Le donne sono più colpite dalle malattie autoimmuni. Il motivo è nella placenta?

L'evoluzione della specie potrebbe aver giocato un brutto “scherzo” al sistema immunitario delle donne e a suggerirlo è la scienza: ecco le motivazioni che determinerebbero il coinvolgimento della placenta.

Le malattie autoimmuni, ovvero quelle causate dal proprio sistema immunitario, tendono a colpire soprattutto le donne. A rivelarlo è la scienza: per quanto la situazione possa variare in funzione di eventuali patologie, in media il 75% dei soggetti afflitti da tali disturbi, è di sesso femminile

Solo negli Stati Uniti, le donne rappresentano l’80% dei casi di malattie autoimmuni, detenendo addirittura 16 volte più probabilità di contrarre patologie quali la Sindrome di Sjogren rispetto agli uomini, e 9 volte più probabilità di essere colpite dalla Tiroidite di Hashimoto. Un triste primato se si pensa che proprio il sistema immunitario dovrebbe preservare l’organismo da eventuali minacce, e non incrementarne invece l’entità e gli effetti così severi.

Quali sarebbero pertanto i motivi per i quali la femminilità comporterebbe un rischio sicuramente più elevato di dover sottostare a problematiche autoimmuni, rispetto a quanto accade invece per gli uomini? Lo scenario sembrerebbe essere piuttosto complesso e a oggi non esistono risposte certe e definitive: per quanto le ricerche in merito siano ancora piuttosto scarse, si intravedono tuttavia alcune ragioni che collegherebbero questa risposta particolarmente aggressiva da parte del sistema immunitario femminile alla placenta: gli anticorpi apparirebbero pertanto indotti a danneggiare anche i tessuti sani, senza di fatto limitarsi a batteri e virus.

Tale iperattività a carico del sistema difensivo femminile sarebbe da ricollegare all’antichissima necessità, per le donne, di potenziare la risposta immunitaria al fine di proteggersi da eventuali infezioni conseguenti al parto, infezioni che tutt’ora purtroppo tendono a mietere vittime specie nei Paesi ancora in via di sviluppo.

Banalmente dunque, come suggerisce la biologa evoluzionista Melissa Wilson in una ricerca condotta dall’Arizona State University e pubblicata sulla rivista Trends in genetics, la naturale evoluzione della specie avrebbe “selezionato” donne che presentavano un sistema immunitario tanto forte da essere in grado di debellare rapidamente e in maniera efficace eventuali microrganismi e batteri patogeni, sovente particolarmente pericolosi, presenti tanto nella gravidanza che nella fase post-partum.  

Viene da sé che un sistema immunitario così reattivo e al contempo aggressivo, rischia di dover far fronte a false “minacce”, determinando in questo modo una regolazione degli anticorpi totalmente errata o, peggio ancora, fuori controllo. A tal proposito la biologa Wilson avanza pertanto una spiegazione piuttosto chiara, definendo tale “comportamento” legato ai meccanismi di difesa dell’organismo, come un’ipotesi di compensazione della gravidanza.

L’evoluzione della specie ha permesso alle donne di poter affrontare una gravidanza per gran parte della loro vita: prima dell’avvento del controllo delle nascite, questo era praticamente il destino del sesso femminile. Ancora oggi non è raro che le donne delle popolazioni in via di sviluppo abbiano addirittura da otto a dodici figli ciascuna. E per quanto partorire così tanti bambini possa apparire estenuante, il corpo delle donne si è naturalmente e conseguentemente evoluto per far fronte ai cambiamenti che ogni gravidanza comporta. 

Quando infatti la placenta, durante il periodo di gestazione, inizia a crescere, invia dei segnali al sistema immunitario della madre, questo in modo tale che lo stesso modifichi le proprie attività fisiologiche e non finisca per aggredirla unitamente al feto, riconoscendola erroneamente come una sorta di “corpo estraneo” e determinando così ciò che è conosciuto come distacco della placenta. Tale meccanismo tuttavia può temporaneamente indebolire il sistema di difesa femminile: viene da sé che in questo modo la donna appare maggiormente esposta ai patogeni, comportando un conseguente rischio anche, e soprattutto, a carico del feto.

Secondo quanto auspicato però dalla stessa Melissa Wilson, il sistema immunitario diventerebbe più aggressivo in maniera spontanea durante l’età adulta, in modo tale da mantenersi vigile in caso di necessità, pur mantenendo latenti in gravidanza, parte delle risposte immunitarie previste. Le cose però si complicano nel momento stesso in cui effettivamente la stessa non si verifica: senza una risposta immunitaria “calibrata” grazie alla presenza della placenta, il sistema immunitario rischia di diventare troppo rapido e aggressivo, finendo per attaccare  anche ciò che non rappresenta affatto una minaccia per l’organismo. Nascono in questo modo le patologie autoimmuni.

Di notevole impatto sulla regolazione del sistema immunitario è senza alcun dubbio anche il ruolo degli estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili, tra le altre cose deputati a sollecitare la risposta immunitaria contro eventuali virus e batteri rispetto a quanto avviene nell’organismo dei soggetti maschili, dove il testosterone al contrario, esercita una risposta anti-infiammatoria che tende a ridurre in maniera significativa la risposta immunitaria.

Un ruolo significativo va poi attribuito, secondo quanto esposto dal professore di patologia e medicina della University of Oklahoma Hal Scofield, anche al cromosoma X, nel quale risiedono numerosi tratti del codice genetico che regolano i meccanismi di difesa dell’organismo. Proprio le donne possiedono due cromosomi X mentre gli uomini un cromosoma X e uno Y: nell’organismo della donna, uno dei due cromosomi X viene generalmente disattivato al fine di evitare che si verifichino problematiche.

Seppur raramente, può comunque capitare che anche il secondo cromosoma X intervenga erroneamente sul sistema immunitario, potenziandone, seppur in maniera errata, la conseguente risposta. Al contrario, per quanto concerne invece gli uomini, la presenza di un solo cromosoma X è da sempre ritenuta scientificamente una tra le principali cause di immunodeficienze, più frequenti nel genere maschile. Insomma, l’organismo femminile, tende a sollecitare spontaneamente il sistema immunitario mentre quello degli uomini, al contrario è più avvezzo a frenarlo: viene da sé che le donne sono comunque penalizzate quando si parla di autoimmunità.

Certo è che, se la teoria formulata da Melissa Wilson venisse ulteriormente avvalorata dalla ricerca scientifica attraverso studi complementari, questo permetterebbe di stabilire con maggiore certezza, se davvero le donne che vivono più gravidanze, siano oggettivamente sottoposte a rischi autoimmuni meno significativi. Innumerevoli sono pertanto le riflessioni che emergono di conseguenza a riguardo, poiché proprio la gravidanza può allo stesso modo comportare grandi rischi per la salute, senza tralasciare il fatto che non tutte le donne desiderano avere figli

Per quanto il sistema immunitario “extra forte” delle donne possa proteggerle in alcuni casi, la speranza è di scoprire come realmente il sistema immunitario risponda alla placenta, offrendo la possibilità di intervenire su tale meccanismo anomalo mediante trattamenti e vaccini. Solo ulteriori studi scientifici possono dunque segnare importanti e significativi miglioramenti nel trattamento delle malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il genere femminile.

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