"Come sono sopravvissuta al cancro all'utero e alla perdita di mia figlia"

Valeria a 31 anni ha già affrontato un adenocarcinoma e la perdita di una figlia al sesto mese di gravidanza. Leggere la sua storia è fondamentale per comprendere, se ancora ce ne fosse bisogno, che la prevenzione può davvero salvare la vita.

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Valeria Fineschi ha 31 anni ma ha già vissuto esperienze davvero devastanti, che sarebbero state in grado di piegare completamente lo spirito di una persona, di farle perdere fiducia e speranze. Prima l’adenocarcinoma scoperto, quasi per caso, dopo essere stata chiamata dalla sua ASL per una normalissima visita di routine nell’ambito della prevenzione sul Papilloma virus, quindi i cicli di chemio, l’asportazione del collo dell’utero e, come conseguenza della terapia per sconfiggere il male, la perdita di una figlia, al sesto mese di gravidanza.
Il calvario di Valeria, cominciato nel 2013 e che ha raggiunto il suo massimo nell’aprile 2016, con l’aborto, è stato raccontato nel video che pubblichiamo, per cui ringraziamo Favo e Pro Format Comunicazione per avercene concesso l’uso, ed è tratto da www.hounastoriadaraccontare.it. Lì lei mostra il suo bagaglio, che non è solo quello riempito dai documenti delle varie visite a cui si è dovuta sottoporre negli anni, ma è sopratutto quello, pesantissimo, emotivo.

Ma per aggiungere altri dettagli, per dare voce alla storia di Valeria e di chi, come lei, si è trovata a lottare con il Papilloma virus, per far comprendere quanto importante sia la prevenzione e quanto davvero dei controlli periodici possano salvare la vita, abbiamo deciso di conoscerla, e di fare una chiacchierata con lei.

Intanto la cosa più importante: come stai ora?

Beh, sono una donna, diciamo che ‘sesso debole’ è un’accezione che non ci riguarda minimamente!
Ora sto bene, faccio i miei controlli e dopo aver sposato mio marito a dicembre, mi concentro H24 sulla mia seconda gravidanza.

Già, la prima bella notizia che ci dà Valeria è che, dopo tanto dolore, aspetta un altro bambino; è una gravidanza a rischio, la sua, che la obbliga al riposo e a seguire quelli che lei chiama appuntamenti quasi rituali con punture e medicinali vari, ma anche un momento che vuole e merita di godersi appieno, finalmente.

È un percorso tutto in salita che ha per ostacoli paura e angoscia, tenendo conto che le conseguenze della malattia mi accompagneranno per sempre – ci spiega – Ho dovuto ripetere l’intervento di cerchiaggio e da sei lunghi mesi sono a letto con il rischio di parto pretermine sempre dietro l’angolo. È difficile ma ci sto provando con tutte le forze… E finché ne avrò starò bene.

La forza di Valeria, del resto, emerge chiaramente anche dal coraggio con cui ha accettato di mostrare il proprio volto per raccontare una storia che avrebbe messo alle corde molte altre persone. Non lei, che non solo è andata avanti, ha anche deciso di esporsi, per aiutare gli altri, magari, per promuovere un messaggio di amore verso se stessi che passa anche, se non soprattutto, dalla prevenzione.

Perché può salvare la vita.

Esatto, mettere a disposizione la mia storia riguardo il Papilloma virus, è un modo per poter dare gli strumenti necessari a comprendere l’importanza della prevenzione, con semplicità, dalla parte del paziente senza giri di parole, senza tecnicismi, solo attraverso l’esperienza passata sulla mia pelle.
Vorrei che arrivasse il messaggio forte e chiaro che la prevenzione può salvare la vita!
L’HPV o Papilloma virus, se non diagnosticato in tempo, tramite pap test, può trasformarsi in tumore.
Si fatica di più a trovare scuse per non farsi controllare, piuttosto che prendere appuntamento per prevenire qualcosa che si nutre anche delle nostre scuse e del tempo che gli regaliamo per agire indisturbato.
Donne e uomini (portatori sani e spesso ignari) hanno il dovere di prevenire nei confronti della propria salute… Eh si, non fate un favore a nessun altro se non voi stessi!

