Uno dei giochi social più crudele cui abbiamo assistito negli ultimi tempi si chiama #10yearschallenge e consiste nel postare la propria foto mettendola a confronto con quella di dieci anni prima.

Forse stremate dal dover rassicurare le amiche di non trovarle affatto cambiate, le utenti più paranoiche, attraverso la voce della giornalista Kate O’Neill, hanno avanzato l’ipotesi che la sfida nascondesse lo scopo di creare un’enorme banca dati finalizzata a migliorare l’algoritmo sul riconoscimento facciale e la “age progression”, cioè la capacità di decodificare i cambiamenti del volto nel tempo.

Facebook ha risposto che la sola cosa che l’algoritmo avrebbe imparato dalla challenge era che dieci anni prima vestivamo tutti malissimo, ma noi nel frattempo avevamo guadagnato una paranoia in più: no, non che le nostre immagini potessero essere trafugate da Cambridge Analytica a nostra insaputa ma che un giorno – complice qualche ruga in più – il sistema di autenticazione del volto potesse trovarci troppo invecchiate per concederci l’accesso allo smarthphone.

Un po’ come quando ci si imbatte in un vecchio compagno di scuola e lo si trova così cambiato da pensare che non lo avremmo mai riconosciuto, ma subito realizziamo che lui potrebbe pensare la stessa cosa di noi; ecco allora che ci precipitiamo a fornirgli tutte le coordinate per l’autenticazione – nome, classe, banco, aneddotica sparsa.

Siccome – si sa – le disgrazie non vengono mai sole, proprio mentre eravamo occupate a nutrire l’algoritmo con le foto necessarie al suo sviluppo, quegli stessi social a cui le avevamo affidate ci restituivano le parole di uno scrittore francese che ci informava di trovare le cinquantenni “troppo vecchie per essere amate, praticamente invisibili”.

Tramortite dalla rivelazione, molte di noi hanno messo da parte la questione della age progression per l’urgenza di smentire l’equazione “menopausa=invisibilità”, dando luogo a una serie di reazioni scomposte riassumibili nel primo piano delle natiche della scrittrice cinquantaduenne Colombe Schneck pubblicato su Twitter e poi ovunque.

Dimenticata la sfida dei dieci anni, la challenge si è quindi spostata sull’esibizione di seni turgidi e cosce toniche e per qualche giorno il mio feed non è stato diverso dal canale “Mature” di Youporn. In imbarazzo per le amiche di cui credevo di conoscere tutto – e invece scoprivo che avevano smagliature sul seno – ho cercato rifugio nell’autorevolezza un po’ conservatrice dei quotidiani storici trovandoli pieni di gallery che recitavano:

“Splendide cinquantenni”
“Cinquantenni che vanno al massimo”
“Cinquantenni ancora affascinanti” (a proposito, un giorno parleremo di questo avverbio in funzione avversativa)
“Belle anche a cinquant’anni suonati” (Giuro, c’era anche questo).

Al loro interno, le solite dee: Liz, Monica, Salma, Halle, Cindy, Jennifer, donne che sembrano invecchiare a un altro ritmo mettendoci di fronte al mistero della forza di gravità che è una legge e in quanto legge dovrebbe valere per tutti, e invece per loro no.

Sfogliando le gallery, tuttavia, all’ammirazione si aggiungeva una sensazione di disagio crescente. Avvertivo qualcosa di stonato in quel tourbillon di corpi di gente con un piede nella menopausa, qualcosa di terribilmente sbagliato. Non solo si stava avallando il pensiero dello scrittore secondo il quale una donna è meritevole di amore a condizione di aver mantenuto muscoli tonici e pelle liscia, ma si stava declinando la bellezza in un’unica direzione, quella della gioventù.

Le attrici ritratte nelle gallery erano uguali a se stesse trent’anni prima, cristallizzate in un’eterna giovinezza. Era dunque di questo che parlavamo quando parlavamo di bellezza? Davvero lavoriamo, amiamo, lottiamo, viviamo, e dopo tutta questa fatica la sola cosa che vorremmo sentirci dire è che non dimostriamo la nostra età?

«Mi dissocio dal terribile codice di bellezza che si vede in giro: donne perfette e orrende che hanno tolto ogni segno dal volto e dal corpo. Sono sicuro che tra 100 anni, quando le persone vedranno cosa era per noi la bellezza, penseranno che eravamo pazzi», ha dichiarato Peter Lindbergh, autore per tre volte del Calendario Pirelli, scegliendo di ritrarre donne di ogni età e demolendo l’ideale estetico contemporaneo, dando voce a un pensiero che non riuscivo a mettere a fuoco.

Dunque, se lo scrittore francese vorrà continuare ad amare giovani donne ce ne faremo una ragione, mentre la questione del riconoscimento facciale torna centrale: tra dieci anni saremo dieci anni più vecchie, acciaccate e forse per questo più belle. L’algoritmo e i magazine dovranno farsene una ragione.

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