Burnout da smart working, se il lavoro da casa diventa un "never-ending working"
Burnout da smart working? È un rischio tutt'altro che campato in aria. Ecco come prevenirlo o contrastarlo.
Burnout da smart working? È un rischio tutt'altro che campato in aria. Ecco come prevenirlo o contrastarlo.
A prima vista il “telelavoro” sembrerebbe avere solo lati positivi: significa infatti lavorare nel proprio ambiente domestico, potendosi occupare anche di quelle piccole faccende che generalmente dobbiamo rimandare visto che per gran parte del tempo siamo impegnati fuori casa, senza essere costretti a usare un dress code preciso e, spesso, avendo anche orari flessibili.
Ma non è così.
Lo smart working porta con sé diverse problematiche, che possono incidere in maniera negativa sulla vita delle persone. Uno dei rischi, ad esempio, è quello di burnout.
Uno dei problemi dello smart working è quello del presentismo, di cui abbiamo parlato in un recente articolo. Ma legato a questo c’è anche il rischio di burnout, ovvero di sovraccarico.
Il termine, tradotto in italiano, significa letteralmente “bruciato” o “esaurito”; è stato usato per la prima volta negli anni ’70, come si legge su Gruppo San Donato, in riferimento alle helping professions, ovvero le professioni di aiuto, quindi tutti quei lavori sanitari o di assistenza deputati alla pubblica sicurezza e alla gestione delle emergenze, come infermieri, medici, vigili del fuoco, educatori ed educatrici, insegnanti.
Queste figure, per la loro stessa natura, sono identificate come facilmente esposte a stati di sofferenza; nel tempo, però, il concetto di burnout si è esteso anche a quegli ambiti lavorativi in cui ci sono molte tensioni e stati di pressione, tanto che oggi l’Oms la riconosce, dal 2019, come “sindrome”, caratterizzata da stress cronico mal gestito.
Dunque se il burnout in condizioni “normali” è legato a una persistente condizione di squilibrio tra le richieste professionali e le risorse disponibili, nel caso dello smart working le cause dello stress sono diverse.
Nel caso dello smart working, il burnout è dato principalmente da due fattori:
In sostanza, ciò che può condurre al burnout è l’assenza di limiti ben definiti, che invece sono presenti in una situazione in cui si esce di casa per andare al lavoro; insomma, è l’incapacità di preservare i propri spazi extra lavorativi a determinare il burnout.
In effetti, dati alla mano, la realtà sembra rispecchiare proprio questa situazione: una giornata lavorativa in smart working dura in media da 1 a 3 ore in più; è aumentato il numero delle riunioni, in modalità virtuale, e si è diventati reperibili anche oltre l’orario di ufficio, quando si risponde al telefono o a mail. Questo ha portato il 69% dei lavoratori (2 su 3) a soffrire di burnout, con un incremento del 20% in più rispetto al periodo precedente il lockdown.
Si può prevenire il burnout anche in una situazione in cui potenzialmente siamo costantemente immersi nel nostro ambiente lavorativo? In realtà sì, attraverso alcuni comportamenti che sono comunque sempre validi.
Per non farsi trascinare nel vortice del presentismo a tutti i costi e rischiare il burnout è importante definire delle strategie personali, ad esempio:
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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