A tutti è capitato di cedere all’autocommiserazione: “Non sono abbastanza bella”, “Capitano sempre tutte a me…”, “Non riuscirò mai ad avere successo in quello che faccio”, questi e tanti altri pensieri si alternano nella mente di chi si sente bloccato in un labirinto dal quale sembra impossibile uscire.

Questo atteggiamento negativo, mosso da una tendenza al vittimismo, può essere superato.

Cosa significa autocommiserazione?

L’autocommiserazione è un termine usato per descrivere uno stato emotivo in cui un individuo tende a sentirsi costantemente vittima delle circostanze, focalizzando l’attenzione sui propri problemi e sulle situazioni negative. In questo stato, l’individuo si immerge in un senso di dispiacere e pena per sé stesso, tendendo a esagerare la portata e l’impatto delle proprie difficoltà o sfortune. La continua ricerca di simpatia e conforto può diventare paralizzante, ostacolando l’abilità di vedere le possibilità di cambiamento, anche in positivo, della propria situazione.

L’autocommiserazione può diventare un ostacolo per la crescita personale e il benessere emotivo poiché può alimentare un senso di impotenza e una prospettiva negativa sulla vita.

Come spiega Wayne Pernell, psicologo clinico, ci sono alcuni fattori che possono innescarla:

Quando non otteniamo ciò che vogliamo o sentiamo di non essere stati adeguatamente riconosciuti per il lavoro svolto, non è raro che ci ritiriamo in uno stato di autocommiserazione.

L’autocommiserazione è un meccanismo attuato dalla persona la cui visione distorta può avere concrete ripercussioni: pensare che niente vada per il verso giusto fa sì che non abbia alcun senso cercare di contrastare questa negatività facendo qualcosa di concreto per risolvere i problemi.

Ad alimentare l’autocommiserazione è il bisogno di convalida, ovvero quando, nel bene o nel male, si ritiene di meritare l’esito degli eventi. Quando accade qualcosa di negativo si può pensare che sia perché si è fatto qualcosa che giustifica l’esito spiacevole degli eventi. Questa autovalutazione negativa può essere rafforzata dalle reazioni di solidarietà di chi ci circonda, creando una convalida esterna, come afferma la psicoterapeuta Rebecca Mores:

L’autocommiserazione è una forma di convalida esterna del fatto che ci è successo qualcosa di brutto o che la nostra circostanza è fuori dal nostro controllo. […] La convalida avviene quando una persona riceve attenzione dagli altri, rafforzando un modo per ottenere attenzione.

Alcuni esempi di autocommiserazione

L’autocommiserazione può essere categorizzata in base a cause e comportamenti specifici. L’autocommiserazione relativa ai fallimenti personali, come nel caso di un individuo che non riesce a superare un esame dopo vari tentativi, può ritrovarsi a pensare: “Non sono mai stato abbastanza intelligente, non ce la farò mai”.

L’autocommiserazione dovuta alla comparazione sociale, vede ad esempio una donna che si confronta costantemente con le altre pensare: “Non sarò mai bella come lei, non avrò mai successo”. Infine, esiste l’autocommiserazione legata alle difficoltà della vita, come qualcuno che ha perso il lavoro e si lamenta continuamente: “Sono sfortunato, niente va mai come dovrebbe per me”.

Queste tipologie non sono rigidamente identificabili, bensì si sovrappongono spesso tra loro, ma aiutano a inquadrare le diverse sfumature di autocommiserazione.

Perché autocommiserarsi non serve a niente

L’autocommiserazione può sembrare un modo per mitigare il dolore o cercare conforto, ma in realtà è una strategia controproduttiva che impedisce lo sviluppo personale e la risoluzione dei problemi.

Innanzitutto l’autocommiserazione tende a perpetuare uno stato di negatività, facendo sì che la persona si concentri esclusivamente su quello che non va nella propria vita, trascurando le potenziali opportunità o le risorse che avrebbe a disposizione. Questo atteggiamento può alimentare un senso di impotenza, di pessimismo, che può ostacolare l’azione e la motivazione verso il cambiamento.