Anche se adesso Valeria ha ritrovato uno spirito combattivo e guerriero, non nega di aver attraversato momenti davvero bui, di sconforto totale, dove ogni speranza sembrava del tutto scomparsa. Ce ne sono stati tanti, perché, come ci racconta,

… Avevo solo 28 anni e la prima prospettiva dopo la diagnosi di adenocarcinoma al collo dell’utero, era quella di asportare tutto.
Io che da più di 10 anni lavoravo in palestra come allenatrice e nelle scuole materne come assistente ai disabili, vedevo strapparmi via la possibilità di poter avere una gravidanza.
Impossibile non cedere alla paura… Ma mai smettere di sperare o credere se si ha fede!
I medici trovarono una soluzione in un’asportazione parziale del collo dell’utero preceduta dalla chemioterapia.

Quando rimasi incinta di Sofia, diedi un senso a quella speranza, quando la gravidanza s’interruppe la reazione fu quella di addossarmi le colpe per non aver fatto visite che potessero scongiurare virus importanti come quello dell’HPV, complice della mia perdita più grande.
È un dolore lacerante, per il quale avrei dovuto avere un’assistenza adeguata e umana, ma non ebbi neppure questa fortuna al livello medico.

Per questo oggi Valeria fa un appello alle donne: pretendete delicatezza e assistenza da chiunque vi segua. Della sua piccola Sofia, invece, dice

È il nostro angelo e la mia speranza più lucente di un futuro che mi è stato negato (per ora) dalla malattia.

Molte donne si sarebbero chiuse in un dolore straziante, sia per il tumore che per la perdita di un figlio; tu ne sei uscita e hai lottato con le unghie per riappropriarti della tua vita. Nel video dici che lo sport ha rappresentato una parte importante di te, qualcosa di irrinunciabile. Forse anche questo carattere sportivo ti ha dato la forza di lottare?

È innegabile che la pallavolo abbia inciso sul modo di affrontare la malattia, mi ha dato la spinta per non arrendermi.
Un bene prezioso al quale non ho mai rinunciato, nonostante la fatica, soprattutto fisica, per le cure.
I miei allievi sapevano cosa stavo affrontando, la sincerità di condividere con loro la mia situazione li ha spronati a dare di più, fu uno degli anni con più vittorie sui campi di Roma… Incredibile come si possa trasformare la debolezza in voglia di riscatto anche per chi ci osserva dall’esterno.
Ma c’è anche un’altra verità da dover ammettere…
Quando non hai altra scelta puoi solo combattere.
Quando tutto si fa nero, l’istinto cerca la luce che nel mio caso è rappresentata da mio marito e dal mio sport.

Valeria ha affrontato due dei dolori più grandi e insopportabili per un essere umano, una malattia e la perdita di un bambino; oggi, però, si sente quasi in dovere di dare un messaggio a tutte le persone che, come lei, hanno affrontato l’una o l’altra esperienza.
C’è un messaggio che vorresti dare sia a chi sta passando come te la malattia, sia alle mamme di bambini mai nati?

Per chi sta affrontando la malattia il mio messaggio riguarda un ingrediente in particolare, l’egoismo, per una volta, non in senso negativo.
Per quanto la famiglia e gli amici costituiscano un porto sicuro, sappiate gestirvi!
Siate attenti a quello che vi dice il vostro corpo, non lasciate che vi trattino con pietà e che prendano il sopravvento su come organizzarvi la vita.
Nessuno meglio di voi sa in cosa trovare beneficio, che sia un pianto, una risata, un momento di rabbia da sfogare.
Personalmente l’autoironia è stata l’arma con cui ho deciso di esorcizzare le paure, ma ognuno è a sé, l’importante è assecondare i propri bisogni durante il percorso delle
montagne russe dettato da medicinali, medici, stanchezza eccetera.
Non preoccupatevi con quali occhi vi guarderanno, ma delle prospettive che vi danno sollievo.

Per le donne che stanno affrontando un lutto perinatale non ci sono parole per dimostrare tutta la mia vicinanza, per cui l’unica cosa che mi sento di dire è di non opporre resistenza al dolore, di farvi attraversare da esso, vivetelo, piangete, urlate, passeggiate, cantate, state in silenzio ogni volta che volete.
Avete bisogno di riappropriarvi della vostra anima e per farlo serve che il resto del mondo si fermi intorno a voi, così da poter recuperare le forze per rimboccarsi le maniche e dire:
‘Adesso guardiamo avanti e tu amore di mamma, guidami’.

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