Coronavirus: il rischio di essere asintomatico positivo
Cosa significa essere asintomatici positivi ai tempi del Coronavirus? Ecco spiegato perché alcuni banali sintomi influenzali non dovrebbero essere trascurati.
Cosa significa essere asintomatici positivi ai tempi del Coronavirus? Ecco spiegato perché alcuni banali sintomi influenzali non dovrebbero essere trascurati.
In realtà, le cose non sono così semplici, perché molte delle persone risultate positive al famoso tampone hanno mostrato una caratteristica comune, ovvero la totale assenza di sintomi.
L’esempio più lampante è rappresentata proprio dalla cittadina di Vo’ Euganeo, primo focolaio italiano assieme a Codogno, dove, dei tremila abitanti sottoposti al tampone, una percentuale oscillante tra il 50 e il 75% è risultata asintomatica. Sono numeri altissimi, che rendono immediatamente chiaro come sia stata possibile una diffusione tanto rapida del virus: essendo inconsapevolmente positive, le persone hanno continuato ad andare in giro e a fare la propria vita di tutti i giorni, rendendosi involontari veicolatori del COVID19.
Non è un caso se, proprio a Vo’ Euganeo, l’isolamento totale di tutti i positivi ha ridotto drasticamente il numero dei contagiati nel giro di una settimana o poco più.
Certo, per rilevare la positività al virus sarebbe stato sufficiente fare tamponi a tappeto, a tutta la popolazione, ma come ha spiegato a Vanity Fair il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi,
L’onda grossa di contagi ha limitato il test del tampone soltanto a chi è stato a stretto contatto con il soggetto ammalato. Un’ipotesi come quella che vede l’esecuzione di tamponi su ampia scala, pertanto, la vedo più applicabile su territori geografici specifici, per progetti di controllo che potrebbero essere appunto quelli del Veneto.
Nello specifico, significa avere un raffreddore lieve, tipico della stagione invernale, o dare pochi colpi di tosse, insomma mostrare quei sintomi che possono essere scambiati per una banale forma influenzale. In effetti, questo sembra essere proprio, almeno secondo il pensiero comune, la modalità con cui il Sars-CoV-2 ha avuto accesso nel nostro Paese, e in particolare nel lodigiano, che oltre a essere stata la prima zona rossa in territorio italiano è anche sede di numerose multinazionali che hanno spesso rapporti con la Cina.
“La trasmissione asintomatica e lievemente sintomatica è un fattore determinante nella trasmissione di Covid-19” ha affermato anche il dottor William Schaffner, professore alla Vanderbilt University School of Medicine e consulente di lunga data del CDC, il Centers for Disease Control and Prevention, prevedendo come anche negli USA il contagio potrebbe propagarsi proprio per via degli asintomatici ignari di essere conduttori del virus.
Il fatto che gli asintomatici rappresentino un pericolo chiaro per la diffusione del COVID-19 non deve comunque far dimenticare quanto detto in un comunicato dall’Oms, ovvero che il motore principale del contagio resta comunque quello che avviene da persone con sintomi, e che ha un tempo di incubazione che è in media di 5,1 giorni.
Non si tratta di creare ulteriore panico o generare altro allarmismo inutile, ma è davvero importante capire che non sempre il COVID-19 ha manifestazioni evidenti, e che, soprattutto all’inizio della pandemia, il fattore dell’“infezione silenziosa” è stato fondamentale per il suo rapido propagarsi.
La dottoressa Sandra Ciesek, direttrice dell’Institute of Medical Virology di Francoforte, in Germania, ha testato 24 passeggeri che erano appena arrivati da Israele: sette sono risultati positivi, ma quattro di loro non presentavo sintomi, e i risultati hanno mostrato come la carica virale di questi ultimi fosse maggiore rispetto a quella dei sintomatici.
