La guerra contro il cosiddetto talco killer non finisce, e anche stavolta il verdetto non lascia scampo alla Johnson & Johnson: l’azienda dovrà pagare circa 4,7 miliardi di dollari fra danni compensativi e punitivi alla donne che hanno indicato l’asbesto (amianto) presente nel suo talco come responsabile del loro cancro alle ovaie. Lo ha deciso una giuria di St. Louis dopo un processo durato cinque settimane. Johnson & Johnson, che ha già dovuto affrontare processi di questo genere, però, non ci sta e, come riporta Repubblica, ha già annunciato il ricorso in appello.

Il verdetto “È il prodotto di un processo fondamentalmente ingiusto” ha affermato Carol Goodrich, portavoce di Johnson & Johnson, aggiungendo anche che “I diversi errori presenti in questo processo sono stati peggiori di quelli nei precedenti processi che sono poi stati capovolti”.

In attesa dell’appello, però, l’azienda dovrà pagare i danni così come stabiliti dalla giuria, che ha fissato a 550 milioni di dollari, ovvero circa 25 milioni per ognuna delle 22 donne rappresentate nel caso, quelli compensativi, e in 4,14 miliardi quelli punitivi, portando così il totale a 4,69 miliardi di dollari.

Il legale delle 22 donne affette di cancro alle ovaie ha usato parole dure contro Johnson & Johnson, sostenendo che l’azienda sapesse che i suoi prodotti al talco contenevano asbesto e abbia volontariamente nascosto l’informazione al pubblico.

I precedenti

Come detto, non si tratta della prima volta per Johnson & Johnson: nell’agosto 2017 un tribunale di Los Angeles ha stabilito un altro maxi risarcimento verso una donna ammalatasi di cancro alle ovaie, pari a 417 milioni di dollari, la più alta fino a quel momento mai sborsata dalla multinazionale statunitense.

Dei sette processi in cui la società farmaceutica fondata nel 1886 e con sede nel New Jersey è stata implicata, solo in un caso ha vinto, nel marzo del 2017, mentre in altre quattro occasioni, prima degli ultimi due procedimenti a suo carico, le giurie chiamate a esprimersi sul caso hanno sempre condannato il gruppo, stabilendo il pagamento di un indennizzo finanziariamente considerevole alle vittime, tutte ammalatesi di cancro alle ovaie e, in alcuni casi, purtroppo morte. Come nel caso di Jacqueline Fox, una donna di 62 anni di Birmingham, in Alabama, morta nell’ottobre del 2015 per un tumore ovarico che i medici collegarono appunto all’uso frequente di  talco J&J. In quella circostanza un tribunale di St. Louis stabilì che alla famiglia venissero versati, da parte dell’azienda, 72 milioni di dollari, 10 a titolo di danni effettivi, e 62 sono a titolo di “danni punitivi”, per l’intenzione della compagnia di agire con dolo. La sentenza, infatti, parlò di “frode, negligenza e cospirazione”, come riportato dal Messaggero, e fu la prima in cui si decideva per una liquidazione economica in favore delle vittime. Nel 2013, infatti, un’altra donna che aveva sviluppato il cancro alle ovaie aveva denunciato Johnson & Johnson, e si era vista dare ragione da una giuria federale del South Dakota, pur senza ricevere alcun rimborso.

Dopo l’episodio in Alabama, però, la J&J si è trovata a pagare di nuovo, stavolta 110 milioni di dollari, in seguito alla sentenza di una corte del Missouri, per gli stessi identici motivi.

Nel luglio del 2017 J&J, depositando un documento, aveva dichiarato di dover fare i conti con 4.800 casi legali riguardanti il borotalco, ma di continuare a credere assolutamente nella sicurezza del talco. Posizione già espressa chiaramente proprio dopo il caso Fox, quando Carol Goodrich aveva detto:

Noi siamo attenti nella misura massima alla salute dei nostri clienti, e siamo delusi per l’esito del processo. Siamo solidali con la famiglia della signora Fox, ma crediamo fermamente che la sicurezza del nostro talco sia supportata da decenni di prove scientifiche. 

Un altro portavoce, invece, dopo la condanna al pagamento dei 417 milioni, aveva ribadito che, pur empatizzando con le vittime colpite da cancro alle ovaie,

…siamo guidati dalla scienza, che sostiene la sicurezza del baby powder.

J&J nella circostanza aveva assicurato che  il borotalco per bambini usato dalla donna in questione fosse stato venduto con l’opportuna etichetta, ma che, dato che i prodotti contenenti talco sono classificati come cosmetici, non debbano finire sotto il vaglio della Food and Drug Administration, l’ente americano preposto a garantire la sicurezza dei farmaci, pur dovendo essere indicate tutte le informazioni necessarie sulla loro confezione.

Anche nella comunità scientifica, comunque, il dibattito si divide fra quanti supportino la tesi del talco come responsabile dello sviluppo del tumore ovarico e chi, invece, trovi il collegamento una forzatura. Di sicuro il talco è un minerale naturale composto da magnesio, silicone, ossigeno e idrogeno, usato in cosmetica come assorbente naturale per la pelle, ma che, nella sua forma naturale, contiene amianto, il quale “può provocare cancro ai o intorno ai polmoni se inalato“, come sostiene l’American Cancer Society. Anche la IARC (International Agency for Research on Cancer), l’agenzia che fa parte dell’organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite e che ha il compito di dettare le linee guida sulla classificazione dei rischi relativi ai tumori, ha classificato il talco come potenzialmente cancerogeno, come riportato anche Repubblica; tuttavia, secondo altre fonti, ad esempio altroconsumo.it, non ci sono prove per poter affermare con certezza che possa provocare tumori. È, stato sicuramente osservato in alcuni studi che donne che hanno utilizzato il talco abitualmente sui genitali  mostrassero maggiori probabilità più alte di sviluppare un tumore all’ovaio, ma l’aumento del rischio, secondo il sito, sarebbe basso e il cancro alle ovaie riguarderebbe solo il 5% delle diagnosi di tumori femminili.

Resta il fatto, comunque, che da almeno quattro anni i dubbi sugli effetti cancerogeni del talco permangano, tanto che nel 2013 anche la Food and Drug Administration di Maharashtra, in India, aveva provveduto a ritirare la licenza alla multinazionale per la produzione all’interno dello stabilimento di Mulund dei prodotti cosmetici; in quel caso la decisione fu presa dall’autorità indiana dopo la scoperta, risalente al 2007, di 15 lotti (160.000 prodotti per la vendita al dettaglio) di talco per bambini trattati con ossido di etilene, che può essere utilizzato per la sterilizzazione, ma ad alte dosi favorisce l’insorgenza del cancro. Insomma la querelle non sembra destinata a esaurirsi in breve tempo.

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