«Partorirai con dolore». È la frase che nella mitologia ebraica e cristiana viene attribuita a Dio, che la pronuncia a Eva, la prima donna, colei che ha disobbedito. E c’è un romanzo, da cui poi David Lynch ha tratto un film, “Dune”, che mostra le donne come la “razza” appena al di sotto dell’essere supremo – eppure le sole in grado di generarli – le sole in grado di sopportare tantissima pena.

Tutte noi ci siamo chieste spesso se il nostro dolore e quello degli uomini sia uguale. Depilazione con ceretta e parto sembrano essere una garanzia che sì, le donne resistono meglio, hanno una soglia del dolore più alta. Eppure, a quanto pare, si tratta solo di percezione: la scienza smentisce quella che in cuor nostro era una pia illusione.

In pratica, la scienza ha scoperto che non solo la donna è il ricettacolo di tutte quelle condizioni croniche che causano sofferenza fisica estrema, ma avrebbe anche una soglia più bassa per via della differenza nel meccanismo della trasmissione del dolore. Tutta colpa delle sinapsi, ossia dei collegamenti tra sistema nervoso centrale e ramificazioni periferiche. E in tutto questo interviene anche una certa componente emotiva e la storia della cronicizzazione del dolore, che ne alterano in peggio la percezione. In barba a noi che, magari durante il travaglio, ci siamo ritrovate a chiederci se il nostro compagno sarebbe mai riuscito a sopportare tanto.

Tra le condizioni croniche del dolore delle quali le donne sono “destinatarie”, come racconta il Corriere della Sera grazie all’esperienza di Diego Fornasari, farmacologo dell’Università di Milano, ci sono la fibromialgia, la cefalea e i dolori muscolo scheletrici. Che capitano anche agli uomini ma in una percentuale di gran lunga inferiore. E poi ovviamente ci sono la dismenorrea e l’endometriosi, che agli uomini non capitano affatto perché gli uomini non hanno l’utero.

Dolore
Fonte: Pixabay

C’è però da dire che, anche se ci sembra tale, il dolore non è una cosa cattiva. Il dolore è infatti sempre un campanello d’allarme che ci avverte che qualcosa non va come dovrebbe. Per questo le persone affette da quelle rare condizioni congenite che impediscono di avvertirlo sono estremamente pericolose per l’incolumità di chi ne è affetto.

Stando sempre a questa ricerca, inoltre, la donna è portata alla conservazione della specie e quindi avvertirebbe il dolore con maggiore violenza rispetto all’uomo, che risentirebbe di quella che prende il nome di «analgesia da stress». Si tratta di qualcosa che tuttavia molte di noi sperimentano: è quell’oltrepassare la sofferenza fisica quando dobbiamo portare a termine un compito, un lavoro o simili. Secondo lo studio, funzionerebbe negli uomini e nelle donne senza le ovaie, ma non nelle donne cui sono stati somministrati estrogeni – se abbiamo altri motivi per detestare il nostro ciclo mestruale, ecco, questa è una nuova occasione.

Il problema non sarebbe solo nella pena ma anche in ciò che dovrebbe dare sollievo alla pena. La ricerca prova infine che le donne non tollerano tutti i farmaci che consentirebbero loro di affrontare il dolore. I “peggiori”, in tal senso, sono alcuni antidepressivi e alcuni oppiacei, che non verrebbero metabolizzati parzialmente o totalmente dalle donne. Per altre sostanze invece c’è il via libera, una su tutte il paracetamolo, che viene talvolta ammesso, in piccolissime dosi e una tantum ovviamente, anche in gravidanza.

Quindi crollano tutte le nostre certezze in tema di sofferenza fisica, nostro malgrado. Ci viene al massimo da pensare che forse anche noi possiamo “godere” dell’analgesia da stress in qualche caso. Il parto è quello che ci viene in mente prima, non solo perché l’abbiamo ripetuto qui svariate volte, ma soprattutto perché lì il gioco vale davvero la candela: si soffre per qualche ora – anche se in alcuni casi parliamo di molte ore o addirittura di giorni – ma alla fine che gioia immensa proviamo quando stringiamo il nostro bambino tra le braccia?

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