“La memoria non è altro che assuefazione”, scriveva Leopardi nello Zibaldone. Ben oltre un secolo dopo, una studiosa contribuì a dare una spiegazione forse meno poetica, ma sicuramente rivoluzionaria, alla formazione dei ricordi nel cervello e in generale alle diverse funzioni cognitive. Brenda Milner, ricercatrice ultracentenaria e oggi considerata una pioniera nel campo della neuropsicologia, negli Anni Cinquanta iniziò a esaminare il caso di un paziente affetto da frequenti episodi attacchi di convulsioni, seguiti da perdita della memoria.

E proprio analizzando questo caso, giunse all’identificazione di diversi tipi di sistemi legati alla memoria, dimostrando come il lobo temporale mediale, l’ippocampo e le strutture a esso collegate svolgano un ruolo fondamentale.

Nata il 15 luglio del 1918 a Manchester, in Inghilterra, Brenda Milner sembrava essere destinata a una carriera artistica. Intervistata tempo dal McGill Journal of Medicine, ha raccontato come tutta la sua brillante carriera sia infatti partita da una “delusione” data ai genitori.

Entrambi i miei genitori erano musicisti. Mio padre era un critico musicale e pianista, e ha incontrato mia madre quando lei cominciò a prendere lezioni di canto da lui. Diversamente dai miei genitori, ben presto fu chiaro come non fossi affatto portata per la musica. Da giovane ero comunque abbastanza interessata alla letteratura, e questo fu per loro una consolazione. Essendo sempre stata brava con le lingue, mi venne consigliato di iscrivermi in una facoltà umanistica a Oxford. Ma io amavo la matematica e la fisica, così decisi di fare matematica, nonostante tutti mi dicessero che ero pazza, e mi diedero una borsa di studio per Cambridge. Era il 1936, molto prima della Seconda Guerra Mondiale.

Durante il primo anno di università, Brenda comprese però che non sarebbe mai diventata una grande matematica. Si lasciò tentare dall’idea di studiare filosofia, perché le avrebbe comunque permesso di mantenere la componente di logica nello studio. La prospettiva di non potersi poi mantenere con una laurea in quel campo le fece cambiare idea, spingendola verso la facoltà di psicologia. A quei tempi non si trattava di una materia molto popolare in Inghilterra, diversamente da quanto stava accadendo negli Stati Uniti. Dopo mesi di riflessione, ebbe la certezza: era quella la sua strada.

Fu uno shock per mia madre, che aveva sempre sperato di vedermi seguire un’inclinazione artistica, che l’avrebbe resa più partecipe. Si era messa il cuore in pace con matematica a Cambridge, perché le sembrava una buona cosa. Ma quando rinunciai per iscrivermi a psicologia, le spezzai il cuore.

Nonostante ciò, gli studi in psicologia procedettero bene, confermando che si era trattata di una buona intuizione. Allo scoppio della guerra tutti i ricercatori di Cambridge furono invitati a lavorare per l’Air Force e proprio in quegli anni lei conobbe il suo futuro marito, Peter Milner, un ingegnere elettrico.

Due anni dopo, nel 1944, lui le comunicò l’intenzione di lasciare il paese per andare con un gruppo di fisici a Montreal, dove intendevano iniziare le ricerche sull’energia nucleare. Lei lo seguì, ma non aveva di certo intenzione di vivere come una brava casalinga, curando le faccende domestiche: iniziò così a lavorare per la prestigiosa University of Montreal, dove per alcuni anni insegnò psicologia animale.

Per lavorare in ambito accademico, tuttavia, Brenda Milner si rese conto di dover ottenere un dottorato: dopo aver conosciuto un professore della McGill University di nome Donald Hebb, che l’aveva colpita con le sue teorie sperimentali, decise di proseguire con lui il percorso di studi. Per persuaderlo, però, dovette dimostrare di non essere il tipo di donna che rinunciava alla sua carriera per stare accanto al marito. Fu proprio Hebb a chiederle di studiare da vicino alcuni pazienti epilettici in cura presso l’Istituto Neurologico di Montreal, e lei non si tirò indietro.

Ottenuto il PhD nel 1952, Brenda Milner continuò a studiare i disturbi della memoria causati da lesioni degli emisferi celebrali, che aveva avuto modo di affrontare durante il dottorato. Due anni dopo, la invitarono a Hartford a studiare il caso di H.M., che cambiò per sempre la sua carriera e la sua vita.

Il paziente era stato investito da una bicicletta a nove anni, nel 1935, e aveva sbattuto la testa. Per vent’anni aveva sofferto di gravi episodi convulsivi, a cui seguivano svenimenti. Rimasto senza lavoro e senza la possibilità di condurre una vita normale, aveva deciso di sottoporsi a metodi sperimentali per risolvere il suo problema, fino alla rimozione chirurgica di parte della corteccia temporale anterolaterale. Questo aveva però causato una forma di amnesia anterograda, che gli impediva di accumulare nuovi ricordi.

Chiamata a fare ricerche su H.M., che in realtà si chiamava Henry Molaison, Brenda Milner si accorse che a ogni visita con l’uomo non la riconosceva, perché il suo cervello non era in grado di creare nuovi ricordi. Giunse quindi alla formulazione di una teoria che prevedeva l’esistenza di diversi tipi di memoria, tra cui l’esplicita e l’implicita, la prima legata a ricordi dell’infanzia e la seconda a ricordi inconsci, come ad esempio la capacità di andare in bici o guidare. A non funzionare in H.M. era proprio la memoria esplicita, per via della parziale rimozione del lobo temporale, mentre le performance dell’implicita erano addirittura migliorate.

La scoperta eccezionale di Milner fece da apripista agli studi successivi di neuropsicologia, soprattutto relativi al ruolo dell’ippocampo e delle strutture collegate sulle patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer. Come il suo paziente, chi è affetto da demenza non è in grado di formare ricordi nuovi, mentre conserva quelli passati. Data l’importanza del suo caso, in seguito alla morte di H.M. nel 2008, il suo cervello è stato conservato grazie alla formaldeide e analizzato per altri studi.

Brenda, invece, a più di cento anni e con una ventina di prestigiosi riconoscimenti in ambito medico continua a lavorare presso l’Istituto Neurologico di Montreal, sempre con la stessa curiosità e passione.

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