"Ho la psoriasi e ho passato la mia vita a nascondermi: ora non lo faccio più"
La psoriasi non riguarda solo la pelle: è una malattia che cambia la vita delle persone, anche dal punto di vista psicologico.
La psoriasi non riguarda solo la pelle: è una malattia che cambia la vita delle persone, anche dal punto di vista psicologico.
“È da una vita che è così: si sforzano di guardarmi negli occhi quando mi parlano, ma lo sguardo cade sempre sulle mie lesioni”.
Chi non soffre di psoriasi tende a pensare che la psoriasi sia una malattia “superficiale”, in alcuni casi addirittura nulla più di un fastidioso inestetismo. Nulla, comunque, cui dare troppo peso.
È una convinzione profondamente sbagliata, dal punto di vista medico e da quello umano. La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica della pelle che, secondo i dati A.DI.PSO – Associazione per la Difesa degli Psoriasici -, in Italia colpisce oltre 3 milioni di persone. Molte delle quali, però, non sanno riconoscerne i sintomi e, quindi, non si sottopongono alle cure adeguate, rischiando che la malattia evolva al grado severo (si stima in un terzo dei casi, circa).
Inoltre la psoriasi non è “solo” una malattia della pelle, ma è spesso associata ad altre patologie infiammatorie croniche intestinali, cardiovascolari, artrite, obesità, diabete e ipertensione. Ma non solo, chi soffre di psoriasi è esposto, nell’80% dei casi (dati A.DI.PSO), a problemi di depressione e salute mentale.
“Perché di psoriasi non si soffre solo a livello superficiale, sulla pelle, ma anche dentro e per tanti motivi diversi”, racconta M., 32 anni, che con la malattia ci è cresciuta da quando aveva 8 anni. Questa è la sua testimonianza.
La psoriasi è l’altra-me, il mio alter ego subdolo, che non mi abbandona mai. Ci sono dei momenti in cui pensi di essertela lasciata alle spalle, ma lei torna.
Sta con me da quando ero una bambina timida e mi ha reso ancora più impacciata. Della trafila medica prima di avere una diagnosi iniziale non ho ricordi se non quelli di seconda mano mutuati dai miei genitori, ma le facce schifate dei miei compagni di classe nelle fasi di riacutizzazione me le ricordo bene.
I bulletti della classe quando mi avvicinavo, un po’ perché davvero preoccupati un po’ per scherno, si spostavano o scappavano letteralmente da me e dal possibile “contagio”.
Persino una maestra delle elementari chiese a mia madre conferma della diagnosi, per appurare che non fossi infettiva.
“Poi è anche peggio – continua M.-. Diventi adolescente, sei in preda agli ormoni, ai brufoli e al tuo essere una figura mitologica metà bambina e metà donna quindi, a prescindere, hai un problema. La psoriasi complica tutto.
Per me, come per molte persone che convivono con questa malattia subdola, è stato il periodo peggiore. Quegli sguardi indiscreti e quelle espressioni di disgusto o pietà con cui sei cresciuto le vedi addosso ai compagni di classe nuovi, alle amiche e al ragazzo di cui ti innamori e che la tua mano mangiata dalla psoriasi fino alle unghie manco te la sfiora.
Il fatto è che mentre da bambina pensi che i tuoi compagni siano cattivi, da ragazza sei d’accordo con loro: ti guardi allo specchio e, a seconda dei giorni, fai schifo o pietà anche a te stessa.
È stato terribile, ma è stato quando ho toccato il fondo che, come capita a molte persone, ho cercato e trovato la strada per risalire davvero”
Se M. finora si era affidata ai genitori, a quel punto qualcosa cambia.
“Com’era normale che fosse fino a quel momento avevano scelto loro per me: i medici da consultare, le terapie da seguire, quando e come aggiustare il tiro delle cure, perché chi soffre di psoriasi sa bene che è un continuo rinegoziare tra te e la malattia, che evolve, cambia e sembra cercare nuove vie per tenerti compagnia.
A quel punto, però, ho avuto l’esigenza di prendere in mano la cosa: era troppo parte di me, troppo preponderante per lasciare che altri lo facessero per me. Ho cominciato a documentarmi, a fare domande al mio medico di base e al dermatologo che mi seguiva al tempo. Ho voluto chiedere altri pareri e poi altri ancora: in sostanza non mi fidavo del medico che mi seguiva, sentivo che mi sfuggiva qualcosa e un po’ avevo ragione”.
Quando soffri di una malattia cronica subdola come questa il rapporto dottore e paziente diventa imprescindibile. Devi trovare un medico che ti convinca come professionista, ma anche come persona: la psoriasi non sono solo le squame sulla mia pelle, ma anche mille altri disturbi che mi porto dietro da una vita e, al tempo, era anche la depressione e l’ansia che mi portavo dentro.