Inoltre, l’autocommiserazione può portare a un isolamento sociale, in quanto tende a far sentire gli altri a disagio o a stancarli, compromettendo così il supporto da parte degli altri, che è un fattore fondamentale per affrontare le sfide della vita.

Infine, l’autocommiserazione impedisce di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e delle proprie scelte, impedendo un apprendimento genuino dei propri errori  e quindi inibendo la conseguente opportunità di crescita personale.

5 alternative all’autocommiserazione

Constatato che l’autocommiserazione non porta da nessuna parte, in che modo è possibile modificare questo atteggiamento per far fronte in modo produttivo alle negatività della vita? Ecco 5 consigli:

1. Praticare l’autocompassione

Avere autocompassione significa accettare che a volte esperienze negativa accadano, evitando di cadere nel: “Perché queste cose succedono sempre a me?”. Una ricerca intitolata Self-Compassion: Conceptualizations, Correlates, & Interventions suggerisce che l’autocompassione è costituita da tre componenti fondamentali: essere comprensivi e gentili con se stessi nei momenti di insuccesso, mantenere i pensieri e i sentimenti dolorosi in uno stato di consapevolezza, considerare i risultati negativi come parte dell’esperienza umana complessiva.

2. Cambiare prospettiva

Il fatto di concentrarsi sull’autocommiserazione rende la persona molto meno attenta e consapevole dei problemi di chi le sta attorno oppure ai suoi occhi possono risultare insignificanti. Per questo è importante cambiare prospettiva, guardando anche alle difficoltà altrui e comprendendo di non essere gli unici al mondo a sperimentare una certa sofferenza o disagio. Inoltre è da notare come se gli altri riescono a superare le avversità è possibile che anche la persona che tende ad autocommiserarsi sia in grado di farlo.

3. Praticare la mindfulness

La parola mindfulness è sinonimo di consapevolezza ed è una pratica che aiuta a lasciare andare i pensieri liberamente senza essere giudicanti. Quando la si pratica, i pensieri di autocommiserazione inevitabilmente affioreranno, ma basta lasciarli andare senza soffermarcisi. In questo modo è possibile per la persona vivere a pieno il momento presente e affrontare i proprio pensieri in maniera aperta e con curiosità, senza pregiudizi e paure. Inoltre scegliere l’autocommiserazione significa condannarsi all’infelicità, come spiega la dottoressa Moses:

[…] vi tiene bloccati nel passato, il che è anche dannoso per la vostra autostima in futuro. Una persona che siede in una prospettiva di autocommiserazione non è in grado di cogliere l’opportunità di scegliere la felicità, perché sceglie invece di concentrarsi su tutto ciò che è andato storto.

4. Esercitare la gratitudine

La gratitudine può fare molto e non solo sull’aiutare la persona che si autocommisera a focalizzarsi sugli aspetti positivi della vita. Uno studio che ha indagato il rapporto tra gratitudine e benessere ha rilevato come la prima sia strettamente legata al secondo e quindi a un senso di positività e di benessere che, come riporta un altro studio intitolato Gratitude and health: An updated review, si estende alla sfera sociale, emotiva e psicologica. Ecco perché è importante apprezzare le piccole gioie della vita, da un pasto gustoso e ben realizzato a una serata tra vecchi amici ritrovati.

5. Sviluppare relazioni positive

I problemi della vita, se condivisi con le persone che amiamo, possono acquisire tutt’altro peso. L’autocommiserazione però potrebbe da un lato respingere chi ci sta attorno e dall’altro innescare una reazione di dipendenza e ricerca continua di attenzione nei confronti di coloro che ci stanno consolando e sostenendo. Bisogna quindi prestare attenzione al bisogno di convalida di cui sopra e concentrarsi invece su legami positivi o comunque, sapendo che si verrà ascoltati, cercare di rendere lo sfogo un momento produttivo di confronto con l’altro facendo tesoro delle esperienze altrui e cercando di individuare la migliore strategia di azione.

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