La drammatica richiesta di aiuto di chi soffre di binge eating disorder
I disturbi alimentari vanno conosciuti e mai sottovalutati. Approfondiamo il discorso sul binge eating disorder: ecco le testimonianze di chi ne ha sofferto.
I disturbi alimentari vanno conosciuti e mai sottovalutati. Approfondiamo il discorso sul binge eating disorder: ecco le testimonianze di chi ne ha sofferto.
Ci sono alcuni disturbi alimentari che sono più conosciuti di altri. Tutti sanno cosa siano anoressia e bulimia, ma non sempre si conosce a fondo il binge eating. Nella gallery che segue sono contenute delle testimonianze, accompagnate dalle immagini di un film brutale nella sua bellezza, La grande abbuffata di Marco Ferreri. Le pellicola costituisce un atto d’accusa alla società dei consumi e parla – in tempi non sospetti – del binge eating. Quattro amici, delusi dalla vita, si ritirano in una villa per suicidarsi attraverso un convivio senza fine. Ma scopriamo prima insieme cos’è il binge eating.
L’espressione significa letteralmente «disturbo da eccesso di cibo», da «to binge» che significa «eccedere» e «eating» cioè «mangiare». Il binge eating è una patologia tra quelle relative ai disturbi alimentari, spesso legata alla bulimia nervosa (ma anche all’anoressia nervosa). C’è però una differenza sostanziale tra i due disturbi: nella bulimia nervosa ci si abbuffa ma poi esiste una fase espulsiva del cibo consumato, nel binge eating questa fase invece non c’è.
Il binge eating è una conseguenza di una questione psicologica irrisolta. Come per ogni disturbo alimentare, ha a che fare con il controllo: nelle situazioni in cui un paziente percepisce una mancanza di controllo sulla realtà, il rischio del disturbo del comportamento alimentare è dietro l’angolo. Non c’è un’età in cui si è particolarmente colpiti – o un sesso, maschile o femminile in cui c’è maggiore incidenza, sebbene in Rete alcune statistiche parlino per lo più di uomini adulti. Come per tutte le patologie del genere, le statistiche riguardano dei campioni in determinati periodi di tempo e non sono da ritenere affidabili dal punto di vista del dato scientifico in generale.
Per risolvere qualunque problema, si deve prima capire di avere un problema e quindi chiedere aiuto. Per chi si ponesse il dubbio relativo a un proprio presunto binge eating disorder, c’è un test che si può effettuare online per avere una prima idea e decidere di chiedere aiuto. Il test si può fare sul sito PsychCentral e comprende – oltre al sesso e all’età – domande sulle abitudini a consumare compulsivamente cibo, alla sazietà relativa a questi episodi, alle tempistiche e alla frequenza, alla percezione stessa della quantità di cibo consumato, al fatto di aver sofferto in passato di un disturbo alimentare. Naturalmente, se il test dovesse dare esito positivo, è bene rivolgersi a uno psicologo per una diagnosi effettiva. Anzi, è bene rivolgercisi comunque, nel caso si tema un test falsato.
Il binge eating può diventare una sorta di circolo vizioso. Il cibo è un succedaneo per poter calmare una condizione interiore travagliata, ma chi ne è affetto è consapevole dei rischi sulla salute e alterna dei periodi di digiuno programmato. Come accennavamo prima, comprendere di avere un problema e chiedere aiuto è il primo passo. La psicanalisi può aiutare, tanto più che si è notato come la terapia di gruppo o il trattamento con antidepressivi possa giovare almeno all’inizio. Ma almeno i farmaci non possono essere una soluzione definitiva. Se il paziente però associa problemi di peso al binge eating, è inoltre più difficile aiutarlo a perderlo, perché si possono essere innescati dei disturbi di tipo metabolico. Un nutrizionista, insieme con lo psicologo, può aiutare, magari con la compilazione di una dieta bilanciata, basata su principi kosher come la dissociazione delle proteine animali.
Il sito Chiarasole riporta la testimonianza di Valentina, che per tutta la vita, fin da bambina, ha lottato contro i disturbi alimentari e poi una volta adulta, a Londra, si è ritrovata alle prese con il binge eating. Valentina ha compiuto un complesso e lungo percorso ma ce l’ha fatta a sconfiggere il disturbo.
In Inghilterra […] ho perso la bussola, mi sono sentita sola, spaesata, disorientata come mai prima, e così ho iniziato a colmare la fame di amore abbuffandomi di continuo. Mi ritrovai davanti a una violenza inaudita: quantità di cibo inimmaginabili, uno stomaco che esplodeva di dolore, schifo e sensi di colpa per qualcosa che non riuscivo a fermare. Aprivo il frigorifero e mi ingozzavo di qualsiasi cosa mi capitasse sotto tiro. Cercavo di saziare una compulsione irrefrenabile con una ferocia violenta. Nel giro di due mesi, ero ingrassata di venti chili.
Donna Moderna riporta la testimonianza di una donna che ha sofferto di binge eating disorder e alla quale la terapia ha giovato. Al di là del fenomeno in sé, quello che non si comprenderà mai a fondo è il senso di colpa che caratterizza i disturbi alimentari.
Per anni ho pensato che fosse colpa mia e della mia debolezza. Mi ripetevo che non avevo carattere, che ero un’inetta: cosa mai può meritare dalla vita una che mangia due interi pacchi di biscotti anche quando è talmente sazia da sentire che potrebbe scoppiare? Pensavo: è così difficile fermarsi? Possibile che sia così stupida e fragile?
La Rivista Informa riporta due testimonianze differenti. La prima è sull’aspetto consolatorio del cibo.
Il cibo è un compagno che non ti giudica, ti soddisfa, ti fa compagnia ma alla fine ti tradisce, lasciandoti chili e chili di solitudine.
La seconda invece ha a che fare con una motivazione diversa: la noia. A testimoniare che le cause del binge eating sono multiformi e mai univoche.
La cosa assurda è che mangio senza gustare, velocemente. La mia vita è frenetica, non so stare senza far niente e, a volte, penso sia meglio così altrimenti mi farei sempre più grassa.
Sul sito Ditroppoamore c’è la testimonianza di un medico, della dottoressa Ameya Gabriella Canovi, che spiega come il disturbo abbia radici profonde, magari in un’infanzia di abusi o di mancanza d’amore.
Spesso tali soggetti hanno grosse difficoltà relazionali, a stabilire confini sani, e riproducono la caratteristica invischiante del clima della famiglia di origine. Essi si gettano nelle relazioni con modalità possessive e fagocitanti, possono diventare morbosi, convinti di poter mai essere abbastanza amati, mai sazi di affetto, come mai sazi di cibo. Finiscono così per collezionare una serie di fallimenti relazionali che li getta di nuovo nel circolo vizioso.
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