L’approdo al proprio medico non è stato facile per M., in realtà pare non esserlo mai per nessuno, anche se oggi il web offre molti strumenti per orientarsi tra i dermatologi anche sulla base delle recensioni di altri pazienti, come su portali specifici tipo iDoctors.it, in cui è possibile ricercare i dermatologi per vicinanza, prezzo e valutare le esperienze altrui.
Cosa fondamentale se si pensa alle difficoltà evidenziate dai dati Censis 2015, ottenuti grazie alla collaborazione di ADOI, SIDeMaST SIF, SIFO, SIMG e A.DI.PSO, secondo i quali 7 persone su 10 sono passate per più specialisti prima di avere una diagnosi e 5 su 10 hanno cambiato circa 4 specialisti o centri prima di trovare il loro medico di fiducia.
La psoriasi va combattuta e accettata al tempo stesso: questa è la cosa più importante che mi ha insegnato il dermatologo che mi segue ormai da oltre un decennio. Va combattuta con uno stile di vita adeguato, con le nuove tecnologie, le nuove terapie e i nuovi farmaci. Sì, è vero, al momento è più un tenerla sotto controllo, ma lo si può fare con successo se si mixano in modo adeguato le armi a nostra disposizione: esiste una terapia unica per la psoriasi, dipende molto dalla singola persona, dal suo vissuto e dalle sue esigenze, anche per questo è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia con un medico che non si occupi “solo” delle nostre squame, come le chiamo io, ma di tutto il nostro quadro clinico, fisico, psicologico e di noi in quanto persona. Quanto al futuro mai dire mai.
Il 29 ottobre si celebra la Giornata della Psoriasi, e molte sono le iniziative organizzate per l’occasione, come l’ormai famoso Open Day, cui molte cliniche aderiranno per effettuare visite gratuite a coloro che ne avessero bisogno nella giornata di sabato mattina del 27 ottobre, entro le 13 circa. Tutte le informazioni sulle cliniche che aderiranno all’iniziativa sono disponibili sul sito di A.DI.PSO. Quest’anno, inoltre, potrebbe esserci una buona notizia per tutti i malati: sta per arrivare nel nostro paese il Guselkumab, il primo trattamento biologico che inibisce l’Interleuchina 23 (IL-23) e spegne l’infiammazione. Il trattamento è valido per la psoriarsi nella forma “da moderata a grave”, come riporta Sky, e ha dimostrato la propria efficacia già dopo i primi due mesi di trattamento; un lasso temporale in cui addirittura il 40% dei pazienti avrebbe raggiunto un miglioramento pari o maggiore del 90%, misurato in base all’estensione delle lesioni e la loro gravità, insieme ad altri segni clinici.
Antonio Costanzo, responsabile della Dermatologia all’Istituto Humanitas di Milano, ha spiegato cos’è l’Il-23 e come funziona il farmaco: si tratta di una proteina del sistema immunitario in grado di stimolare la produzione di altre interleukine, come la IL-17, responsabile più diretta delle placche psorisiache. L’effetto del trattamento mantiene elevate percentuali di efficacia anche dopo anni, “Queste elevate percentuali di risposta clinica si sono mantenute anche dopo tre anni nell’82,8% dei pazienti”, spiega Costanzo. Ma, anche interrompendo la cura, la psoriasi torna, ma molto lentamente. “Ci sono pazienti che hanno una recidiva tra la 24° e la 48° settimana, ma il 36% non ha un ritorno delle placche anche a un anno dalla sospensione della terapia. Per questo si pensa che in alcune persone il farmaco possa riuscire a modificare la malattia e si possa sperare un domani di parlare di guarigione”.
L’Agenzia Italiana del Farmaco permette la sua assunzione solo dietro prescrizione di uno specialista, e solo nei casi di psoriasi da moderata a grave; il Guselkumab infatti deve essere iniettato ai pazienti sotto la cute al’’inizio della cura, per poi proseguire con una seconda puntura dopo un mese, e infine continuare con un’iniezione ogni otto settimane.
Nel frattempo, continuare a parlare di psoriasi senza censure è ancora molto importante.
“Bisogna parlare di psoriasi, bisogna che la gente conosca i sintomi per prenderla in tempo, bisogna che tutti sappiano che non è contagiosa, bisogna far capire a chi ne è affetto che non è un marziano e non deve nascondersi.
Non dirò, come ho sentito fare da alcune persone, che la mia psoriasi mi rende speciale, unica o addirittura più bella, ma che ho imparato a volerle anche un po’ bene sì.
È il mio alter ego, io sono il dottor Jekyll e lei è il mio Mr. Hyde, cerco di scacciarlo ma è parte di me: se oggi sono la donna che sono è merito anche suo. Ho imparato anche che, a volte, la psoriasi può essere un’alleata: mi avverte che qualcosa non va, è il mio campanello di allarme, che mi costringe a volte a mettermi un freno e a prendermi più cura di me.
Non sono solo la mia psoriasi, ma sono anche lei e non ho intenzione di passare il tempo a non volermi bene per questo”.
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Da quando sono diventata mamma sono convinta che le donne abbiano i super poteri.
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