Stessa situazione per due passeggeri rientrati da Wuhan, considerato l’epicentro dell’epidemia: uno non presentava sintomi, l’altro un debole mal di gola e un’eruzione cutanea leggera, ma entrambi sono risultati positivi.
Uno studio pubblicato da ricercatori belgi e olandesi ha mostrato che tra il 48% e il 66% delle 91 persone nel cluster di Singapore ha contratto l’infezione da qualcuno che era pre-sintomatico; stessa cosa per il 62% – 77% delle 135 persone nel cluster di Tianjin.
Altri casi: una donna d’affari cinese di Shanghai ha cominciato ad avvertire alcuni lievi sintomi mentre viaggiava verso Monaco, attribuendo però la colpa del malessere al jet lag e alle pressioni aziendali. La sera del suo ritorno in Cina ha invece iniziato a sentirsi male seriamente, tanto che, dopo il tampone, è stata confermata la presenza di COVID-19, cinque giorni dopo aver lasciato Monaco. A quel punto ha informato la compagnia tedesca, che ha quindi indirizzato il suo principale contatto commerciale, ovvero il Paziente Uno, al dipartimento sanitario. È risultato positivo per COVID, così come altri tre impiegati, uno dei quali ha avuto contatti con la donna cinese, ma due dei quali hanno avuto solo contatti con Paziente Uno, allora completamente asintomatico.
Il nostro sistema immunitario ci offre due linee di difesa: l’immunità innata – che comprende barriere naturali come la pelle – e adattiva . Quest’ultima è composta da due tipi di globuli bianchi, i linfociti B e linfociti T, responsabili della creazione di anticorpi e delle difese dai virus conosciuti.
Ma l’immunità adattiva è anche il luogo della “memoria immunologica”, perciò è abbastanza chiaro come il coronavirus possa “aggirare” tale memoria, essendo un virus praticamente sconosciuto contro cui non esistono vaccini. Questo consente al virus di entrare nelle cellule del nostro tratto respiratorio senza essere riconosciuto, e di proliferare indisturbato, senza nessuna attivazione di allarmi immunologici; per questo chi ospita il virus non mostra sintomi, ma può già essere contagioso.
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Nella cittadina in provincia di Padova con l’isolamento dei positivi al COVID-19 il numero totale dei malati è scesa da 88 a 7 in circa sette – dieci giorni. Il tasso di guarigione nei pazienti infettati, una volta isolati, è risultato richiedere, nel 60% dei casi, soli 8 giorni.
È stato un team di scienziati, provenienti da USA, Francia, Cina e Hong Kong a rilevare l’intervallo seriale, ovvero il tempo necessario affinché i sintomi compaiano in due persone con il virus: la persona che ne infetta un’altra e la seconda persona infetta. Quel che è stato scoperto è che l’intervallo seriale medio per il nuovo Coronavirus in Cina era di circa quattro giorni.
Questo breve intervallo seriale significa che i focolai emergenti sarebbero cresciuti rapidamente e sarebbero stati piuttosto difficili da fermare.
Lauren Ancel Meyers, professoressa di biologia integrativa presso UT Austin, e il suo team hanno esaminato più di 450 segnalazioni di casi di infezione da 93 città della Cina e hanno rilevato una fortissima trasmissione pre-sintomatica. Secondo la ricerca, più di una infezione su 10 proveniva da persone che avevano il virus ma non si sentivano ancora male.
A Vanity Fair il professor Pregliasco ha parlato anche di cosa accade dopo la guarigione.
Una volta guariti, si diventa portatori convalescenti; in tal caso sono necessari altri 15 giorni di isolamento più due controlli con tamponi, a due giorni di distanza l’uno dall’altro. Soltanto quando entrambi i tamponi risulteranno negativi, il paziente potrà realmente dirsi guarito e non contagioso.
Il nostro sistema immunitario si indebolisce con l’avanzare dell’età, mentre determinate patologie croniche rendono ancora più difficile per il corpo sviluppare una potente risposta immunitaria.
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