti del trauma, ha trattato anche gli impatti emotivi.

A influire sulle risposte al trigger infatti ci sarebbero diversi fattori come i tratti della personalità uniti alla storia socioculturale dell’individuo, le caratteristiche specifiche dell’evento in questione, il significato attribuito ad esso dall’individuo e lo stadio del suo sviluppo emotivo al tempo del trauma.

Come evidenza la dottoressa Claudia Black, un altro aspetto connesso all’effetto trigger è quello della ricaduta in comportamenti dannosi e autolesionistici. Il trigger infatti, può risvegliare nel soggetto ricordi, comportamenti, pensieri e situazioni specifiche che possono metterne a rischio il processo di guarigione:

Sono segnali che si sta entrando in una fase che avvicina a una ricaduta. Il processo è simile a quello di una montagna russa che si ripete su se stessa. Una volta che la macchina delle montagne russe arriva a un certo punto del percorso, viene raggiunta una soglia, non si può più tornare indietro e inizia il ciclo discendente: una ricaduta.

Con la dipendenza da droghe, alcol o di altre sostanze ad esempio, il centro di ricompensa del cervello prende il sopravvento sulla parte cognitiva e razionale del pensiero che viene sostanzialmente dirottata.

Come riconoscere ed evitare l’effetto trigger

Un fattore scatenante può provocare una reazione emotiva prima che ci si renda conto del motivo per cui ci si sente turbati. Spesso i fattori scatenanti l’effetto trigger sono caratterizzati da un forte legame sensoriale o connessi in qualche modo a un’abitudine profondamente radicata.

Ma come riconoscere i segnali dell’effetto trigger? Prima di tutto è necessario fare una distinzione tra innesco interno ed esterno. Il trigger interno si palesa sotto forma di un ricordo, un’emozione o una sensazione fisica che parte dall’interno dell’individuo. Ad esempio se durante l’attività fisica il battito cardiaco aumenta particolarmente, questa sensazione di affanno potrebbe portare alla mente il ricordo di quella volte che si è scappati dal partner violento.

Altri segnali interni comuni sono:

  • rabbia;
  • ansia;
  • vulnerabilità e perdita di controllo;
  • solitudine;
  • tensione muscolare;
  • tristezza.

I fattori scatenanti esterni invece, provengono dall’ambiente in cui ci si trova e possono essere una persona, un luogo o una situazione specifica. Chi ha vissuto un trauma pregresso potrebbe essere triggerato da situazioni che agli occhi di una persona con un vissuto sereno sembrerebbero del tutto normali, ad esempio potrebbero risultare fonte di malessere:

  • un film, un programma televisivo o un articolo di cronaca che ricorda l’esperienza traumatica vissuta;
  • una persona collegata a quell’evento;
  • un litigio con un amico, un coniuge o un partner;
  • un momento specifico della giornata;
  • alcuni suoni;
  • cambiamenti nelle relazioni;
  • date significative come festività o anniversari;
  • un luogo specifico;
  • odori o profumi che rimandano all’evento traumatico.

In entrambi i casi l’effetto trigger porta le sue conseguenze sia sul piano fisico che psicologico: aumento della sudorazione e del battito cardiaco, sensazione di affanno o difficoltà respiratoria fino a dei veri e propri attacchi di panico accompagnati da spaesamento, senso di confusione e perdita momentanea della connessione con la realtà.

Prepararsi per affrontare nel modo migliore possibile queste sensazioni consente di mettere prontamente in atto le strategie per modificare il proprio stato emotivo e riprendere il controllo.

Imparare a gestire i fattori scatenanti che non si possono anticipare o evitare richiede un’elaborazione emotiva, che il più delle volte è favorita dalla terapia. Di seguito sono elencate alcune strategie per ridurre l’impatto dei fattori scatenanti:

  • Fare appello al proprio sostegno sociale: appoggiarsi alla propria rete di relazioni condividendo i proprio pensieri ed emozioni, soprattutto nei momenti di stress causati dal trigger, è provato che migliori il benessere mentale. Si tratta di un aiuto prezioso che fa sentire la persona meno sola nel suo disagio;
  • Respirare profondamente: diventando consapevoli della propria respirazione e regolandone la profondità e la frequenza, si riduce la probabilità di sfociare in un attacco di panico o di ansia;
  • Praticare attività fisica: allenarsi costituisce una valida opzione terapeutica per il trattamento dell’ansia e delle conseguenze dell’effetto trigger. I regimi di esercizio ad alta intensità sono risultati più efficaci di quelli a bassa intensità, come rilevato da uno studio sull’argomento;
  • Tenere un diario: mettere nero su bianco i propri pensieri e le proprie emozioni ha un effetto terapeutico. Uno studio condotto su 70 soggetti sottoposti al PAJ (Positive Affect Journaling, un intervento di autoregolazione focalizzato sulle emozioni) ha evidenziato un aumento del benessere mentale e una riduzione del disagio personale;
  • Meditare: praticare la meditazione in modo continuativo porta numerosi benefici in grado di contrastare l’effetto trigger, concilia il sonno, aiuta a contrastare lo stress e migliora la capacità cardiovascolare. Nello specifico è consigliata la Mindfulness-based stress reduction (MBSR).

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