“Non è solo nella mia testa, non è esagerazione”: 6 storie di burnout

“Non è solo nella mia testa, non è esagerazione”: 6 storie di burnout
Fonte: web
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A quasi tutti, almeno una volta nella vita, sarà capitato di pensare di essere stressati a causa dei numerosi impegni di lavoro, dei ritmi frenetici da seguire e dei tanti obblighi da portare a termine.

Ma quando lo stato mentale di sopraffazione diventa patologico, allora si parla di burnout, ovvero di stress da lavoro. Che, da quest’anno, è stato ufficialmente inserito dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), nell’elenco dei disturbi medici, costantemente aggiornato.

Non parliamo di una malattia vera e propria, quanto, come si legge su Repubblica, di un “problema associato alla professione”, i cui sintomi sono spossatezza sul luogo di lavoro, cinismo, isolamento e, in generale, sentimenti negativi, uniti a un’efficacia professionale ridotta”, e che dà come risultato una “sindrome che porta a stress cronico impossibile da curare con successo”.

Dopo decenni di studi – il primo ad occuparsi del burnout fu lo psicologo Herbert Freudenberger nel 1974 – l’Oms ha dunque deciso di considerarlo come un disturbo invalidante, fornendo al contempo ai medici le direttive per diagnosticarlo.

Sempre secondo la classificazione, il burnout si riferisce esclusivamente ai fenomeni nel contesto occupazionale, mentre non trova applicazione in altri ambiti della vita.

Il nuovo elenco, Icd-11 entrerà in vigore nel gennaio 2022 e conterrà molte altre aggiunte, inclusa la classificazione del “comportamento sessuale compulsivo” come disturbo mentale, o l’inserimento dei videogiochi fra i “disturbi da dipendenza”, insieme al gioco d’azzardo e alle droghe come la cocaina.

Un altro grande passo in avanti è stato fatto con la condizione dei transgender, spostata dalla lista dei disturbi mentali a quelle delle “condizioni relative alla salute sessuale“.

Cos’è la sindrome da burnout

Con questo termine ci riferiamo a un processo stressogeno di carattere patologico che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti impegnati ripetutamente in attività che presuppongono relazioni interpersonali.

Il burnout, come si legge su Wikipedia, comporta “esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi”.

Molto spesso il burnout è accompagnato da un deterioramento del benessere fisico, o da sintomi psicosomatici come l’insonnia, o psicologici, come la depressione.

Da qui il disagio può estendersi fino all’abuso di alcol, di sostanze psicoattive e persino al rischio di suicidio.

Per misurare il burnout ci sono diverse scale, ma la più importante è senz’altro la scala di Maslach, che si compone di un questionario da 22 domande con cui si cerca di stabilire se nell’individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burnout. Il soggetto deve rispondere a ogni domanda inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità e frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte nella domanda stessa.

Ci sono professioni più a rischio burnout, in particolare esso sembra piuttosto elevato tra  gli operatori sanitari – medici e infermieri – insegnanti e poliziotti.

Proprio negli operatori sanitari, la sindrome si manifesterebbe attraverso quattro fasi:

  • Fase dell'”entusiasmo idealistico” che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
  • Fase della “stagnazione” in cui il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative siano diverse rispetto alla realtà lavorativa.
  • Fase della “frustrazione”, in cui si cominciano ad avvertire sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, insieme alla percezione di essere sfruttato e poco apprezzato; in questa fase il soggetto cerca occasioni di fuga dall’ambiente lavorativo, e può avere tteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
  • Fase dell “apatia”, in cui l’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all’empatia subentra l’indifferenza, fino alla “morte professionale”.

Ora che è stato inserito nell’elenco dei disturbi dall’Oms, è importante sensibilizzare e fare informazione sull’argomento. Per questo, abbiamo raccolto in gallery 6 storie di vittime di burnout.