Una donna ha tutto il diritto di diventare sterile: accettatelo
Perché nel nostro Paese è così difficile accedere alle pratiche di salpingectomia e sterilizzazione e perché è così difficile decidere sui nostri corpi.
Perché nel nostro Paese è così difficile accedere alle pratiche di salpingectomia e sterilizzazione e perché è così difficile decidere sui nostri corpi.
Nel nostro Paese, tutto quello che investe la riproduzione e le scelte autodeterminative sul nostro corpo, sembra non appartenerci mai del tutto. Fateci caso, la gestione della gravidanza e del parto, per non parlare di quella dei nostri aborti, è costantemente sottoposta a revisione e controllo.
“Non puoi abortire”, “non puoi richiedere l’epidurale”, “non puoi scegliere tu la posizione in cui partorire”, “non puoi avere il farmacologico”. No, no, no, no, no, no e ancora no.
Come se il corpo non fosse il nostro, come le scelte non ci appartenessero, come se chi detiene il potere (che sia medico, legislativo, sociale), fosse padrone unico delle pratiche che sul nostro corpo, ridotto a manichino, si estrinsecano senza alcuna forma di compartecipazione.
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma quando parliamo di “diritti riproduttivi”, parliamo anche di tutte quelle pratiche, temporanee o permanenti, volte a impedire la riproduzione stessa.
Sì, perché ci sono persone che sono consapevoli di non voler diventare genitori, e nonostante questo sia intollerabile per molti, soprattutto se parliamo di donne cisgender (identificate, dunque, con il proprio sesso biologico), è una volontà che va rispettata, ma soprattutto non ostacolata.
Parliamo di salpingectomia come una procedura chirurgica finalizzata alla rimozione di una o di entrambe le tube di Falloppio. Molto spesso questa pratica è associabile alla rimozione delle ovaie, ovariectomia, o alla rimozione dell’utero, isterectomia.
L’intervento, che può essere di natura terapeutica, dunque preventiva, o contraccettiva permanente, viene effettuato in regime ospedaliero in anestesia generale.
Immaginate che prima del 1978 la sterilizzazione costituiva, addirittura, un reato.
In particolare, l’articolo 552 del codice penale puniva sia l’autore di “atti diretti a rendere il soggetto impotente alla procreazione”, che il consenziente “al compimento di tali atti sulla propria persona”.
Con l’avvento della legge 194/78, la stessa legge che ha introdotto nel nostro ordinamento legislativo il diritto d’aborto, si è definita in maniera più chiara anche la possibilità che la maternità non fosse un destino obbligato.
Leggiamo infatti all’articolo 1 della legge 194, proprio nell’incipit: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”.
La coscienza e la responsabilità rispondono inevitabilmente alla volontà, dunque anche alla possibilità di scegliere in maniera definitiva di non procreare. La Cassazione, con la sentenza n. 438/87 ha affermato che la sterilizzazione non costituisce in alcun modo un reato laddove venga prestato il consenso della persona.
In linea di massima, dunque, il Sistema Sanitario Nazionale riconosce la possibilità di veder garantita questa eventualità come un diritto. Purtroppo, come sempre accade, non tutto quello che dovrebbe riguardare il campo dei diritti viene assunto come tale, come già detto all’inizio, ma diventa addirittura suscettibile di modiche e manipolazioni.
In particolare, nonostante l’obiezione di coscienza, nei fatti, riguardi la prosecuzione o meno dell’evoluzione embrionale di una gravidanza in essere, non si comprende come sia possibile operare questo tipo di obiezione addirittura precedentemente alla gravidanza stessa.
Il motivo a cui ci si appella, in molti casi, è il rifiuto di svolgere un’azione irreversibile, non legata a motivazioni squisitamente organiche o preventive, che impedirebbero la gravidanza.
Su questo punto, purtroppo, come per molti aspetti della stessa legge 194/78, c’è una indefinitezza che non permette di individuare punti evidenti, procedure condivise e protocolli chiari.
Come si osserva dal lavoro di Obiezione Respinta, molte donne hanno condiviso la propria esperienza di rifiuto e impedimento rispetto all’applicazione di un diritto, e dunque della propria volontà.
Chiediamo, per questo come per altre pratiche, che venga assunta una posizione chiara e definitiva, ma che finalmente vengano rispettate le nostre volontà e la possibilità di poter decidere del nostro corpo e delle nostre scelte riproduttive.
Basta decidere dei nostri corpi, dei nostri desideri o delle nostre scelte.
Psicologa, femminista intersezionale, creatrice del progetto "Ivg, ho abortito e sto benissimo".
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